Alberto Clò: "Il REPowerEu appare come un menu poco ponderato, con ingredienti un po’ raffazzonati, e scarsa contezza della sua effettiva digeribilità e delle conseguenze che ne potrebbero derivare".
L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.
Così il professor Alberto Clò sul blog della Rivista Energia nel post "FosburEu, ovvero se vuoi alzare l’asticella devi anche riuscire a saltarla"
"Fissare obiettivi sempre più ambiziosi – non smetteremo mai di ripeterlo – non costa nulla ma fa sempre fare una gran bella figura, specie se l’orizzonte temporale entro cui dovrebbero essere conseguiti è lontanissimo. Ne è maestra l’Unione Europea anche scorrendo l’ultima versione della proposta della Commissione denominata REPowerEu e licenziata il 18 maggio, che mira entro il 2027 a liberarci del gas russo. Tempi superiori di tre anni a quelli promessi dal Ministro Cingolani per l’Italia (seconda metà del 2024).
... più importante obiettivo: aumento delle rinnovabili innalzando la loro asticella al 2030 dal 40% al 45%, cominciando col raddoppio del solare entro il 2025 ricorrendo anche all’obbligo della loro installazione su edifici commerciali e pubblici e per i nuovi edifici residenziali entro il 2029. Una accelerazione della transizione energetica alle rinnovabili senza per altro vi sia da parte di Bruxelles e degli Stati membri alcuna contezza su quel che potrebbe significare il passaggio da una dipendenza (gas russo) ad un’altra (rinnovabili cinesi). Né dei possibili colli di bottiglia della supply chain rinnovabile, con i ritardi accumulati nella fase pandemica ancora non risolti (e anzi di recente nuovamente acuitisi in Cina) ed i conseguenti aumenti di prezzo in una fase di già elevata inflazione. Le conseguenze dell’esperienza italiana del Superbonus 110% dovrebbero aver insegnato qualcosa, o per lo meno far venire qualche sospetto.
Che dire in conclusione del REPowerEu?... che quest’ultima proposta appare come un menu poco ponderato, con ingredienti un po’ raffazzonati, e scarsa contezza della sua effettiva digeribilità e delle conseguenze che ne potrebbero derivare."
E' un articolo che merita di essere letto dall'inizio alla fine sul sito web della Rivista Energia. La RepowerEU non suscita invece grande interesse nei giornaloni ed a maggior ragione, come al solito, non suscita critiche. Le suscita invece nella Staffetta Quotidiana. Venerdì la Staffetta le ha meritatamente dedicato l'editoriale: "RepowerEU, troppo ottimismo nei numeri".
L'editorialista, come si desume da questi passaggi, appare in perfetta linea con Clò:
"Pianificare a ritroso, alzando meccanicamente target e spesa prevista in funzione del risultato, senza troppo riguardo alle condizioni di partenza. Il metodo, in questi anni visto spesso all'opera sull'energia in Italia, all'Aie e in UE, sembra purtroppo tornato in scena mercoledì con la presentazione del pacchetto RepowerEU, con cui la Commissione punta a eliminare in breve tempo la dipendenza europea dall'energia russa.
A questo scopo RepowerEU prevede un innalzamento dal 40 al 45% degli obiettivi sulla quota rinnovabili al 2030 (il che significa circa l'80% sul mix elettrico italiano), dal 9 al 13% di quelli per la riduzione dei consumi, più un set di passi che secondo Bruxelles permetteranno tra le altre cose di azzerare nei prossimi 5 anni i 155 miliardi di metri cubi di gas che l'Europa importa dall'ex Urss.
Leggendo queste cifre un lettore con un po' di familiarità con il settore avrà probabilmente già iniziato a sentirsi perplesso.
"Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi lo sta facendo", è un motto dall'incerta paternità che salta fuori spesso quando si parla di transizione. A volte con buone ragioni. Altre però con la tendenza a dimenticarsi che lì fuori, in realtà, spesso quasi nessuno ancora lo "sta facendo". Nei casi migliori siamo agli inizi e con ostacoli enormi dietro l'angolo, in altri non abbiamo neppur cominciato. Il punto di partenza di qualunque ragionamento dovrebbe essere riconoscerlo."
