Da European Scientist, proponiamo la traduzione di un recente articolo di Samuele Furfari, che ringraziamo. L'articolo contiene una critica tranciante delle politiche energetiche seguite negli ultimi vent'anni dall'Unione europea ed in particolare dell'EnergieWende basata sulle rinnovabili intermittenti (eolico e fotovoltaico) voluta da Angela Merkel ed imposta all'Europa intera. Esperto di tali politiche e privo dei condizionamenti ideologici di molti suoi colleghi, Furfari ha lavorato per 35 anni come alto funzionario presso la Commissione Europea.
I GOVERNI SONO IN GRADO DI ASSICURARE LA TRANSIZIONE ENERGETICA?
Il 4 dicembre 2019, la nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato, in occasione della sua prima conferenza stampa a Bruxelles, che sarebbe stata a capo di una "Commissione geopolitica". Un anno dopo, stiamo ancora aspettando dei risultati "geopolitici". In effetti, si tratterebbe piuttosto di una “Commissione verde”, visto che anche la crisi Covid - sebbene la sua causa sia totalmente estranea all'energia - viene utilizzata per rafforzare la “transizione energetica”, voluta dalla Cancelliera tedesca. Nel settembre 1999, assumendo la presidenza della Commissione europea, Romano Prodi era convinto che l'energia non fosse così importante e non meritasse di essere gestita da una direzione generale per l'energia. L'ha quindi fusa con la direzione dell'energia dei trasporti. Che differenza vent'anni dopo! L'energia è ormai al centro di tutti gli interessi, non per l'aspettativa di vita - che prolunga - o per la qualità della vita che fornisce, ma perché è al centro del dibattito sul cambiamento climatico. Ma i politici sono in grado di pilotare il vasto sistema energetico, complesso e multi-dipendente? Hanno i mezzi per dominarlo efficacemente?
Non sorprende che questo concetto di "transizione energetica" sia stato inventato in Germania all'inizio degli anni 80. In un libro intitolato ‘Energie-Wende, Wachstum und Wohlstand ohne Erdöl und Uran’ pubblicato nel 1980, dei ricercatori di un'organizzazione ecologista tedesca, l'Öko-Institut, ha proposto di cessare l'uso di petrolio e uranio. Il termine semplificato "EnergieWende" è stato rapidamente creato per designare la lotta al cambiamento climatico e l'abbandono dell'energia nucleare. La Germania ha seguito risolutamente questa strada dall'inizio del XXI secolo, puntando a un cambiamento radicale nella sua politica energetica. La popolazione tedesca ha infine aderito a questo concetto: dopo 40 anni di denigrazione del nucleare da parte dei Verdi, è diventata ampiamente contraria al nucleare.
L'EnergieWende si stava sviluppando gradualmente, ma l'incidente di Fukushima ne ha accelerato l'attuazione. La Signora Merkel, dottore in fisica, ha vinto due elezioni sostenendo che l'energia nucleare era essenziale per l'economia tedesca. Eppure, dopo l'esplosione dell'idrogeno che è stata percepita come un'esplosione nucleare, ha fatto un voltafaccia ed è diventata un'avversaria dell'energia atomica, dichiarando di essere fortemente convinta che l'avvenire dell'energia nel mondo sarà al 100% rinnovabile. Massicci investimenti hanno permesso di promuovere le energie rinnovabili eoliche e solari, malgrado gli enormi problemi causati dalla loro intermittenza, in particolare gli enormi aumenti di prezzo per la gente. Ma vedremo che tutto questo è molto ridicolo.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA DELLA POLITICA SULLE ENERGIE RINNOVABILI
Nel 2005, durante la presidenza tedesca dell'UE, la Merkel ha chiesto a José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea, di preparare una “road map” in favore delle energie rinnovabili. Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha pubblicato una comunicazione dal titolo “ Roadmap per le fonti energetiche rinnovabili ". Questa comunicazione ha aperto la strada a una direttiva adottata nel 2009. Essa fissa un obiettivo obbligatorio del 20% per la quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia nell'UE entro il 2020 e un obiettivo minimo obbligatorio del 10% per i biocarburanti. Ha anche messo in atto un nuovo quadro legislativo per rafforzare la promozione e l'uso delle energie rinnovabili. La medesima direttiva è stata adattata nel 2018 con l'introduzione di un nuovo obiettivo del 32% al 2030, ma senza che ci siano, questa volta, obblighi vincolanti per gli Stati membri. Così, a partire dal 1° gennaio 2021, gli Stati membri non saranno più tenuti a produrre energie rinnovabili; solo l'UE sarà responsabile del raggiungimento di questo nuovo obiettivo. Che cosa accadrà?
