Voci dissonanti sul karma consolatorio dell'Andrà tutto bene. Annoni Forchielli Sapelli Rampini Panebianco Testa Ricolfi Lottieri ed altri, in numero fortunatamente sempre crescente, ci confortano nelle nostre tesi. Ai loro già validissimi argomenti aggiungiamo una analisi della volontà di "alzare l'asticella" degli obiettivi già inverosimili e costosissimi del Pniec, pur in presenza di una crisi economica senza eguali dalla fine della seconda guerra mondiale, solo per scimmiottare l'insensato progetto del "Green New Deal" proposto dai "Liberal" americani. La rivoluzione culturale globalista tocca ogni ambito della società con l'obiettivo di cancellare gli ultimi valori tradizionali che resistono in Occidente. Anche il paesaggio, imprescindibile elemento culturale e identitario, è nel mirino dei furibondi iconoclasti, che in Italia lo vogliono sfregiare ed omogeneizzare con decine di migliaia di pale eoliche sui crinali e con sterminati campi di pannelli fotovoltaici.
"Per motivi non sempre facili da comprendere, nell'arena politica è ormai considerato accettabile invocare impegni complessi a piacere, senza l'obbligo di spiegare perché e come li si ritenga assolvibili."
Mi ha colpito questa frase, che è l'incipit di un articolo della Staffetta Quotidiana del 29 ottobre, dal titolo "Buio a La Spezia", che tratta del rischio di escludere la centrale a carbone spezzina dalla riconversione a gas prevista anche dal Pniec, per garantire capacità programmabile al fine di permettere la chiusura del gruppo a carbone assicurando altresì la sicurezza energetica del Paese.
"Un fatto grave per i parlamentari, per i quali siamo ormai abituati a questo approccio deresponsabilizzato agli obiettivi, sull'energia anche più che in altri settori, ma soprattutto grave per il Governo...", conclude esasperato il redattore della Staffetta, che accusa il MISE di avere realizzato un "capolavoro di pilatismo".
Proprio di questo vogliamo parlare oggi: dell'approccio deresponsabilizzato della politica italiana (ed europea) agli obiettivi, sull'energia anche più che in altri settori. Ma in particolare ci interessa analizzare la volontà di "alzare l'asticella" degli obiettivi già inverosimili e costosissimi del Pniec, pur in presenza di una crisi economica senza eguali dalla fine della seconda guerra mondiale, solo per scimmiottare l'insensato progetto del "Green New Deal" proposto dai "Liberal" (in Italia ci si augura che tutti usino questo ennesimo neologismo politically correct con intenti ironici) americani. La deriva del politicamente corretto nel lessico, oltre che quella iconoclasta nei simboli culturali e religiosi, è la più avvertibile ma non la più penetrante. La rivoluzione culturale globalista tocca infatti ogni ambito della società con l'obiettivo di cancellare gli ultimi valori tradizionali che resistono nell'Occidente ed in Europa in particolare. Anche il paesaggio, imprescindibile elemento culturale e identitario, è nel mirino degli iconoclasti, che in Italia lo vogliono sfregiare ed omogeneizzare con decine di migliaia di pale eoliche sui crinali e con sterminati campi di pannelli fotovoltaici.
Al cospetto di uno sforzo già prima così imponente e di una improvvisa crisi economica, senza eguali per le presenti generazioni, perchè altrimenti alzare ancora l'asticella introducendo politiche ambientali più incisive, come quelle prospettate dal green deal europeo? Semplice. Anche l'automutilazione delle proprie economie attraverso le "rinnovabili" elettriche con la scusa della "salvezza del Pianeta" va inserita a pieno titolo nell'indigesto polpettone buonista che ci viene costantemente proposto dai media e di cui rimangono vittima le anime più semplici. Questa follia nasce dall'eccessivo dosaggio di un mal concepito senso di colpa occidentale, che ha pure elaborato, nella sede delle conferenze per il clima dell'ONU, il tortuoso concetto delle "comuni ma differenziate responsabilità". Tale concetto permette di castrare l'industria Occidentale con politiche energetiche costosissime, facendo pagare il conto dei propri interventi agli Stati, cioè ai popoli, e, insieme, di far aumentare l'emissione globale di gas clima-alteranti prodotti da chi, questi identici sensi di colpa, non li avverte minimamente.
E quando, per puro caso, i popoli europei pensano di ribellarsi a un simile schema predatorio, allora intervengono gli organismi speciali, si costruiscono gabbie fatte di norme, regole, leggi sempre più astruse, come l'inarrivabile "regolamento governance" del "Clean energy for all Europeans package". E per impedire qualsiasi azione di governo che si ponga in contrasto contro simili piani, si istituiscono organismi internazionali che funzionano con regole e norme proprie e non rispondono a nessuno del proprio operato, però vincolano gli Stati nella loro azione.
