E' iniziato sul nuovo numero della Rivista Energia un dibattito sui limiti delle COP dell'ONU e sulle proposte di un loro superamento, necessario per imprimere una svolta nell’azione globale, fin qui irrilevante, contro i cambiamenti climatici.
E' stato pubblicato il primo numero della Rivista Energia dell'anno 2022, un numero particolarmente ricco di spunti di riflessione: non mancano critiche all'AIE, alla falsa narrazione della "transizione energetica" ed alla sudditanza, in tale materia (ma non solo, aggiungiamo noi), della Commissione Ue da Berlino. Sono tutti, storicamente, cavalli di battaglia della Rete della Resistenza sui Crinali e, per ciascun tema, le critiche della Rivista Energia saranno oggetto di altrettanti nostri post di chiosa nelle settimane a venire.
Oggi, però, su qualsiasi altro argomento intendiamo privilegiare l'inizio di un ormai imprescindibile dibattito sull'inefficacia e sui limiti delle Conferenze delle Parti (COP) dell'ONU per il clima, "e sulle proposte di un loro superamento, ritenuto da molti (a cominciare da noi) necessario per imprimere una svolta nell’azione globale di mitigazione dei cambiamenti climatici". Limiti ancora più evidenti dopo la pubblicazione, poche settimane fa, dei dati catastrofici del nuovo rapporto IPCC che sanciscono, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, il fallimento delle politiche ispirate dalle COP.
Ecco un'ampia sintesi della presentazione del nuovo numero della rivista fatta dal suo direttore Alberto Clò sull'inefficacia delle COP sul clima:
"In questo quadro, le grandi aspettative alimentate alla fine del 2021 dal duplice appuntamento del G20 a Roma e della COP26 di Glasgow non hanno trovato riscontro, checché se ne dica, nella pochezza dei loro risultati, al di là di quelli mediatici. Molti auspici, molti vaghi impegni ma nessuna decisione operativa, mentre non si è potuto che (ri)constatare la grande divergenza di interessi tra i paesi, specie sulla questione cruciale della riduzione degli usi del carbone. Il cammino verso l'obiettivo net-zero richiederebbe invece una fortissima cooperazione internazionale ostacolata anche da potenziali conflitti geopolitici legati alle nuove filiere produttive, al consolidarsi di nuove potenze energetiche, al ridursi del commercio energetico internazionale.
Merita allora riflettere se la responsabilità del poco che si è ottenuto nell'ultima COP sia da addebitarsi all'oggettiva complessità della transizione energetica e alla difficoltà di individuare punti di convergenza tra i distanti e divergenti interessi delle parti; ovvero alla stessa configurazione organizzativa e alla governance delle Conferenze delle Parti, ove l'eccessivo numero di partecipanti ha contribuito a rendere impossibile il raggiungimento dell'unanimità sul testo finale, mentre l'impedimento anche solo a partecipare agli interessi costituiti, quali le industrie degli idrocarburi e nucleare, le rendeva sostanzialmente vuote di contenuto."
Leggiamo dalla relazione fatta dalla Staffetta Quotidiana:
"Nel suo articolo a pagina 40 Clô propone di affiancare su specifiche tematiche «tavoli tecnici» in cui coinvolgere tutti i principali "stakeholder" con l'impegno di individuare soluzioni e tempi vincolanti per abbattere le emissioni. Soluzioni da sottoporre poi alle COP per una loro ratifica. Proposta condivisa da G. B. Zorzoli."
Noi non intendiamo approfondire le posizioni del Prof. Zorzoli, già presidente di FREE - il coordinamento dei lobbysti pardon degli "stakeholder" delle rinnovabili - perchè tali posizioni sono state fin troppo amplificate dalla grande stampa per oltre un decennio, con i risultati ed i costi in bolletta che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Prosegue la Staffetta:
"A sua volta Enzo Di Giulio, dopo aver evidenziato come Glasgow sia solo l'ultimo di una serie di tracolli negoziali caratterizzati dal «baratro tra parole e numeri, retorica e impegni reali», ravvede la necessità (a pagina 47) di accelerare il passo delle COP come sinora vissute. Concludendo che l'ipotesi di tavoli tecnici ad hoc può generare risultati positivi, perché in ultimo «il mercato e le aziende rappresentano lo scheletro che sostiene il futuro mondo green, come oggi sorregge quello fossile». L'inefficacia delle COP dovrebbe, ad avviso di Di Giulio, portare a preferire un «G20 del clima» opportunamente adattato, grazie anche al molto ridotto numero di partecipanti."
L'idea della sostituzione delle grottesche COP ONU, apoteosi dell'assemblearismo di stampo sessantottino e che piacciono tanto alle élite occidentali, con il G20 come sede più appropriata per affrontare il problema dei cambiamenti climatici era una delle precondizioni da noi indicate da sempre. Le altre due, persino più ardue da conseguire, sono l'istituzione dell'Imea, una tassa europea sull'impronta carbonica di tutti i beni e i servizi consumati in Europa (che è tutt'altra cosa rispetto alla prevista Carbon border tax), e la revisione dei meccanismi formativi della volontà popolare nell'Unione ed in particolare del ruolo della Commissione.