Mentre ci avviciniamo alla fine del 2020, possiamo iniziare ad analizzare l'impatto della direttiva e come gli Stati membri hanno adempiuto agli obblighi che si sono prefissati. Constatiamo, sulla base delle ultime statistiche ufficiali, che la maggior parte degli Stati membri non è sulla buona strada per raggiungere i propri obiettivi, con poche eccezioni (Svezia, Croazia, Estonia, Danimarca, ecc.). È ironico che la Germania, sua promotrice, appaia con Spagna, Francia, Polonia, Belgio e altri paesi nel gruppo di coloro che non raggiungeranno i loro obiettivi. Ma questi dati risalgono al 2018, prima della crisi Covid.
Perché il Covid interviene in questa discussione sulla transizione? Perché gli obiettivi fissati dalla direttiva europea sono espressi sotto forma di rapporto tra l'energia rinnovabile utilizzata (in realtà l'energia rinnovabile prodotta. NdT) e l'energia totale finale utilizzata. A causa della recessione economica, la domanda totale di energia è evidentemente diminuita e la percentuale di energia rinnovabile è quindi aumentata di conseguenza, con il vento e il sole che non hanno sofferto i morsi del Covid. Di conseguenza, la recessione indotta dal Covid risparmia (temporaneamente) all'UE e ai suoi Stati membri l'imbarazzo causato dal mancato rispetto dei loro stessi obiettivi. I media, le Ong ecologiste ed i politici stanno suonando la grancassa sul fatto che l'elettricità prodotta da impianti eolici e pannelli solari rappresenta ormai il 22% dell'energia primaria totale. Tuttavia, questo dato deve essere confrontato con l'unico dato rilevante per geopolitica, bilancia dei pagamenti ed emissioni, ovvero l'energia primaria. Si può notare che, per l'UE-27, la somma delle energie rinnovabili intermittenti (eolico e solare fotovoltaico) rappresenta solo il 2,5% dell'energia primaria totale. Per la Spagna questa cifra è del 3,9% e per la Germania del 4,3%; ma per la Francia non supera l'1,4% dell'energia primaria totale. Nonostante questa realtà, per i decisori politici, i media e il grande pubblico, le energie rinnovabili rimangono sinonimo di energia eolica e solare fotovoltaica
Sono stati concessi massicci finanziamenti per lo sviluppo e la diffusione di soluzioni per l'energia eolica e solare. Ad esempio, in Spagna, il Fondo de Amortización del Déficit Eléctrico ha contratto enormi debiti con le banche londinesi: alla fine del 2019, il debito ammontava a 16,6 miliardi di euro, e solo nel 2020. I Paesi Bassi hanno messo a disposizione circa 4 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni dirette. Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente e della Scuola di Francoforte si vanta che "un decennio di investimenti nelle energie rinnovabili, guidati dall'energia solare, supera i 2,5 trilioni di dollari" e sottolinea che "L'Europa nel suo complesso ha investito 698 miliardi di dollari dal 2010 alla prima metà del 2019, con la Germania che ne è la principale contributrice ", la grande maggioranza destinata agli impianti eolici e solari. Stimo che tra il 2000 e il 2018 l'UE e i suoi Stati membri abbiano speso più di mille miliardi di euro per promuovere le energie rinnovabili, principalmente eolica e solare. Ma ricordiamo ancora una volta che, malgrado questi enormi investimenti nell'UE, l'energia eolica e solare rappresentano solo il 2,5% dell'energia primaria totale.
