Ospitiamo ancora il professor Furfari, autore del recente libro "Énergie, tout va changer demain?", ringraziandolo per la disponibilità. Questa volta presentiamo la traduzione del suo articolo "L’énergie, c’est la vie ! L’Union européenne peut-elle encore le comprendre?", pubblicato la settimana scorsa su Valeurs Actuelles e destinato a sollevare aspre polemiche. Furfari, che per il suo stile scabro e la mancanza di pregiudizi ideologici rappresenta una ventata di aria fresca nella mefitica palude del buonismo politicamente corretto delle élite europee, ci richiama ai principi fondanti dell'Unione e ad una realtà geopolitica, in materia di energia, nota a tutti ma sottaciuta dai mass media. In questo suo articolo ci conferma nelle nostre denunce della carente leadership europea, vittima indifesa dell'ideologia globalista di matrice americana, e dei danni arrecati all'economia continentale dalla politica a favore delle rinnovabili, che di tale ideologia, basata sulla assenza di limiti, consuetudini e senso comune, appare elemento costitutivo ed irrinunciabile. Non riteniamo tuttavia che un invito al ritorno al pragmatismo dei padri fondatori sarà sufficiente per sanare i danni arrecati negli ultimi anni all'idea dell'unità europea dalle inadeguate mosche cocchiere della politica e dell'economia mondiale che hanno preso il posto di Monnet, Schuman, Adenauer e De Gasperi.
L'energia è vita! L'Unione Europea può ancora capirlo?
Scegliendo le rinnovabili piuttosto che il nucleare, l'Europa non solo rinnega se stessa, ma accelera anche il declino dei suoi popoli, avverte Samuele Furfari, professore di geopolitica dell'energia alla Libera Università di Bruxelles.
Articolo di Samuele Furfari
pubblicato il 29 marzo 2021 da Valeurs Actuelles.
Jean Monnet non era un politico. Era un uomo d'affari. Mercante di cognac, pensava innanzitutto di costruire un'Unione di realizzazioni concrete e non di concetti politici. Convinse Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, che, a sua volta, persuase il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. L'avventura cominciò con la creazione, nel 1952, della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), che creò un mercato comune di acciaio e carbone - l'energia di quell'epoca - accompagnato da misure sociali per i lavoratori di quei settori e da un programma comune di ricerca. Schuman spiegò che "era nell'interesse del produttore e del consumatore rendere accessibili alle migliori condizioni, su un mercato vastissimo, questi due prodotti indispensabili. L'allargamento di questo mercato era garanzia di sviluppo economico e di ripresa generalizzata del tenore di vita".
Nel 1955, i ministri degli Esteri dei Sei, riuniti a Messina, riconobbero che, affinchè la "Comunità Europea" fosse prospera, avrebbe dovuto disporre di energia abbondante e a buon mercato. Ciò permise di lanciare, nel 1957, il trattato Euratom, che ha creato il mercato comune dell'energia atomica civile. L'energia era la risorsa che avrebbe permesso a un'Europa martirizzata da due guerre mondiali fratricide di rilanciare la sua economia e di portare prosperità a tutti. Questi due mercati, che si basavano su energia abbondante e a buon mercato, ci hanno condotti a questa formidabile esperienza di libertà, prosperità e progresso, inteso sia in senso tecnologico che morale. Purtroppo temiamo che tutto ciò possa essere smantellato dalle attuali politiche energetiche dell'Unione Europea (UE).
Perchè i padri fondatori dell'UE hanno cominciato dall'energia? Perchè l'energia è vita: quando ci nutriamo, è perchè il nostro corpo ha bisogno di energia. Lo stesso vale per l'industria e l'economia. Oggi tutto questo viene dimenticato e prevale una nuova "logica" politica, quella dell'energia decarbonizzata, che può essere solo rara e costosa. La prima direttiva europea che obbligava alla produzione di energie rinnovabili è stata adottata nel 2001; è stata poi resa molto più severa nel 2009 ed ampliata nel 2018. Proprio perchè sono costose, al contrario di quanto si sente dire dappertutto, il legislatore europeo deve rendere obbligatoria la produzione delle rinnovabili. Per raggiungere l'inverosimile obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% nel 2030, dovremo subire ulteriori costrizioni (con sforzi individuali e collettivi protratti nel tempo come abbiamo imparato a fare durante i lockdown) al fine di raggiungere il 100% di energie rinnovabili per il 2050. Tutto ciò non potrà avvenire se non attraverso penurie e rincari programmati, di cui soffriranno i consumatori e gli altri attori dell'economia.