Un atteggiamento più accomodante arriva dal Quotidiano Energia nell'articolo di venerdì di Luca Trabasso "REpowerEU, upstream grande assente":
"Più carbone, petrolio e gas da fornitori non russi. Ma solo un vago accenno alle risorse europee.
L'Italia si incammina perciò verso un aumento della dipendenza energetica dall'estero e quindi del costo delle importazioni... Tutto questo non comporterà alcun vantaggio ambientale, ma anzi un aumento delle emissioni derivato dalle perdite di metano lungo le catene di trasporto.
Ma sarebbe utile rivitalizzare l'upstream italiano dopo decenni di inesorabile declino? La risposta è affermativa per la Ravenna offshore contractor association, convinta che con un adeguato quadro normativo si potrebbe arrivare a produrre in 3-5 anni 15 mld mc all'anno di gas. Alcuni avvertono tuttavia che l'emergenza della guerra in Ucraina non solo non farà perdere di vista ma anzi stimolerà la transizione, con il risultato che eventuali investimenti nell'upstream rischierebbero di non produrre un ritorno ma anzi di creare un problema di "stranded asset", cioè di infrastrutture che diventerebbero inutili nel giro di pochi anni."
A questa obiezione aveva già risposto, tra gli altri, lo stesso Clò nell'articolo del 22 aprile sul blog della Rivista Energia "Il miracolo della moltiplicazione dei gas":
"Dare a intendere – come pare dalle numerose recenti missioni diplomatiche – che di gas disponibile da acquistare in tempi brevi ve ne sia, e in abbondanza, non solo è illusorio, ma anche costoso.
È ben difficile in questi giorni dar ragione a Putin ma è nel vero quando sostiene che è difficile in breve tempo fare a meno del suo gas, mentre anche per il petrolio e suoi derivati la capacità produttiva disponibile altrove è molto ridotta.
Pensare di sostituire il tutto con pale&pannelli cinesi non porta da nessuna parte mentre crea nuove dipendenze. Con buona pace degli astigmatici ecologisti che sostengono sorridenti che la guerra è valsa almeno ad accelerare la transizione energetica e che il mitico obiettivo net-zero è sempre più vicino. Magari! I dati dicono altro: che il carbone è stata la fonte energetica che nel 2021 è aumentata di più e che a gennaio di quest’anno nell’intera area OCSE la produzione elettrica da fonti fossili (specie gas e carbone) è cresciuta del 10% rispetto a dicembre contro il 2,8% delle rinnovabili, la cui quota sull’intero mix elettrico si è ridotta di un punto al 30,7%. La guerra ha modificato le priorità politiche nell’agenda dei governi: passate da quella climatica a quelle della ‘convenienza economica’, che vede il carbone come fonte favorita, e della ‘sicurezza energetica’ che va supportando la affannosa ricerca del gas e il ritorno al nucleare in Francia e Gran Bretagna come auspicato dallo stesso vicepresidente Timmermans (con buona pace della dimenticata Tassonomia).
Che la guerra vada favorendo la transizione energetica è l’ennesima non-verità che, ahimè, inquina da sempre la sua narrazione."
Ma chi pagherà tutto, alla fine? La risposta è già nel titolo dell'articolo di ieri di Alessandra Servidori sul Sussidiario: "Così le mosse green dell’Ue aumentano il debito a carico dei nostri giovani", che sottotitola: "La Commissione europea ha varato il Piano REPower EU. L’Italia si trova davanti ancora al problema del debito che peserà sui giovani":
Il Piano propone anche di accelerare le procedure autorizzative per le rinnovabili.
Proprio in questi giorni, il nostro Paese sta tentando di legiferare per estendere le aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e per velocizzare le procedure. Ma abbiamo già segnali di scontri in sede parlamentare con chi ricorda che i pannelli sono di produzione cinese e non nostra... in generale le produzioni, le installazioni, la manutenzione di queste innovazioni hanno dei costi altissimi a carico dei cittadini... E con il RePowerEU andiamo a creare ulteriore debito e chi pagherà il prezzo saranno ancora una volta i nostri giovani."
Alberto Cuppini