Contrariamente a quanto spesso si sostiene, questo enorme finanziamento pubblico mostra che le energie rinnovabili non sono affatto competitive. Se lo fossero, le direttive europee adottate nel 2001, 2009 e 2018 per imporre la loro produzione non sarebbero esistite. In altre parole, l'esistenza stessa di queste direttive dimostra che l'obbligo di produrre un certo tipo di energia non dà risultati, perché, alla fine dei conti, i sussidi, dovendo affrontare un mercato libero, non sono sostenibili. Ma, a proposito, siamo ancora in un mercato libero?
LA DELUSIONE PER LA POLITICA DI APERTURA DEL MERCATO ENERGETICO
Dopo lunghi anni di discussioni, al vertice europeo di Barcellona nel marzo 2002, il primo ministro spagnolo José Maria Aznar ha raggiunto un compromesso con il presidente Jacques Chirac per aprire il mercato elettrico alla concorrenza e alla separazione contabile delle aziende elettriche (separazione tra produttore, trasportatore e distributore al cliente finale). Questo compromesso è stato visto come un passo avanti perché, alla fine, questo mercato monopolistico sarebbe stato spezzato e aperto alla concorrenza. Di conseguenza, qualsiasi utility dell'UE era autorizzata ad investire in un qualsiasi Stato membro. Qual è il risultato di questa decisione politica? Claude Desama, ex membro socialista del Parlamento europeo ed ex relatore per questa direttiva, è piuttosto severo sul suo risultato finale. Ha pubblicato di recente un articolo in cui si afferma che il sistema elettrico dell'UE è un "modello caduco". Ci sono diverse ragioni per questo fallimento, ma lui - e anch'io - ritiene che la principale risieda nell'obbligo imposto dall'UE alle società elettriche concorrenti non solo di produrre energie rinnovabili costose e quindi sovvenzionate con meccanismi e importi diversi perché decisi dagli Stati membri, ma anche di dare a questa energia fuori mercato una priorità di dispacciamento nella rete elettrica. Come può funzionare correttamente un mercato quando comporta degli obblighi di fare qualcosa che non ha senso in un mercato che è pure vincolato? Il risultato è semplice, ma poco conosciuto nonostante sia già stato pubblicato: un continuo aumento dei prezzi per consumatori privati e imprese con una chiara correlazione tra il prezzo e la percentuale di energia intermittente. Non è dunque sorprendente che la Germania e la Danimarca beneficino di un'elevata quota di energie rinnovabili, ma anche dell'elettricità più costosa d'Europa (vedi figura 1).
Figura 1 Correlazione del prezzo dell'elettricità per le abitazioni con la produzione intermittente di elettricità rinnovabile
Ci vorrebbe troppo tempo per soffermarsi sul fallimento della strategia per i biocarburanti che l'UE e i suoi Stati membri hanno lanciato nel 2009. Di fronte agli inconvenienti di questa decisione politica - anche per l'ambiente - la direttiva è stata modificato due volte per ridurre l'ambizione del campo di applicazione originale. Infine, la direttiva ha ironicamente trasformato l'obiettivo minimo del 2009 in un obiettivo massimo come già spiegato su "The European Scientist". Il marasma è evidente.
La peggiore decisione in materia di energia che la Commissione europea ha preso negli ultimi anni è probabilmente quella che osa chiamare la "strategia dell'idrogeno per un'Europa climaticamente neutra". Come spiego nel mio ultimo libro, la Commissione europea ha ignorato 51 anni di ricerca ad alto livello, anche da parte dei propri servizi, per cercare di attuare una nuova politica al fine di aiutare i tedeschi a realizzare la loro visione della transizione energetica. Dimostro, con l'aiuto della chimica e della fisica, che la Commissione europea sta commettendo un grave errore mettendo da parte decenni di ricerca sull'idrogeno da parte dei suoi stessi funzionari. Questa strategia dell'idrogeno è una semplice decisione ideologica per salvare l'EnergieWende, che non ha alcun senso dal punto di vista scientifico ed economico, a meno che i reattori nucleari a gas ad alta temperatura (HTGR) non divengano un giorno disponibili sul mercato.