L’eccessiva complessità delle procedure della tecnocrazia europea sta minando al cuore l’idea stessa di Europa. Malattia mentale prima che fisica e che veramente porrà in pericolo le nostre radici europee, che sono ben altre da quelle che hanno costruito in questi anni i deliri economicistici e ordoliberisti delle tecnostrutture UE.
Per contrastare questa tendenza, sarebbe indispensabile la partecipazione attenta di una opinione pubblica informata e non invasa da oppiacei e da liturgie magico-rituali come quelle a cui assistiamo ogni giorno. Su tutte le favole magico-rituali, come le definisce il professor Giulio Sapelli, spiccano quelle che potremmo chiamare le messe (non cattoliche, non protestanti…) europee, ossia quelle che celebrano i riti del salvatore-Europa. Forma di un nuovo disarmante neo-paganesimo, che gode di insospettabili sacerdoti.
Solo per questo si potrebbe parlare di dissoluzione istituzionale europea. Qual è un'altra area del mondo che è governata in questo modo surreale? Qui non è questione di eurofilia o euroscetticismo. Basta osservare i processi decisionali che reggono 500 milioni di persone di fronte alla più grave crisi economica dal 1945 per rendersi conto che in vent’anni abbiamo distrutto 27 sistemi politici nazionali in cambio di niente.
Dice Paolo Annoni nell'articolo del 26 settembre sul Sussidiario "La scoperta sulla Cina che inguaia l'Italia in Europa":
"La storia, sospettiamo, non sarà particolarmente tenera con chi ha condotto l’Europa negli ultimi dieci anni perché si è prodotto un suicidio economico e industriale prima che politico... Per l’Italia è peggio perché la sua competitività “burocratica” ed “energetica” è certamente peggiore di quella tedesca. Caricare il sistema industriale di costi per inseguire il sogno del green new deal con tecnologie che sono ancora molto immature è pericolosissimo... La gestione tedesca è stata miope e sconsiderata; nella politica tedesca si sta facendo strada la consapevolezza dell’errore che oggi rischia di essere pagato caro sia in termine economici che geopolitici. Il rischio è che la dipendenza dalla crescita cinese diventi un abbraccio mortale. La consapevolezza in Italia invece è inesistente... La Germania, di solito, è l’ultima ad accorgersi degli errori strategici; non dovremmo però essere molto lontani da questa consapevolezza".
Annoni prosegue il suo ragionamento nell'articolo "Se Governo e rivoluzione verde mettono a rischio il nostro asset strategico":
"Aggiungete a questo “problema” la follia italiana e tedesca della “rivoluzione verde” che non solo è costosissima per i consumatori, ma che ammazza la competitività delle imprese per tecnologie la cui sostenibilità, sia economica che ambientale, è tutta da dimostrare... L’eolico e i pannelli solari non sono una soluzione per un Paese industriale che non voglia ammazzare consumatori e imprese con costi energetici fuori mercato".
È un’analisi rozza solo all’apparenza perché in una fase in cui interi settori economici, pensiamo al turismo, vengono spazzati via, andare per il sottile nelle analisi è non solo inutile ma anche profondamente sbagliato. Si deve ragionare in modo semplice e immediato, prendendo in considerazione i fondamentali di base degli attori in campo: coesione politica, proiezione geopolitica, militare, alleanze e così via. Purtroppo oggi l’Europa è solo un blocco commerciale senza coesione politica, senza forza militare e perciò senza una proiezione geopolitica vera e autonoma. L'Unione Europea ormai si è svelata per che è, una macchina burocratica lenta, guidata da un'oligarchia miope e priva di ogni slancio ideale.
Sono quasi due anni (a iniziare dai gilet gialli in Francia) che in tutta Europa i popoli in qualche modo manifestano contro i governi per queste politiche a guida tedesca che avvantaggiano i ricchi e i furbi e impoveriscono la gran parte della popolazione. Purtroppo la Germania, quando esprime una posizione, tende ad andare fino in fondo senza badare troppo alle conseguenze. Finora sono state manifestazioni sostanzialmente pacifiche, ma non hanno ottenuto nulla e gli animi si stanno esasperando.
Anche in un recentissimo working paper della Oxford School of Enterprise and the Environment si ribadisce che la compresenza di più obiettivi ugualmente imprescindibili e risorse limitate, impone di concentrarle solo dove tali obiettivi si sovrappongono e si sostengono a vicenda: misure per il clima solo se sostengono una rapida ripresa economica.