Così, quando è stata adottata la direttiva del 2009 il prezzo dell'elettricità per le utenze domestiche in Francia era di 12,2 centesimi al kWh, ora è di 18,99 centesimi al kWh, con un aumento del 55%. Senza contare che si sono dovute sostenere finanziariamente queste energie in tutti gli Stati membri, quindi con fondi pubblici finanziati con le tasse, per più di mille miliardi di euro, per giungere ad un ben magro risultato: rispettivamente l' 1,9% e lo 0,6% di energia eolica e solare nel bilancio finale dell'energia (1% e 0,4% per la Francia). E l'UE si aspetta di raggiungere il 100% proseguendo su questa strada! Osserviamo che, sebbene il vincolo legislativo risalga a 20 anni fa, la ricerca di nuove soluzioni era cominciata quasi 50 anni fa, ai tempi del primo choc petrolifero. Salvo pensare che per mezzo secolo gli ingegneri siano stati un branco di somari, non si capisce bene quale soluzione potremo trovare per passare rapidamente dal 2,5% al 100%.
L'UE ci ha provato. Non la si può biasimare. Ma perseverare su questa strada è incomprensibile e dannoso, poichè il resto del mondo non la segue. Il partito comunista cinese, che intende divenire il leader mondiale indiscusso nel 2049, non pensa che a fornire alla propria popolazione energia abbondante e a buon mercato, costruendo centrali a carbone o nucleari, che gli permetteranno di disporre dell'elettricità indispensabile per fabbricare quei prodotti manifatturieri che noi non possiamo ormai più produrre, soprattutto a causa del prezzo della nostra energia. Ora, senza un rilancio dell'industria manifatturiera nell'UE, non ci saranno abbastanza posti di lavoro, rivelando così il mantra dei posti di lavoro verdi sovvenzionati per quello che è: un'illusione.
Tra il 2018 e il 2019 il puro e semplice aumento delle emissioni cinesi di CO2 ha rappresentato l'equivalente del 73% delle emissioni totali della Francia. I cinesi hanno annunciato la creazione di altri 250 GW di nuove centrali a carbone. Per fare un confronto, l'UE ne possiede in totale 150 GW e gli Stati Uniti 246 GW. I cinesi amano le grandi conferenze internazionali dove possono mettere in mostra le loro capacità diplomatiche. Sono cortesemente accondiscendenti, firmano tutto e danno così l'impressione di aderire in pieno. Ma non cambieranno niente e alla conferenza successiva torneranno a fare delle nuove promesse. La loro idea fissa è di non fare la fine dell'URSS e per evitare questo devono dominare i mercati con la tecnologia. Non aspirano ad altro se non alla dominazione attraverso la tecnologia e quindi alla dominazione geopolitica. In Cina sono gli ingegneri che dicono quello che bisogna fare, ed il governo organizza l'industria per permettere che sia davvero così, anche se noi deploriamo le condizioni attraverso le quali perviene al suo obiettivo. Loro non si tirano certo indietro e sono intenzionati a perseguire il loro progresso socio-economico senza preoccuparsi minimamente delle emissioni di CO2. La loro diplomazia "popolare" serve proprio per imbrogliare quelli che sono ancora convinti che potremo ridurre le emissioni mondiali di CO2.
Queste sono aumentate nel mondo del 58% dalla conferenza di Rio de Janeiro del 1992, quando avevamo solennemente promesso e firmato di ridurle. Com'è possibile? Come abbiamo detto, l'energia è vita e gli Stati che privilegiano il benessere dei loro popoli devono far attenzione per anteporre l'energia abbondante e a buon mercato ad ogni altra considerazione. E' un loro diritto. Gli Stati fuori dall'OCSE non cambieranno di una virgola la loro strategia energetica basata sulle energie fossili e sull'energia nucleare. Cina ed India insieme consumano quasi i due terzi del carbone mondiale.