I POLITICI NON DOVREBBERO GIOCARE AGLI INGEGNERI
I politici e i burocrati non dovrebbero cercare di "giocare agli ingegneri". Con il pretesto dello sviluppo sostenibile e del cambiamento climatico, credono di poter avere un impatto sul vasto ed estremamente complesso sistema energetico. Non ne sono capaci. Possono decidere di spendere soldi per influenzare questa o quella tecnologia, ma la realtà del mercato torna sempre a galla. Il denaro dei contribuenti verrà speso, ma senza modellare il sistema energetico.
Le industrie nucleari americane sono molto attive e spendono i propri soldi per creare le condizioni che permettano di rispondere alle enormi esigenze di elettricità del futuro. La tecnologia dei piccoli reattori modulari (SMR) è appena pervenuta ai primi progetti di questo tipo. Il presidente Obama non è intervenuto direttamente nello sviluppo di questa tecnologia, ma ha creato le condizioni per consentire alle autorità americane di adottare rapidamente le regole di sicurezza per la sua implementazione. Ha contribuito alla messa in opera di questa cruciale componente amministrativa nominando Steven Chu, premio Nobel per la fisica nucleare, alla carica di segretario all'energia durante il suo primo mandato, poi Ernest Moniz, professore di energia nucleare al MIT, alla stessa carica durante il suo secondo mandato. Ora è tutto a posto perchè la Commissione per la regolamentazione nucleare degli Stati Uniti concede o nega le autorizzazioni quando il mercato decide se acquistare o meno questa tecnologia. Ma il presidente Obama non ha cercato di giocare all'ingegnere. Lo stesso si può dire di George Bush con la produzione di petrolio e gas di scisto. Quindi, questi successi americani dimostrano che i governi hanno un ruolo da svolgere, vale a dire nella regolamentazione e nella sicurezza, ma non nella decisione di imporre o meno questa tecnologia. È una prerogativa del mercato (salvo che non si consideri che l'energia sia ormai fuori dalla portata del mercato come si augurano certuni contrari alla globalizzazione). Nell'UE, giocare agli ingegneri e sbarazzarsi del mercato ha condotto a molti fallimenti; un esempio ipocrita è quello degli Stati membri dell'UE che rifiutano di produrre gas di scisto, ma che consumano gas di scisto americano.
TUTTAVIA, I GOVERNI HANNO UN RUOLO DA SVOLGERE
Permettetemi di essere chiaro: i governi dovrebbero giocare un ruolo nella ricerca e sviluppo, ma, a differenza di quanto si è fatto negli ultimi vent'anni nell'UE, dovrebbero smettere di decidere l'oggetto della ricerca. Pochi sanno che i politici nell'UE si nascondono dietro a "comitati di esperti" per decidere quali particolari settori tecnologici dovrebbero beneficiare di un sostegno pubblico. I bandi di gara sono cataloghi di diverse dozzine di pagine che forniscono dettagli precisi sui temi di ricerca ammissibili alle sovvenzioni. Ad esempio, le energie rinnovabili intermittenti si ritagliano la parte del leone nelle sovvenzioni per la ricerca e lo sviluppo nell'UE, mentre il sostegno all'efficienza energetica - essenziale per economizzare energia e ridurre le emissioni di CO2 - ne riceve di meno. In un mondo ideale, questo potrebbe essere configurato come uso improprio del denaro dei contribuenti, specialmente nelle circostanze attuali.
Un modo per evitare questo pasticcio sarebbe non finanziare la ricerca in campi tecnologici specifici, ma aiutare piuttosto a finanziare le infrastrutture di ricerca e gli stessi ricercatori, in particolare eliminando l'IVA su tutte le attrezzature e sulle spese per la ricerca. Lasciare ai laboratori e all'industria la scelta di decidere, ove percepiscano che il successo è la chiave del progresso. Sfortunatamente, e paradossalmente tenuto conto degli enormi investimenti dell'UE nella ricerca, si deve osservare con amarezza che l'UE non è, per il momento, il leader mondiale in materia di innovazione. I politici non dovrebbero giocare agli ingegneri e ancor meno agli scienziati.
