Pnrr appesantito dal costoso pregiudizio fintoecologista

Italia Oggi (e non solo) contro l'insensato spreco del Pnrr ed in particolare contro i progetti afferenti la "rivoluzione verde". I lobbysti delle "rinnovabili" elettriche, invece, sono terrorizzati da un suo possibile fallimento. Ne hanno ben donde, specie dopo le dichiarazioni del capogruppo leghista Molinari e del ministro Urso. Tali affermazioni di un ministro della Repubblica (ridurre le emissioni, ma senza forzare tutto sull'elettrico) in una sede istituzionale lasciano intendere, dopo tanti - troppi - anni, una radicale modifica dell'approccio, finora incondizionato, del governo italiano al karma mainstream della "decarbonizzazione integrale".

 

Stamattina su Italia Oggi un articolo politicamente scorretto di Gianni Pardo: Pnrr, domande imbarazzanti.

Ne riproponiamo di seguito solo qualche breve passaggio perchè l'articolo, di cui raccomandiamo la lettura integrale, è liberamente disponibile, come gli altri che segnaleremo di seguito, sul sito web di Italia Oggi:

 

"Il Pnrr è nato per «permettere lo sviluppo verde e digitale del paese». Non per risanare l'economia. Non per ripianare il debito pubblico. Non per aumentare il prodotto interno lordo. Non per abbassare le tasse. Solo per favorire lo sviluppo verde e digitale del paese. Già a questo punto bisogna dire che se lo sviluppo verde e digitale del paese fossero economicamente convenienti, non ci sarebbe nessuna necessità di incentivarli.

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il Pnrr non aveva come obiettivo un rilancio dell'economia (cioè, per parlare come si mangia) di ottenere dei ricavi superiori agli investimenti, ma quello di realizzare degli ideali, per la maggior parte «in perdita». Cose che si potrebbe permettere chi ha un surplus di risorse rispetto a quelle necessarie, non qualcuno che già oggi ne ha di meno di quelle necessarie, tanto da avere un debito pubblico mostruoso.

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Dunque è inutile parlare di «energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici» perché queste sono tutte voci di spesa. E l'Italia in tanto si potrebbe permettere queste spese (ricordiamoci che per due terzi il Pnrr è costituito da nostri debiti) in quanto in fondo al tunnel ci fosse un profitto superiore all'investimento. E proprio non si vede.

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molta gente dovrebbe convincersi che «verde» non significa «salvifico» e men che meno conveniente. Ciò che è verde è spesso un lusso, qualcosa che si paga di più, come tutto ciò che si fregia del magico labello bio."

 

Sempre oggi sullo stesso quotidiano economico si può leggere l'articolo di Carlo Valentini "Sono davvero utili tutte le spese Pnrr?", che in conclusione cita lo studio dell'Istituto Bruno Leoni "PNRR: spendere meno, spendere meglio":

"«Sono davvero tutte utili e necessarie le opere previste? Ed è ragionevole andare a incrementare ulteriormente il nostro già colossale debito pubblico pur di incassare integralmente non solo i trasferimenti a fondo perduto, ma anche i prestiti? Il Pnrr contiene diversi interventi effettivamente utili, pensiamo alla digitalizzazione del settore pubblico e della giustizia. Ma altre misure sono discutibili. Le gare deserte per i treni a idrogeno o l'incapacità di rispettare l'impegno a piantumare gli alberi sono solo gli esempi più pittoreschi». Una rivisitazione unitaria e non dogmatica del Pnrr consentirebbe di superare in modo positivo l'impasse."

 

Appare evidente la campagna di stampa di Italia Oggi contro l'insensato spreco del Pnrr ed in particolare contro i progetti afferenti la "rivoluzione verde" e la "transizione ecologica". Sempre da Italia Oggi e sempre sui "progetti demenziali" (sic) del Pnrr segnaliamo anche l'articolo di Tino Oldani di martedì scorso "L'impossibilità di realizzare il Pnrr è figlia delle politiche di austerità Ue":

"Non stupisce che il Pd e la sinistra contestino tale riscrittura (del Pnrr. Ndr), con assist non richiesti alla burocrazia di Bruxelles. Una burocrazia che, a furia di regole demenziali imposte dall'alto ai paesi membri, appare sempre più come un copia e incolla del centralismo sovietico dell'epoca brezneviana. E neppure c'è da stupirsi se cominciano ad emergere alcune stroncature documentate del Pnrr... Anche per questo c'è chi, come Musso su Atlantico Quotidiano, non esita a stroncare il Pnrr: "E se il suo flop non fosse un peccato, ma una benedizione?".

 

I lobbysti delle "rinnovabili" elettriche, invece, sono terrorizzati da un suo possibile "fallimento".