E in Italia?
Sul Sole 24 Ore del 14 maggio a firma Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani compariva un articolo ("La temibile sindrome dell’andrà tutto bene") che dipingeva la situazione attuale come quella che si respira negli Stati appena prima del fallimento, in cui i Governi sono obbligati a mantenere la finzione che “andrà tutto bene” appena prima del botto finale, per poter governare il collasso e per evitare che la gente realizzi quello che sta accadendo:
“Le bancarotte degli Imperi e degli stati sovrani sin dall’epoca romana, passando per la corte di Versailles, l’Impero Ottomano fino all’Argentina del 2020, presentano una caratteristica comune: «la Sindrome dell’Andrà-Tutto-Bene». In sostanza, fino a quando non si verifica l’irreparabile collisione con l’iceberg della realtà, le élite politiche alimentano al loro interno e nell’opinione pubblica un circolo vizioso di abbagli sempre più allucinati, tra la costernazione degli osservatori esterni, lo sconforto dei pochi rimasti lucidi e gli applausi scroscianti dei sicofanti... Analogamente l’Italia del 2020 manifesta quasi tutti i sintomi dello stato prefallimentare. L’epidemia – affrontata con atavica impreparazione – ha inferto un’accelerazione (tipo salto nell’iperspazio) al disfacimento... Finora l’Italia ha evitato la bancarotta grazie al sostegno della Banca centrale europea e all'accordo sui programmi straordinari della Ue... Però non possono estendersi all'infinito, garantendo selettivamente la linfa vitale a governi dediti allo spreco delle risorse pubbliche nonché oberati da oneri finanziari e pensionistici che, senza l'intervento massiccio della Bce, sarebbero insostenibili. Quindi il rischio default non è dissipato e il Recovery fund non sarà affatto risolutivo, anzi costituirà in buona parte debito aggiuntivo... Non sorprende quindi che l’Italia sia in preda alla Sindrome dell’Andrà-Tutto-Bene.”
È significativo che un articolo di questo tenore abbia fatto la sua comparsa sul quotidiano della Confindustria. Il fallimento dello Stato italiano non è più un’ipotesi di scuola, ma un tema di cui si discorre sul giornale degli imprenditori, oltre che, ovviamente, negli uffici delle banche d’affari o tra i commentatori internazionali.
L’Italia intanto (e non solo la sua politica) si concede il lusso di pensare a come risolvere problemi che vengono dopo le questioni fondamentali. La prima delle quali deve essere la ripresa economica. Così come non crede – e questo è certamente ancor più grave – che ci siano ancora gli spazi per un progetto di vita, tanto è vero che il nostro tasso di natalità è il più basso d’Europa, continente pure in preda ad un implosivo tracollo demografico.
Il lockdown della scorsa primavera aveva provocato, tra le altre cose, una riduzione della domanda di combustibili e prezzi negativi del petrolio e dell'elettricità sui mercati internazionali. Una circostanza a tutti gli effetti catastrofica accolta in Italia con una totale incapacità di coglierne le implicazioni, anche le più immediate, e financo con gioia, non solo dagli sciagurati ambientalisti mainstream, ma anche da ampie porzioni dell'attuale maggioranza governativa. Il tutto accompagnato dagli strani silenzi degli economisti. Non per niente la parte del mondo che ha fatto peggio di tutti e che oggi insegue green new deal suicidi per le imprese è l'area euro. Gli economisti, specie quelli italiani, sono quasi sempre governativi. Specie se i governi sono alla guida di un settore pubblico che si allarga. Ed in particolare se i governi si contornano di task force e comitati e forniscono, direttamente o indirettamente, incarichi, prebende e simili.
Nelle sue già negative "proiezioni macroeconomiche per l'economia italiana" del giugno scorso, la Banca d'Italia precisava che "neanche in questo scenario, peraltro, si considerano eventuali effetti, non lineari e difficilmente quantificabili, che potrebbero derivare da episodi diffusi di insolvenza tra le imprese... o da nuove ondate epidemiche globali." Ora la seconda ondata è arrivata.
Questo significa che, purtroppo, non abbiamo ancora visto nulla di quello che ci sarà. Già per centinaia di migliaia di lavoratori si poneva il problema di riqualificarsi. Una sfida che non può essere affrontata con infornate di assunzioni pubbliche o con immaginifiche e costosissime “rivoluzioni verdi”, ultima delle quali è la recente riproposizione della già fallita "economia dell'idrogeno", propalata nel 2002 dal peggior Rifkin. Con alle spalle già questi problemi sociali si prospettano ora gravi rischi quando la crisi economica comincerà davvero a mordere e potrebbe intaccare l'occupazione dei tanti che oggi si sentono garantiti dallo Stato.
