Una lezione da Oltralpe per l'Italia ed in particolare per i suoi attuali governanti, onde evitare analoghi disastri futuri. Specie ora che il neo eletto ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, parla di "un'urgenza formidabile in merito allo snellimento ed alla semplificazione di norme e regole che ci consentano di operare in maniera efficace ed efficiente. Senza queste regole, senza questa transizione burocratica, tutti i nostri sforzi rischiano non dico di essere vani, ma estremamente ridotti in efficacia". Si teme l'adozione degli stessi brutali provvedimenti semplificativi e liberticidi utilizzati in Francia per favorire l'installazione di impianti eolici. Questo timore si accresce - dopo una spietata campagna di stampa contro i legittimisti (dalle Sovrintendenze fino ai comitati dei cittadini), in cui si sono distinti il quotidiano della Confindustria ed i vertici nazionali di Legambiente - a seguito di quanto annunciato, in tema di semplificazioni per le procedure Via e Fer, dal neo ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Si prospetta, come già accaduto a Macron a vantaggio della Le Pen, un regalo politico all'estrema destra, che in Italia è ormai rimasta l'unica forza di opposizione parlamentare contro la globalizzazione e la tecnocrazia UE.
Su Le Figaro del 6 marzo è stato pubblicato un articolo scritto da Francis Monamy dal titolo "Come sono state smantellate le regole che limitavano l'installazione delle pale eoliche".
"Da quasi dieci anni, i successivi governi hanno minato il quadro legislativo che permetteva di controllare e di dominare l'impianto delle pale eoliche, mentre nel frattempo il diritto d'agire in giudizio di chi si oppone è stato molto indebolito".
Apprendiamo così che:
"Il diritto applicabile alle pale eoliche è un'illustrazione caricaturale del potere acquisito dai gruppi di pressione nel nostro paese... La volontà di sviluppare in modo massiccio l'eolico ha caratterizzato tutti i governi da ormai dieci anni, compreso l'attuale. I nostri concittadini, i cui sindaci sono stati messi fuori gioco (dalle nuove leggi), non dispongono più che dei tribunali per fare sentire la loro voce. Ma anche questa forma di opposizione, conforme ai più elementari principi democratici, pare insopportabile per i professionisti dell'eolico... Chi si oppone alle pale eoliche oggi non può più fare appello contro un giudizio a lui sfavorevole. La regola fondamentale del doppio grado di giudizio è stata perciò beffata... Là dove la facoltà di far ricorso a tre gradi successivi di giudizio è riconosciuta allorchè un vicino di casa costruisce anche solo un piccolo riparo nel proprio giardino, chi contesta a 500 metri dal proprio domicilio delle pale eoliche, che oggi raggiungono 240 metri d'altezza, si vede tarpare le ali alla propria capacità d'azione giuridica... Da dieci anni il diritto, per quel che riguarda l'eolico, è stato metodicamente smantellato, tutto a detrimento della preservazione dell'ambiente. Ci si deve meravigliare che in questo modo si rafforzi anche un senso di ingiustizia presso tutti i francesi, che alimenta un'opposizione sempre più forte ed attiva agli impianti eolici?"
Le Figaro si dimentica di aggiungere che tale senso di ingiustizia alimenta anche l'opposizione politica all'attuale presidente.
Leggiamo dall'articolo di Guillaume de Calignon su Les Echos (che difficilmente si può accostare alla destra populista) del 9 marzo "Presidenziali 2022: Marine Le Pen tenta di dare credibilità al suo discorso sull'ecologia":
"La presidente del Rassemblement national (l'evoluzione del vecchio Front national. NdT) ha presentato martedì un contro-progetto di referendum sull'ecologia. E' determinata ad affrontare questo argomento essenziale onde perfezionare la sua immagine per le elezioni presidenziali del 2022."
"La trasformazione verde di Marine Le Pen sta accelerando con l'avvicinarsi della scadenza delle elezioni presidenziali del 2022. Martedì la presidente del Rassemblement national ha presentato il suo “contro-progetto di referendum” sull'ecologia, di fronte alla volontà (del tutto strumentale. E sgangherata. NdT) di Emmanuel Macron di consultare i francesi sull'inclusione nella Costituzione della salvaguardia dell'ambiente.