Ne hanno ben donde. Riproponiamo il passaggio di un nostro post sulle dichiarazioni dell'allora presidente del Consiglio Draghi, che ha approfittato dell'urgenza dei lavori del Pnrr per procedere a spallate (come nel caso dell'impianto dell'Agsm Verona al Giogo di Villore) con l'intento di ricoprire in pochi anni l'Italia di pale eoliche e pannelli fotovoltaici:

 

"Ma quello che nell'immediato più ci preoccupa è questa frase (di Draghi), in cui si afferma la volontà governativa di “rispettare l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza di 70 GW di rinnovabili entro il 2026. Se si sbloccano le autorizzazioni però." Con la massima nonchalance, il presidente del Consiglio ci fa sapere che l'obiettivo per le rinnovabili previsto dal Pniec per il 2030 viene anticipato al 2026, ossia finchè ci sono da sperperare i soldi della "Next Generation". Non solo bisogna fare in fretta: bisogna fare più in fretta. I barbari saranno contenti: le loro pretese sono state, almeno in parte, soddisfatte."

E' invece sbalorditivo che finora nessuna organizzazione ambientalista abbia sollevato obiezioni sulle ormai palesi finalità insensate e predatorie del Pnrr, evidenti ai più smaliziati fin dall'inizio. Ricordiamo qui un altro ignorato post nell'edicola RRC di un anno e mezzo fa rivolto agli amici della coalizione articolo 9, rammentando loro che, per denunciare le aggressioni ai territori sottese al Pnrr, è pur sempre meglio tardi che mai.

Questi timori dei lobbysti sul depotenziamento della spesa (destinata a finire nelle loro tasche) del "Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza" si sono concretizzati con la dichiarazione di lunedì scorso del capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari, come abbiamo letto nell'articolo "Molinari rompe il tabù sul Pnrr: "Servono davvero tutti i fondi?" su La Verità del 4 aprile:

 

"Ieri il capogruppo alla Camera della Lega , Riccardo Molinari, per la prima volta ha ipotizzato pubblicamente la possibilità di rinunciare a una parte dei circa 192 miliardi, 122 dei quali in prestito e 70 a fondo perduto, destinati all'Italia dall'Unione Europea... "Il problema semmai sono i vincoli di spesa e occorre chiedersi se serva veramente impiegare così tanti fondi su certe partite... ha senso indebitarsi con l'Ue per fare cose che non servono?... Forse sarebbe il caso di valutare se rinunciare a una parte dei fondi a debito"."

 

Ma se queste sono opinioni di un capogruppo, ancorchè di maggioranza, ben più importanti appaiono le dichiarazioni in Parlamento del ministro delle Imprese Adolfo Urso. Nell'articolo di oggi sul Foglio a firma Maria Carla Sicilia dal titolo Rottamare, non elettrificare: Urso cambia strategia sugli incentivi alle auto leggiamo:

 

"Mentre a Bruxelles la Commissione progetta un futuro elettrico, a Roma il ministro invita a “prendere atto della realtà” e dice: "Dobbiamo aiutare a sostituire i mezzi più inquinanti, non chi si può permettere un'auto elettrica"

 

Durante un question time alla Camera Urso ha infatti lasciato intravedere la fine, o quanto meno il deciso ridimensionamento, degli incentivi alle auto elettriche: "Va incentivato chi deve svecchiare la vettura non chi, invece, ha la facoltà per permettersi un'auto elettrica anche perchè rottamare è la vera priorità ambientale". Commenta il Foglio:

 

"dirottare i fondi inutilizzati verso i motori termici più efficienti è una possibilità... Nella strategia del governo a cambiare è il paradigma ma non l'obiettivo: ridurre le emissioni, ma senza forzare tutto sull'elettrico."

 

Tali affermazioni di un ministro della Repubblica in una sede istituzionale lasciano intendere, dopo tanti - troppi - anni, una radicale modifica dell'approccio, finora incondizionato, del governo italiano al karma mainstream della "decarbonizzazione integrale". In Italia, nel proporre soluzioni ai problemi ambientali, si torna dunque al realismo e alla serietà? Bye bye a Greta e alle scalmane ideologiche degli adoratori del Dio Tutto Elettrico?

Andiamoci piano. Dobbiamo ancora fare i conti con scalmanati dalle spalle ben più larghe di quelle della "Piccola Greta" e delle ragazzine che fanno fughino il venerdì. Facciamo nostra la conclusione (solo il grassetto è nostro) del professor Davide Tabarelli nell'articolo "Il price cap di Madrid funziona", che campeggiava sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore del 31 marzo:

 

"Ieri è stato trovato un accordo tra Parlamento (Europeo. NdR) e Consiglio sulla nuova direttiva rinnovabili, con un obiettivo al 2030 del 42,5% del loro peso sul totale consumato, quasi il doppio dell'attuale 22%, quota che per raggiungerla, basta pensare all'idro, ci abbiamo messo più di un secolo. Una decisione che ha carattere surreale, un obiettivo che è impossibile da raggiungere in soli 7 anni, e che la dice lunga su come Bruxelles non abbia capito la lezione. Per fortuna arrivano le elezioni europee fra un anno".

 

 

Alberto Cuppini