C'è il rischio molto elevato che in Italia si inneschi una depressione duratura e destabilizzante.
La crisi dà la misura della confusione e della distanza dalla realtà di alcuni attori che sembrano vivere su un altro pianeta o vagheggiano un piano Marshall piovuto dal cielo in cui tutto sarà possibile e conterà su risorse illimitate, indirizzabili in qualunque direzione. C'è il sentimento diffuso che ogni problema possa essere risolto con risorse pubbliche senza limiti e che basti un forte programma congiunturale per rimettere in piedi l'economia. Ma lo Stato non può sostituirsi al fatturato per sempre.
Quanto fatto finora dal governo è stata un’operazione politica che consente di arrivare a fine legislatura e di lucrare sulle infinite sacche di rendita che nel frattempo si possono accumulare. È perciò possibile che il cinismo e la spregiudicatezza che osserviamo non si fermino nemmeno davanti al disastro economico.
Fino a quando non si ritornerà ad avere un’economia produttiva ed un governo autorevole, qualunque discorso “green” o “inclusivo” non saranno che slogan retorici per un pachiderma che non può più muoversi. Così, il recente programma dei 500 mila nuovi posti di lavoro nell'economia "green" annunciato dal ministro del lavoro Nunzia Catalfo appare a tutti per quello che è: un libro dei sogni.
Nella stessa categoria si inserisce anche la bella pensata dei tagli ai SAD (Sussidi Ambientalmente Dannosi). La tassazione ambientale è cosa estremamente seria. Usarla di fatto per aumentare il gettito produrrà solo il risultato di far considerare l’ambiente un ulteriore strumento dell’ingordigia fiscale dello Stato e un nemico della crescita economica. Anche questi tagli si concretizzeranno in extra-costi gravanti principalmente sulle piccole e medie imprese esposte alla concorrenza, che però generano la componente qualitativamente più significativa del reddito nazionale in termini di occupazione e di equilibrio della bilancia commerciale. Se la riduzione dell'inquinamento si accompagna alla povertà di massa, osserva Federico Rampini sulla Repubblica, molti elettori si scopriranno un animo da gilet gialli, rimpiangeranno il capitalismo carbonico e voteranno per chi vuole rilanciare l'economia a qualsiasi costo.
Come osservavano sul Quotidiano Energia del 14 maggio gli Energy Advisors nell'articolo "Consumi elettrici, tornare ai livelli ante-virus non sarà facile", "negli ultimi anni la domanda è rimasta praticamente inchiodata, con un 1% in più o in meno sui 320 TWh del 2009. Difficile ora immaginare che dopo la caduta di quest'anno si recuperino rapidamente i livelli di consumo degli anni precedenti, anche perché le misure di sostegno all'economia finora adottate hanno un carattere prevalentemente assistenziale... Rimane da sperare nel Recovery Fund europeo, che richiede comunque, oltre alle disponibilità finanziarie, il dispiegamento di capacità progettuali e visione strategica. In questo contesto il sistema energetico in tutte le sue componenti, power, gas, oil, deve riorientare scelte e priorità."
Ma qui sta il busillis. Angelo Panebianco lo ha espresso efficacemente sul Corriere la scorsa settimana: "E' davvero sicuro che nei gangli vitali della nostra vita pubblica ci siano, in maggioranza, persone interessate a favorire la ripresa economica del Paese?"
Ci vogliono le migliori, e ultime, intelligenze della Nazione, altrimenti la situazione sfuggirà di mano. Da qui la necessità di ricreare una classe dirigente, non solo politica, per questo Paese caduto in una crisi che continua a durare, in questa forma, almeno da trent’anni. Temiamo però che, anche in questo caso, queste siano parole al vento, tanto si è attirati dall’attesa del grande caos, come regolamento dei conti finale o come incubo da superare indenni per uno strano miracolo.
Meglio comunque questa sfida, sia pure con le sue prospettive ferali, a quella che era una lenta ed inesorabile bollitura della rana.
Andrà tutto bene? Finora non c’è motivo per cui questa brutta storia debba finire bene.
