Oggi grande risalto sulla stampa specializzata in energia e motori alle critiche di Giorgia Meloni al blocco dei motori endotermici già nel 2035.
Leggiamo in linea, dall'articolo di ieri di Tommaso Giacomelli su Il Giornale.it "Stop ai motori termici nel 2035? Irragionevole e lesivo":
"In occasione della tradizionale conferenza stampa di fine anno che si è tenuta oggi nell'Aula dei Gruppi parlamentari, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito allo stop alla vendita di auto con motori diesel e benzina in Europa nel 2035. "Non produrre più motori a combustibili fossili nel 2035 è irragionevole. Lo considero profondamente lesivo del nostro sistema produttivo. Mi pare che sia una materia su cui c'è una convergenza trasversale a livello italiano ed intendo utilizzare questa convergenza per porre le questione con forza", ha affermato il premier."
Una presa di posizione molto forte da parte del capo del governo di un Paese che in precedenza, ed in particolare negli ultimi dieci anni, si era sempre mostrato acquiescente e prono alle decisioni europee, persino quelle più strampalate, in materia di contrasto ai mutamenti climatici.
Ma la stampa si è lasciata sfuggire l'affermazione più grave (e più coraggiosa) della Meloni nella conferenza di ieri: quella sul Fit for 55, che è stata evidenziata (salvo nostre disattenzioni) solo da Giacomelli sul Giornale:
"Giorgia Meloni dubita sul conseguimento degli obiettivi fissati dal "Fit for 55": "Non credo sia raggiungibile. Intendo porre la questione in sede europea"."
La Meloni ha tirato, forse senza rendersene conto, una picconata ad un ganglo vitale dell'onnipotente "climatocrazia" (così l'ha definita Le Figaro) europea.
Se i giornaloni italiani (a proposito: complimenti per la baldanza in conferenza stampa. Con Draghi sembravano tutti Gianni Minà con Fidel Castro) hanno finto di non aver sentito, nei Palazzi del Potere delle tecnocrazie europee, potete starne certi, hanno preso buona nota. La Von der Leyen, Timmermans, Gentiloni e compagnia bella, entro breve, riporteranno a più miti consigli la loro riottosa suddita italiana. Sarei pronto a scommettere che, grazie soprattutto all'operare (al NON operare, nel nostro caso) della presidente della Banca Centrale Europea Lagarde, nel 2023 ricominceranno i problemi seri per rifinanziare l'apocalittico debito pubblico italiano - ulteriormente appesantito (se tutto andrà bene) da un altro centinaio di miliardi di deficit corrente - ormai lanciato al galoppo verso il raccapricciante record dei tremila miliardi di euro.
Ricorderete che cosa è capitato al Berlusca nel 2011 in analoghe circostanze. Cara Giorgetta: qui si parrà la tua nobilitate.
Alberto Cuppini