È evidente che i governi hanno un ruolo da giocare nella definizione delle regole di protezione ambientale. Ma questo ruolo deve limitarsi a stabilire regole chiare che devono essere rispettate; l'arsenale legislativo europeo è sufficientemente vasto e dettagliato perché non sia necessario inventare nuove leggi sull'ecocidio. Ad esempio, se l'UE è seriamente intenzionata a ridurre le emissioni di CO2, perché le energie rinnovabili sono considerate buone e il nucleare cattivo? In termini di emissioni di CO2 e sicurezza dell'approvvigionamento energetico, l'energia nucleare non ha rivali. Tuttavia, nella comunicazione sul Green Deal e nella comunicazione "L'ora dell'Europa: riparare i danni e preparare l'avvenire per la prossima generazione", che spiega come spendere il recovery fund della Commissione europea, la parola "nucleare" non è nemmeno menzionata...
Eppure, sulla base della sua lunga esperienza, l'UE aveva un ruolo da svolgere nel settore nucleare, che è l'energia del futuro. Diversi Paesi industrializzati stanno facendo progressi nello sviluppo industriale dei SMR e degli HTGR (vedi sopra). L'attuale cooperazione precompetitiva in materia di R&S è molto produttiva, ma sarà interessante per l'UE svolgere un ruolo più attivo nel coordinamento della ricerca europea in questi settori, poiché i progettisti di tecnologie non sono più aziende nazionali, ma principalmente società internazionali. La maturità per una scala pilota o anche per un progetto dimostrativo è vicina. L'UE farebbe bene ad occuparsene. Ciò non è in contraddizione con il paragrafo precedente, perché non si tratta qui di finanziare microprogetti, ma di accompagnare una strategia che deve essere pilotata e attuata dall'industria.
È ancor più sorprendente che alcune autorità locali e municipali sperino addirittura di avere un impatto sulla geopolitica energetica! Per aver aperto la strada nel 1994 in questo settore, so che esse hanno un ruolo da svolgere, ma questo dovrebbe essere piuttosto dal lato della domanda di energia. Essendo così popolari le questioni energetiche, i politici locali sono tentati di presentarsi alle loro popolazioni come specialisti energetici e di giocare anche loro agli ingegneri. Sarebbero quindi pronti a prendere decisioni per aiutare la transizione energetica. È più facile a dirsi che a farsi. Il loro ruolo chiave dovrebbe collocarsi nell'ottica sociale dell'energia, ad esempio contribuendo alla lotta contro la povertà energetica, che aumenterà con una politica dell'elettricità completamente rinnovabile. Non spetta alle amministrazioni locali decidere quale tipo di carburante debba essere utilizzato, ma all'industria, nel rispetto della legislazione ambientale. Gli amministratori locali eletti dovrebbero piuttosto sforzarsi di rendere il trasporto urbano molto più fluido per evitare l'inquinamento. Mi rendo conto che, nell'attuale stato d'animo collettivo, la mia proposta non ha nessuna possibilità di essere seguita, ma non posso fare a meno di riportare quanto ho appreso dalla mia lunga esperienza da ingegnere, docente universitario e consulente della politica.
IL BANCO DI PROVA PER I POLITICI DELL'ENERGIA
Il mio collega specialista in energia nucleare, il professor Ernest Mund, ed io abbiamo recentemente scritto un articolo sulla transizione energetica. La figura 2 mostra che una transizione energetica si è verificata solo quando abbiamo utilizzato delle piccole quantità di energia rinnovabile. Mostra che la messa in opera della transizione energetica dell'UE (parte destra del grafico) è più che difficile. Concludiamo che gli sforzi per attuare l'attuale transizione energetica saranno economicamente rovinosi e porteranno a fallimenti. In un mondo isolato, questo sarebbe già doloroso per i suoi Stati membri. Ma in un mondo globalizzato e basato sul mercato, dove i concorrenti si rivolgono istintivamente alle fonti di progresso, le drammatiche conseguenze per le economie europee di una tale strategia potrebbero indurre certi Stati membri ad allentare i loro legami con l'Europa per sopravvivere, cosa che sarebbe estremamente dannosa per l'Europa stessa .