Negativo anche Chicco Testa sul Foglio del 20 aprile nell'articolo "No, dalla crisi non usciremo migliori e con maggiori risorse":
"Mai tante volte il binomio crisi/opportunità è stato citato come in questa lunga crisi. Ma l’idea che i cambiamenti avvengano attraverso le crisi non è né particolarmente vera né particolarmente attraente... A me risulta esattamente il contrario. Che è durante i periodi di crescita economica e di benessere che si migliora e le innovazioni aumentano la qualità della nostra vita. Come è avvenuto negli ultimi cinquant’anni della nostra storia. Ma a qualcuno non pare vero usare il coronavirus per colpevolizzare il passato. Leggasi per esempio, una vera summa, il dialogo fra Gustavo Zagrebelsky e Paolo Vineis dal titolo avventurosamente programmatico “Un pianeta tutto da rifare”. Vasto programma, quasi divino... L’errore è sempre quello ed è duplice. Da una parte una sorta di pagano neopanteismo che identifica la natura come un organismo razionale e un bene in sé, addirittura dotata di “anima”, e l’uomo come l’intruso colpevole. Visione avvalorata anche, e questo è alquanto stupefacente, da Papa Francesco, che non a caso è citato continuamente. Dall’altra il rifiuto del mondo e dell’umanità in quanto tale, nella sua storia data e nel suo “crescere e moltiplicarsi”. E sì, siamo 7 miliardi e rotti e questo certo comporta qualche problema in più. Ma la totale assenza di logica non ferma i fautori del nuovo mondo. Temo però che potrebbero restare delusi. Perché una crisi di questo genere, soprattutto se perdurasse, non rende la gente migliore e non moltiplica le risorse disponibili, ma esattamente il contrario. E’ nei periodi di crescita che si ha la possibilità di immaginare un futuro positivo. Per una ragione molto semplice: si hanno le risorse per farlo... Pensare che l’uscita da questa situazione, sotto la guida illuminata dello stato italiano, possa assumere caratteri positivi mi pare piuttosto illusorio. Saremo piuttosto di fronte a un impetuoso ritorno di bisogni materiali primari a fronte di un impoverimento generale. La crisi opererà in maniera selettiva. Scartando e mettendo da parte illusori orpelli con cui ci siamo trastullati negli anni passati. Sopravvivranno tecnologie e sistemi di produzione realmente capaci di produrre valore aggiunto. A dura prova sarà messa anche la transizione energetica green."
Non va meglio con il professor Luca Ricolfi, in una intervista di Pietro Senaldi pubblicata su Libero del primo giugno dal titolo "Coronavirus? Ci siamo bevuti ogni racconto delle autorità":
"L'Italia rischia di fallire? «Sì, lo temo. Questo governo sta prendendo con molta allegria soldi che non ha e prima o poi i mercati, ancor più delle autorità europee, ci chiederanno il conto... Gli italiani mi hanno sorpreso per la loro docilità e il loro scarso amore per libertà e democrazia. Abbiamo bevuto tutto ciò che le autorità ci dicevano... Possiamo lamentarci fin che vogliamo del governo Conte e della sua “acostituzionalità” (così lo ha qualificato un giurista eminente come Sabino Cassese), ma resta il fatto che lo abbiamo digerito più che bene, come cittadini e come mass media: in democrazia, ogni popolo ha i governanti (e i giornalisti) che si merita»."
Analogamente il professor Carlo Lottieri, sul Giornale del 17 giugno scorso nell'articolo "Nel Paese dei sussidi che dimentica le imprese":
"La nostra è una società che, a tutti i livelli, è in attesa di aiuti pubblici che, il più delle volte, non ci sono e non arriveranno. Non soltanto la miseria è divenuta un fenomeno di massa, ma spesso siamo psicologicamente incapaci di reagire, dominati dall'illusione che debbano essere altri a risolvere i nostri problemi. Insomma, non assomigliamo in alcun modo all'Italia dell'estate del 1945, che si trovava tra macerie materiali e morali, ma aveva la consapevolezza che con il proprio lavoro avrebbe potuto ripartire. Colpisce, in questo quadro, l'assoluta inconsapevolezza di un governo che continua a moltiplicare regole e misure a favore di questo o quel gruppo, quando invece sarebbe necessario comprendere le vere radici della povertà: un insieme di leggi e imposte che stanno progressivamente riducendo la produttività delle imprese. E quando il sistema produttivo si ferma, sono proprio gli ultimi a pagare il prezzo più elevato... «Tutto andrà bene», dicevano nei giorni scorsi gli striscioni messi sui balconi e alle finestre. Con questa classe politica non è possibile e sicuramente non sarà così."
Il tutto con un eccesso di zelo, da parte delle nostre élite, che sta distruggendo la struttura industriale e l'equilibrio sociale della Nazione. Proprio come in Venezuela.
Alberto Cuppini