L'editrice il Sole 24 Ore, che già lo ospitava nel blog Econopoly, ha recentemente pubblicato il libro "La decarbonizzazione felice" di Enrico Mariutti. Le sue critiche alla green economy incentrata sulle rinnovabili elettriche ricalcano quelle della Rete della Resistenza sui Crinali negli stessi termini di sostenibilità sia ambientale che economica.
"Da anni ci sentiamo ripetere che le energie rinnovabili stanno diventando competitive ai prezzi di mercato e più recentemente c’è anche chi sostiene che siano diventate più economiche dei fossili. In realtà nel 2019 impianti eolici e fotovoltaici hanno ancora costi di produzione compresi tra il doppio il triplo rispetto agli impianti tradizionali a gas o a carbone... Ma se al costo di produzione andiamo ad aggiungere le cosiddette esternalità negative, quindi le inefficienze e i costi di adeguamento della rete, gli oneri correlati all’intermittenza e i costi legati al prepensionamento delle centrali termoelettriche, scopriamo che l’energia rinnovabile costa quasi 10 volte i prezzi dell’elettricità all’ingrosso. Di fatto, perciò, questa è la prima transizione energetica nella Storia in cui l’umanità passa da una fonte energetica più economica a una nettamente più costosa, in contraddizione con qualsiasi definizione possibile di sviluppo."
Niente meno! Questo è solo l'aperitivo dell'articolo "Non basta un super-ministero a sciogliere i nodi della transizione ecologica", pubblicato da Enrico Mariutti una decina di giorni fa sul blog "Econopoly, Numeri idee progetti per il futuro" del sito web del Sole 24 Ore. Nella fattispecie, il ragionamento di Mariutti sui costi appare un po' tirato per i capelli, nello stesso stile sbrigativo e sommario (e vincente) adottato dai nostri avversari filo-rinnovabili elettriche, ma la sostanza non cambia.
Mariutti non è certo nuovo a queste posizioni ostili al mainstream della "rivoluzione verde". Anzi. Ha già pubblicato, nello stesso blog del Sole, almeno una ventina di interventi sullo stesso argomento, i cui titoli sono già tutto un programma.
Cogliamo un paio di questi fiorellini.
Da "La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?":
"Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato. Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali... Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde” le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili... Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: PNAS, Science, Nature. Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”, da Le Scienze alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto, così enorme e così contraddittorio. La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no. Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma... In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali... Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale... Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo... Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente."
Da "Perché Greta Thunberg è una foglia di fico e l’ideologia ha la meglio sulla realtà":
"Il fenomeno Greta Thunberg, la giovane attivista svedese finita al centro del dibattito mediatico a causa del suo impegno a favore della lotta al cambiamento climatico, dice molto sulla stagione politica che stanno vivendo le democrazie occidentali... Al di là delle intenzioni e della retorica, Greta si fa portatrice di un’ideologia reazionaria e paternalistica che trasforma prospettive universali come la solidarietà, l’equità o la giustizia in patenti che i migliori attribuiscono di volta in volta agli argomenti che ritengono degni... Una volta scomposto e analizzato, il messaggio di Greta si inquadra perfettamente in quella visione religiosa del Capitalismo, descritta da Walter Benjamin (Il Capitalismo come religione, 1921) e profondamente radicata nella cultura protestante; si trasforma in una dottrina volta alla mera colpevolizzazione piuttosto che alla riparazione del danno e quindi all’espiazione della colpa. Questo sentimento bigotto, che attraversa ampi settori del mondo intellettuale europeo, ha già condannato i programmi di contenimento delle emissioni al fallimento. La battaglia che combatte Greta Thunberg è già persa. Non per le difficoltà finanziarie dell’impresa ma perché i pochi anni che rimangono prima del cosiddetto punto di non ritorno sono troppo pochi per elaborare una sintesi politica, un sistema di pesi e contrappesi adeguato a sostenere lo sforzo culturale, economico, sociale... Oramai, quantomeno in ambito specialistico, ci si è convinti che un problema con così tanti ordini di complessità possa essere affrontato solo con una strategia integrata, mettendo a sistema tutti gli strumenti disponibili... Questo nuovo approccio, plasmato dall’urgenza e quindi improntato al pragmatismo ha, però, una grave pecca agli occhi dell’ambientalismo radicale: non è educativo... Non racchiude in sé un’ideologia ma semplicemente una soluzione al problema. E per questo è un compromesso inaccettabile."