Figura 2. Evoluzione della quota di mercato dell'energia primaria sulla base del consumo annuo di Mtep / anno (dati IEA e BP per il mondo).
Ricordiamo una volta di più che l'UE è nata dal desiderio di fornire alle economie dei suoi Stati membri un'energia "abbondante e a buon mercato" (risoluzione di Messina nel giugno 1955). Oggi l'UE, con la sua volontà di imporre il mix energetico attraverso la legislazione europea ed il finanziamento selettivo, gioca il suo futuro sullo slogan della transizione energetica. Questa transizione sarà difficile da realizzare entro le scadenze annunciate; in particolare, è semplicemente impossibile ridurre le emissioni di CO2 del 55 o del 60% entro il 2030 (vedere il mio editoriale in The European Scientist dell'ottobre 2020), a meno che l'UE ed i suoi Stati membri non decidano un lockdown quasi permanente. La tabella 1 mostra la variazione delle emissioni di CO2 per alcuni Stati membri e per l'Unione europea, nonché lo sforzo residuo espresso in Mt CO2 per raggiungere l'obiettivo del -60% entro il 2030 richiesto dal Parlamento europeo il 7 ottobre 2020. I numeri sono spaventosi per la maggior parte degli Stati membri. Per l'UE-27, la riduzione annuale ottenuta dal 1990 dovrebbe essere moltiplicata per cinque. Questo è semplicemente impossibile data l'entità dello sforzo, tanto più perché le soluzioni più semplici - i "frutti a portata di mano" - sono già state messe in opera. È tutto semplicemente irrealizzabile. La politica dell'UE in materia di CO2 sarà un fiasco totale. Molti direbbero che la cura è peggiore della malattia.
Tabella 1 Cosa hanno deciso i politici sulle emissioni di CO2 (dati Eurostat giugno 2020)
Stato membro |
Riduzione annua dal 1990 al 2018 (Mt CO2 ) |
Riduzione rispetto al 1990 |
Riduzione annua per raggiungere il -60% nel 2030 (Mt CO2) |
Rapporto degli sforzi futuri per raggiungere il -60% rispetto ai risultati passati (%) |
Germania |
-9.96 |
- 26% |
-29,97 |
301 |
Austria |
+ 0,22 |
+ 10% |
-3.67 |
1647 (negativo) |
Belgio |
-0.65 |
-15% |
-4.66 |
732 |
Spagna |
+ 1,84 |
+ 22% |
-16.09 |
875% (negativo) |
Francia |
-2.14 |
-15% |
-15.47 |
723 |
Italia |
-2,95 |
-19% |
-15.23 |
517 |
Olanda |
+0.17 |
+ 3% |
-8,80 |
5068 (negativo) |
Polonia |
-1.30 |
-10% |
-15.82 |
1213 |
EU27 |
-26,47 |
-19% |
-134.49 |
508% |
Nel 2010, Vaclav Smil, un economista americano molto rispettato, ha dimostrato nel suo libro "Energy transitions" che una transizione energetica non potrebbe essere fatta facilmente dall'oggi al domani, vale a dire entro le scadenze fissate all'epoca dall'amministrazione Obama. Ciò è ancora più vero nel contesto dell'UE.
L'UE deve rimettersi rapidamente in sesto, altrimenti fallirà; le sue imprese e i suoi cittadini soffriranno a lungo del ritardo che accumula in materia di innovazione (soprattutto nel campo dell'energia nucleare) rispetto agli Stati Uniti, alla Russia, alla Cina e persino all'India.
Una transizione della portata in questione presuppone la comprensione della posta in gioco, un'assenza di pregiudizi ideologici e un approccio coerente. E soprattutto, malgrado l'urgenza rivendicata dagli attivisti, richiede tempo. I governi, che hanno un orizzonte di quattro o cinque anni, non sono adatti a questo. L'energia è una questione che concerne la scienza e la tecnologia, non i politici a breve termine.
Per maggiori dettagli: si veda il libro in due volumi (1200 pagine) di Samuele Furfari dal titolo: "Il mondo dell'energia che cambia e le sfide geopolitiche”. Si veda furfari.wordpress.com.