Travolto dalla pandemia di Covid-19 con migliaia di morti spesso lasciati, avvolti in teli di plastica, nei bidoni della spazzatura o sui lati delle strade di Quito o Guayaquil, con l’economia in profonda crisi per il crollo dei prezzi del petrolio, il governo dell'Ecuador, malgrado le richieste della società civile di posporre il pagamento di alcune rate del debito per poter spendere maggiori risorse nel sistema sanitario nazionale, ha scelto di rimborsare 325 milioni di dollari ai creditori: FMI, World Bank e Cina.
A salvare il paese dalla crisi economica e sanitaria si è candidato il settore minerario che sta cercando in ogni modo di aprire nuove enormi miniere nella foresta tropicale per poter approvvigionare la crescente voracità di materie prime delle tecnologie verdi: è di ieri l'articolo del Sole24ore che riporta l'incredibile aumento del prezzo del rame con un +45% rispetto a marzo.
Le compagnie minerarie, in molti paesi, non sono state soggette alle misure di quarantena ma sono state classificate come 'essenziali' ed hanno utilizzato la situazione emergenziale per continuare le loro operazioni evitando così le resistenze delle popolazioni locali. I campi minerari rappresentano un grave rischio per l'ulteriore diffusione del coronavirus tra le popolazioni indigene ed inoltre, le regioni in cui si svolge l'estrazione sono spesso lontane da adeguate strutture mediche, dove è più difficile l'accesso all'acqua potabile.
Che le le miniere siano degli hotspots per il corona virus è già stato denunciato dalla stampa internazionale ma con pochi risultati solo il dilagare della pandemia ha portato il problema all'attenzione dei media mainstream.
La comunità indigena di Shuar, che vive nella provincia amazzonica meridionale di Zamora Chinchipe nella Cordillera del Condor, una riserva forestale amazzonica protetta che si estende lungo il confine orientale con il Perù, ha riferito che la presenza di compagnie minerarie li pone in una posizione molto vulnerabile. Ricordiamo che qui è stata avviato ufficialmente lo scavo e la produzione nel 2019 del progetto “El Mirador”, una miniera di rame il cui proprietario è il consorzio cinese Tongguan costituito da CRC, China Railway Construction, Corporation e Tongling Nonferrous Metals Group.
La concessione devasterà oltre 10.000 ettari di foresta tropicale di cui circa 6.000 sono all’interno della riserva protetta della Cordillera del Condor dove è prevista la costruzione di una diga di sterili per lo stoccaggio di rifiuti chimici dell’altezza di circa 260 metri, quanto la diga del Vajont. Le previsioni degli esperti, su un potenziale cedimento della diga, parlano di perdita di vite umane e di centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti tossici, contenenti mercurio, arsenico, cianuro, acidi e metalli pesanti che precipitano attraverso il sistema fluviale per raggiungere il Rio delle Amazzoni: è stato calcolato che se il crollo si verificasse in un momento di forti piogge, percorrerebbe oltre 80 chilometri in cinque ore. Questo evento in un’area come la Cordillera del Condor, con la sua grande biodiversità, potrebbe generare un vero incubo con inquinamento e distruzione, perdita di vita nei fiumi e degli habitat per la fauna selvatica.
Ma ora il dilagare della pandemia ha obbligato le compagnie a chiudere gli impianti estrattivi e quindi dopo il Perù anche il gigante cileno Codelco, che produce circa il 20% del rame a livello globale, ha dovuto fermare la produzione. Le conseguenze porteranno, come si legge nell'articolo, ad un "un rischio crescente di deficit di offerta" affermazione condivisibile ma non così esplosiva visto che era noto da parecchi mesi che la richiesta di rame, elemento chiave tra i metalli della transizione verde, legata alle previsioni della IEA e della World Bank porterà ad estrarre nei prossimi 25 anni altrettanto rame di quanto ne è stato estratto nei precedenti 5000 anni.
L'articolo segnala anche il pericolo, legato al lockdown, che vengono congelati importanti progetti di sviluppo di nuove miniere: anche di questi ci eravamo occupati, BMW e Codelco un accordo green?, per documentare quali fossero gli esorbitanti costi ambientali e sociali legati all'approvvigionamento delle materie prime necessarie alle tecnologie green e la necessità, legata al progressivo esaurimento dei giacimenti cileni, di avviare l'apertura di nuove miniere per riuscire a sostenere la produzione.
L’estrattivismo legato alle tecnologie verdi ha mostrato nuovamente il suo reale volto approfittando dei momenti di crisi per aggredire il territorio: quello che sorprende è il contraddittorio comportamento di alcune associazioni ambientaliste italiane che, pur condividendo le finalità delle lobby delle tecnologie green, hanno sottoscritto l'appello di oltre 300 organizzazioni ambientaliste e di tutela dei diritti umani di tutto il mondo in cui esprimono solidarietà con le comunità e i lavoratori colpiti dalle speculazioni delle compagnie minerarie durante la pandemia di COVID-19.
Giovanni Brussato