Di fronte ad un argomentare così aggressivo, di cui ritengono di essere i soli depositari, i grandi sacerdoti della religione del clima alterato hanno commesso un errore fondamentale. Hanno abboccato all'amo della provocazione ed abbandonato la tattica, efficacissima fino a quel momento, del muro di gomma, dispiegando contro Mariutti tutta la loro potenza di fuoco sui social forum, da essi controllati pressochè integralmente. Mal gliene incolse. In questo modo hanno attirato tutta l'attenzione e fornito un'involontaria pubblicità al responsabile della loro ira. Accorgendosi dell'interesse suscitato, la casa editrice Il Sole 24 Ore ha perciò offerto a Mariutti l'opportunità di pubblicare un libro su quegli stessi argomenti. Un libro, a dire il vero, depotenziato nei toni e negli argomenti rispetto a quelli del blog e pubblicato sotto l'ingannevole - ancorchè politicamente corretto - titolo "La decarbonizzazione felice". Nonostante queste operazioni di imbellettamento buonista, vi possiamo ancora leggere:
"Se ci appiattiamo sul modello rinnovabili-mobilità elettrica, l'unica prospettiva realistica è il declino economico e sociale." (pag. 5)
"Non possiamo illuderci che le linee guida elaborate in sede internazionale siano calibrate sulle caratteristiche peculiari del nostro Paese." (pag. 10)
"La prima fase della decarbonizzazione, quella che sta già interessando il settore elettrico e - in misura minore - i trasporti, non aveva le caratteristiche adatte per essere interpretata con successo da un tessuto imprenditoriale il cui motore sono le piccole e medie imprese." (pag. 12)
"Al momento, quella che viene spacciata per una strategia è una goffa operazione di ingegneria storica che affonda le radici in un pregiudizio semplicistico e velleitario: 200 anni fa inaugurando l'era dei combustibili fossili, abbiamo commesso un terribile sbaglio e oggi dobbiamo fare ammenda. Un punto di vista che, senza voler calcare la mano sulla retorica, accomuna l'attuale prospettiva ambientalista con le ideologia totalitarie." (pag. 15)
"La complessità non sfiora neanche la narrativa ambientalista, che continua a ripeterci: la soluzione al problema del cambiamento climatico sono le energie rinnovabili, l'auto elettrica, gli hamburger vegetali." (pag. 17)
"L'Italia... deve predisporre una cornice istituzionale in cui si possano muovere agevolmente le università e le strutture di ricerca nazionali. In poche parole, stiamo parlando di fondi alla ricerca. Briciole neanche degne di menzione se commisurate con il fabbisogno finanziario correlato alla decarbonizzazione, ma spiccioli dal notevole potenziale politico." (pag. 50)
Basta così, perchè altrimenti l'editore del libro non sarebbe contento. Argomenti da Rete della Resistenza sui Crinali, dunque. Se volete leggere qualche altra idea contro corrente (anzi: contro mainstream) acquistate il libro, pur tenendo presente che la sua pars destruens è certo più convincente della pars costruens. Ma soprattutto tenete d'occhio periodicamente gli articoli che Enrico Mariutti pubblica sul blog Econopoly.
Vorrei estendere lo stesso invito non dico al neo presidente del Consiglio Mario Draghi o al neo ministro della Transizione ecologica (nulla di meno..) Roberto Cingolani, ma almeno al presidente del gruppo Energia della Confindustria, Aurelio Regina. Regina, sullo stesso Sole 24 Ore, ha scatenato una campagna di stampa particolarmente brutale, tuttora in corso, in direzione esattamente opposta a quanto auspicato da Mariutti. Ma quello della presenza nella Confindustria, che del Sole è l'editore di riferimento, di prevalenti forze più legate alla rendita parassitaria ed alle prebende pubbliche che ai profitti è un discorso che faremo un'altra volta. Ma lo dovremo fare presto, perchè questo potente coagulo di vested interest è divenuto talmente pervasivo non solo da vanificare gli attesi effetti moltiplicativi dell'epifanico recovery fund prossimo venturo, ma anche da compromettere, in breve, la permanenza dell'Italia nel novero dei Paesi più industrializzati.
Alberto Cuppini