Dopo la tempesta sul gas, l'Europa la vuole sul petrolio. E l'Italia rischia di pagarla cara

 

Salvatore Carollo: "Servono investimenti importanti ma nessuno è disposto a rischiare i propri capitali in un settore che il mainstream politico ritiene ormai “morto”, come tutte le fonti fossili."

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

Segnalo questo articolo di Salvatore Carollo sulla Staffetta Quotidiana di venerdì, che lo rilanciava ricavandolo dall'ultimo numero di RiEnergia, integralmente disponibile in rete, e dove compare sotto il titolo "Dopo la tempesta sul gas, l'Europa la vuole sul petrolio. E l'Italia rischia di pagarla cara".

Ecco il passaggio più interessante:

 

"Di recente, il deficit strutturale degli Usa in termini di prodotti finiti ha cominciato a manifestarsi sia con la mancanza di gasolio sia con una crescente difficoltà di immettere sul mercato benzine riformulate di alta qualità. Il richiamo di Biden alle compagnie petrolifere di investire maggiormente nel settore della raffinazione giunge in ritardo di due decenni ed appare poco convincente. Servono investimenti importanti e nessuno è disposto a rischiare i propri capitali in un settore che il mainstream politico ritiene ormai “morto”, come tutte le fonti fossili. La crisi russo-ucraina sta facendo da acceleratore della crisi globale degli approvvigionamenti petroliferi. Da almeno due decenni si è ripetuto che non serviva investire in queste attività. Bastava che la raffinazione sopravvivesse fino all'arrivo della mitica “conversione energetica”. Purtroppo, tutte le date finora annunciate per questo evento “escatologico” rischiano di essere puntualmente spostate in avanti nel tempo, mentre il tracollo del settore industriale della raffinazione (Non solo quello della raffinazione. NdR) si avvicina con una accelerazione crescente."

 

L'articolo viene citato dal professor Giulio Sapelli ("Salvatore Carollo con la sua magnifica capacità analitica") sul Sussidiario di oggi nell'articolo "L’ultima follia europea che aiuta Russia e Cina":

 

"Sono tempi drammatici e di cui la folla festante pare non avere contezza, rapita come era e come è nell’idillio post-romantico dell’identificazione nei capi. La von der Leyen festeggiata e festante rappresenta la gravità della situazione, perché più di ogni altra persona incarna l’incapacità decisionale della “nuova classe” eurocratica."

 

A conclusioni analoghe perviene, sempre sul Sussidiario, il solito Paolo Annoni nell'articolo "Ecco le scelte Ue che continuano ad aggravare la crisi":

 

"Proprio nelle settimane in cui si rende evidente la fragilità della rete elettrica l’Europa continua in un piano che elimina un’alternativa, l’auto a combustione, che non ha bisogno di una rete e che si alimenta con una fonte che è rimasta molto più a buon mercato. Dato che spostare la produzione elettrica da gas e carbone a nucleare e rinnovabili richiede decenni il rischio che un blackout metta ko anche i trasporti deve essere considerato. L’Europa continua a dimostrare di non aver capito quali siano le conseguenze degli eventi degli ultimi dodici mesi. La resilienza del sistema, la diversificazione delle fonti è un valore molto più prezioso oggi che nel 2020. È una questione non solo di funzionamento del sistema economico, ma anche di sovranità che viene prima di qualsiasi fantasia “green”. Mentre si contemplano blackout elettrici si impone ai cittadini di liberarsi delle auto a benzina per comprare auto elettriche. Non si comprende quale investitore possa ipotizzare una scommessa su un continente con queste politiche."

 

Tutti gli autori, come già altri analisti in numero sempre crescente, individuano lo stesso (meglio: la stessa) responsabile dell'attuale crisi energetica. Ma l'incarnazione corrente della "incapacità decisionale" della "nuova classe eurocratica" non ha neppure troppa importanza. Si comprenderà perchè non sono il solo ad essere convinto che la "transizione energetica" (basata sulle "rinnovabili" sussidiate che dovrebbero diventare convenienti penalizzando le "fossili") sia ormai un morto che cammina. Riprendendo (e parafrasando un po') la conclusione dell'articolo di Carollo:

 

Purtroppo, poiché parliamo di fonti fossili, il problema non è di moda e non se ne parla. Magari protestiamo per i prezzi alta alla stazione di servizio, ma declassiamo il tutto alla decisione di tagliare le accise. Il problema industriale e strategico che sta alla base è pressappoco sconosciuto e sembra non interessare nessuno. Ci sveglieremo, forse, se e quando, andando all'aeroporto per andare a fare le loro belle e costosissime vacanze, le ragazzine ricche e viziate (le stesse che fanno fughino il venerdì con la scusa dello "sciopero climatico") vedranno il volo cancellato per mancanza di jet fuel.

 

Alberto Cuppini