Il professor Di Giulio ha poi proseguito la sua analisi critica delle attuali politiche di riduzione delle emissioni nel post pubblicato il 15 Marzo sul blog della Rivista Energia, "Dalla crisi ucraina lezioni anche sul fronte CO2".
Merita riportare le sue conclusioni:
"Poiché, di certo, sfonderemo il nostro budget, restano due alternative: la prima è rappresentata dalle emissioni negative, ovvero bilanciare nel futuro le emissioni pregresse già accumulate nell’atmosfera, attraverso forme di compensazione naturale (es. foreste) o tecnologica (es. cattura diretta della CO2). È possibile? Riusciremo a fare, in futuro, molto più di quanto dovremmo fare oggi e non riusciamo a fare?
La seconda alternativa è rappresentata dall’adattamento, ovvero il contrasto degli effetti negativi indotti da un cambiamento climatico che non siamo riusciti a evitare. È un’opzione che, dati alla mano, il genere umano farebbe bene ad approfondire.
In sintesi, nell’ambito della questione climatica, il 2021 rappresenta un altro anno perso. I dati gettano una luce negativa sull’efficacia degli accordi internazionali. Parigi e le varie COP appaiono un dichiarare per dimenticare, un wishful thinking, un credere vero qualcosa che si desidera sia vero.
Che cosa? Che la transizione possa essere realizzata celermente, e pilotata dall’alto, dalla mano visibile e potente del policy maker. Ma i dati ci dicono che, fino ad oggi, la mano invisibile dell’economia è ancora quella più forte. Ed è fatta di carbonio."
Sempre sul blog della Rivista Energia, nel post del 21 marzo "Oltre le COP", Il professor Clò ne ha dedotto:
“Di qui l’ipotesi di costruire sull’esistente, semplificando il processo attraverso la riduzione del numero dei paesi coinvolti nel negoziato. Il ragionamento è semplice: i 20 paesi più ricchi del mondo producono circa l’85% del PIL mondiale, generando l’80% delle emissioni globali. Dunque, perché non ipotizzare un G20 del clima che, riducendo di un ordine di grandezza il numero delle parti coinvolte nel negoziato, lo semplifichi considerevolmente? Di certo, saremmo di fronte a un indebolimento della condivisione della decisione, ma mai come in questo caso si applica la massima «il meglio è nemico del bene»”.
Inutile aggiungere altro. E' esattamente quello che noi auspichiamo da anni per impostare politiche serie di contrasto, mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Siamo d'accordo con Clò al duemila per mille.
Anche se non è elegante citarsi, conviene qui riproporre quanto da noi sostenuto alla Camera dei Deputati già il 25 novembre 2019 in occasione delle audizioni della X Commissione Attività produttive sulla SEN e sul PNIEC al 2030:
"Appare necessario non affidarsi più, per affrontare il problema della riduzione della emissione globale dei gas clima-alteranti, nè ai cavillosi regolamenti dei tecnocrati della Commissione europea ad egemonia tedesca nè al pensiero unico dell'integralismo ambientalista a cui si è ispirata la COP21 di Parigi. Il tema principale della politica, oggi, è salvare l'Unione Europea da regole troppo stringenti, in particolare da quel misto di ordoliberismo e neomercantilismo che la sta soffocando. E' indispensabile cambiare l'Europa per non sfarinarla ed anzi utilizzarla come volano di sviluppo. Se si confermassero le politiche in essere, lo sfaldamento già avviato sarebbe destinato ad accelerare. Il primo segnale per dimostrare che la rotta è cambiata dovrebbe essere l'immediata abolizione del Clean Energy Package, a cui dovrebbe seguire un diverso approccio europeo verso le COP dell'Onu (definite da Lucio Caracciolo "incentivo al turismo di massa delle élite, non certo alla riduzione delle emissioni di CO2"), pretendendo come condizione preliminare, prima di spendere un altro euro o di intraprendere nuove politiche restrittive, che tutti gli altri Paesi si conformino ai migliori standard europei di efficienza energetica."
Il fatto che il professor Clò ed altri cattedratici, per disperazione, sentano oggi il dovere di sfidare l'impopolarità per mettere in dubbio il pensiero unico globalista delle COP, dell'AIE e della Commissione UE sulla natura salvifica delle rinnovabili elettriche per risolvere il problema dei cambiamenti climatici lascia intendere che il nostro - improprio - ruolo di supplenza stia finalmente per terminare. Per cui ci auguriamo di tornare presto a ciò che ci è proprio, cioè alla difesa dei nostri territori dalla speculazione eolica, che delle COP e di tutto il resto è stata figlia. Anzi: non ci auguriamo affatto di tornare a contrastare gli speculatori eolici. Ci auguriamo che, con il superamento delle COP ONU, la speculazione eolica, così come è cominciata, abbia termine altrettanto all'improvviso.
Alberto Cuppini