L'UE, cosciente che gli altri aumenteranno largamente le loro emissioni di CO2, valuta di introdurre una carbon tax alle sue frontiere. Hanno dimenticato lo scacco subito dall'amministrazione George W. Bush che, nel 2002, ha imposto dazi sull'importazione di certi prodotti siderurgici al fine di proteggere l'industria siderurgica americana dal dumping straniero? Simili tariffe non funzionano in un mondo libero. Oltretutto, il ministro del commercio indiano, Anup Wadhawan, ha appena affermato esplicitamente che l'India assumerà delle misure per restare competitiva e porrà condizioni di equa concorrenza per fabbricanti ed esportatori indiani se l'UE imporrà una carbon tax sulle importazioni: "Il gioco può essere giocato in entrambe le direzioni." Osserviamo anche che l'esperienza degli anni '90 sul calcolo dei costi delle esternalità dell'energia già ci aveva insegnato che è impossibile calcolare con oggettività e precisione le emissioni di CO2 che permettono di produrre e trasportare una merce alle porte dell'UE.
E' del tutto normale che l'India non segua l'Ue, poichè 290 milioni di indiani non sono neppure collegati ad una rete elettrica, pur decisamente fragile ed intermittente. L'Agenzia internazionale dell'energia oltretutto stima che 1,2 miliardi di esseri umani nel mondo non abbiano accesso all'elettricità. E perciò non ci si deve sorprendere se questa stessa agenzia ha appena annunciato che le emissioni di CO2, che sono diminuite nei Paesi OCSE, sono aumentate in modo molto significativo in Cina lo scorso dicembre. In India, il carbone genera il 70% della produzione elettrica. Non si prevedono rallentamenti nel consumo del carbone prima del 2037, quando la produzione di elettricità dovrebbe essere il doppio del livello del 2020, in ragione di un immane sforzo di elettrificazione tale da soddisfare la rapida espansione economica dell' "ufficio del mondo". Gli 1,3 miliardi di indiani ragionano come i padri fondatori dell'UE.
Quello che abbiamo appena detto per la crescita dell'utilizzo del carbone nel mondo vale anche per il nucleare. Carbone e nucleare, che hanno procurato la prosperità prima all'Europa e oggi al mondo, sono gli aborriti paria dei dirigenti dell'UE. Nella sua ricerca disperata di una innovazione per il domani dell'energia, l'UE ha perfino resuscitato l'energia da idrogeno, un'idea del 1923. E' una soluzione che non ha assolutamente alcun senso dal punto di vista energetico ed economico, come ho dimostrato nel libro "L'Utopia idrogeno". La stessa Germania, che ha rilanciato questa idea al fine di uscire dal vicolo cieco della sua politica di transizione energetica (EnergieWende), comincia a riconoscerlo. Recentemente, in un articolo intitolato "La CO2 deve diventare più cara", il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha riferito che il ministro tedesco della Ricerca, Anja Karliczek, ha riconosciuto che l'impiego della tecnologia dell'idrogeno verde "non dipenderà tanto dagli scienziati" quanto dalle normative. Vale a dire che rischiamo di imporci nuovi vincoli costosi ed inutili, mentre l'India, la Cina e molti altri Paesi bruceranno sempre più carbone.
Nel 1991, quando arrivò a Maastricht dove avrebbe dovuto approvare il nuovo trattato istitutivo dell'UE, François Mitterrand decise di eliminare dal progetto il capitolo che prevedeva l'europeizzazione della politica energetica. Non voleva che l'avvenire energetico della Francia dipendesse da Bruxelles e Strasburgo. Oggi, per imporre la decarbonizzazione, questo è proprio il caso de facto. Controllando le emissioni di CO2, l'UE controlla la vita e lo stile di vita di ogni europeo, che non farà che peggiorare mentre si tenta di raggiungere lo zero percento di carbonio. E' questo che i cittadini europei vogliono, anche se "per salvare il pianeta"? Non sto suggerendo che i dirigenti dell'UE siano dei malcelati malthusiani o degli adepti della decrescita, ma le loro recenti decisioni avranno effetti a ciò del tutto similari, con una disoccupazione sempre più opprimente. A tutti gli effetti, essi sostengono una dispendiosa politica energetica di fondi pubblici con sussidi di importi mai visti prima, costosissimi per i cittadini e le imprese e pericolosi per lo sviluppo economico ed il benessere: il rimedio potrebbe rivelarsi decisamente peggiore del male.
E' tutto il contrario della visione dei padri fondatori dell'Unione europea, che avevano capito che l'energia deve essere a buon mercato e abbondante. Anche il resto del mondo l'ha capito. Nel frattempo, le istituzioni dell'UE e gli Stati membri vivono purtroppo nell'illusione che la loro politica energetica sia invidiata dal mondo intero. Quando qualcuno pensa di essere il leader, ma nessuno lo segue, voi come lo chiamereste?