"Quale paese produttore riterrà conveniente investire ed esporsi verso un continente che sul lungo termine ha decretato come irrinunciabile l'abbandono delle fonti fossili, gas compreso?"
Con appena quella ventina d'anni di ritardo, dopo le sperticate lodi alle irresponsabili tesi delle COP Onu e alle politiche di "decarbonizzazione", il Corriere della Sera si pone questa domanda dirimente. Peccato che, nel frattempo, nessuno abbia più investito, o lo abbia fatto in modo del tutto insufficiente, nelle "fonti fossili" che adesso mancano e (sorpresa!) appaiono irrinunciabili per non ripiombare nell'Età della Pietra.
Se ne sono accorti, in questo articolo annunciato oggi in prima pagina e scritto a quattro mani, Stefano Agnoli (editorialista di punta del Corriere per il settore energia dopo la misteriosa scomparsa dai radar di Massimo Mucchetti, esitante verso il "tutto rinnovabili", al termine della sua esperienza parlamentare) e Milena Gabanelli.
Ma se errare è umano, perseverare è diabolico: dopo aver preso atto del disastro ormai avvenuto e dell'impossibilità di porvi rimedio in tempi rapidi (ossia in qualche anno, a voler essere ottimisti), leggiamo:
"Anche installare 8GW di energie rinnovabili l’anno, come previsto dalle strategie energetiche nazionali e "facilitato" dall’ultimo decreto, potrebbe contribuire a diminuire di 2,5 miliardi di metri cubi il bisogno di gas".
Dopo avere finalmente posto il dubbio sul problema irrisolvibile dell'abbandono dell'upstream delle fonti fossili a seguito della politica energetica europea di decarbonizzazione, nello stesso articolo si torna a proporre, almeno come soluzione parziale, l'installazione di quelle quote stragrandi di "rinnovabili" previste nelle "strategie energetiche nazionali" pretese dall'UE per la decarbonizzazione integrale al 2050. Così i paesi produttori delle fonti fossili si precipiteranno certamente a "investire ed esporsi" verso l'Europa...
Capisco scrivere l'articolo a quattro mani, ma almeno le due teste dovrebbero mettersi d'accordo.
Alberto Cuppini