Quindici domande, sugli investimenti nel nucleare, "energia senza carbonio", specifica il documento, sulla sospensione della costruzione di turbine eoliche e dell'installazione di grandi aree commerciali o ancora sul divieto di importazione di determinati prodotti, saranno poste ai francesi... Marine Le Pen vuole "uscire da una visione punitiva o ideologica dell'ecologia" e preferisce una "ecologia radicata"... Perché, anche ridipinta di verde, Marine Le Pen resta fedele alle sue idee, segnata dalla sua ostilità al "globalismo" e al liberalismo... Denuncia "la proliferazione di regole europee che uniformano". Per la deputata del Pas-de-Calais, "i peggiori nemici del nostro ambiente, di questa dolce Francia che tutti amiamo", sono "l'ecologismo radicale", questa "truffa", e le sue "derive che minacciano le libertà pubbliche". Insomma, la trasformazione ambientale di Marine Le Pen non tira una riga sulla storia del suo partito, il Rassemblement national. E non definisce una strategia globale sull'ambiente. Riuscirà a sedurre oltre la sua base elettorale? Sviluppare un discorso ecologista non permetterà a Marine Le Pen di ottenere voti nelle metropoli che hanno eletto diversi sindaci verdi nelle elezioni comunali dello scorso anno. I suoi luogotenenti lo sanno molto bene. La presidente del RN vuole invece diventare credibile su più argomenti per essere considerata realmente adatta alla carica di presidente. Punta a una sorta di normalizzazione, già ampiamente in atto nell'opinione pubblica. Come dimostra l'ultimo sondaggio Harris Interactive per Commstrat, pubblicato su "L'Opinion", che dà la candidata di estrema destra al 47% al secondo turno delle elezioni del 2022 contro il 53% di Emmanuel Macron. Il fronte repubblicano si sgretola."
Ogni nuovo impianto eolico conficcato nel corpo della "douce France" corrisponde allo spostamento di migliaia e migliaia di voti da Macron a Madame Le Pen.
Anche se ignorate dai giornaloni italiani, aumentano le manifestazioni di ostilità nei confronti della politica verde di Macron.
Leggiamo, a titolo di esempio, di un episodio, sconosciuto ai più, da un articolo del 23 settembre 2019 di Nicola Berti sul Sussidiario "Se Macron torna il benzinaio dei roghi di Parigi":
"Un anno fa è stata proprio la lotta decretata dal Presidente-tecnocrate Macron ai carburanti “sporchi” della Francia profonda – “brutta, sporca e cattiva” – ad accendere il gigantesco rogo jaune... Certo l’impatto politico-mediatico di ogni carbon tax sarebbe sicuro anche in Italia presso una minoranza di radical chic “gretini” sempre proprietari di vetture di ultimissima generazione. E non di rado anche ricchi investitori in fondi di private equity che puntano sullo sviluppo di tecnologie pulite (con stretto fine di profitto, ndr). I primi a essere orgogliosi dell’ecologismo politicamente corretto dei padri sarebbero in ogni caso i figli: come i gilet verts che ieri hanno aggiunto colore e movimento al sabato parigino in onore della loro eroina, impegnata all’Onu. Peccato che poi fra i boulevard attorno all’Eliseo si siano affacciati – a sorpresa – anche i cappucci noir dei black block... In attesa di nuovi lumi, il dato di cronaca del sabato parigino è stato che gli incappucciati provenienti delle banlieue – cugini fra l’altro dei centri sociali torinesi no-Tav – ce l’avevano con i ragazzini-con-borraccia inquadrati dalle Ong. Non con il ceto medio proletarizzato “in giallo”che la mattina aveva costretto il “benzinaio” Macron a schierare attorno al suo castello assediato 7.500 poliziotti. Che hanno confermato con centinaia di arresti l’approccio del grand debat aperto dal Presidente francese: per capire come mai i francesi non si fidano proprio della sua Europa. Dove i cittadini che non possono votare e devono solo pagare nuove tasse “gretine”, prima o poi scendono in piazza".
E dunque, nonostante una serie di argomenti elencati alla rinfusa e senza metodo nella sua proposta di contro-referendum, la Le Pen prosegue nella sua logica, che alla lunga risulterà vincente, da noi già analizzata nel post "In tutta Europa (ma non in Italia) crescono partiti e movimenti contrari all'eolico":
"circa la contestazione alle pale eoliche, in Francia "cittadini ed eletti prendono al balzo la palla dei gilet gialli per fare intendere la loro collera": gli oppositori delle pale, privati da Macron delle proprie legittime tutele giurisdizionali, ora hanno indossato, come naturale conseguenza, i gilet gialli e guidano l'insurrezione nelle piazze francesi. Ciò a vantaggio del Front National (ora Rassemblement National), da sempre favorevole a decretare una moratoria immediata dell’eolico".
La Le Pen sfrutta anche i tira e molla e le ambiguità sul nucleare di Macron, che passa da un giorno all'altro da paladino della rivoluzione rinnovabile ad affermare che "passa da qui, dal nucleare, il nostro futuro ecologico ed energetico".
Come ha scritto Paolo Annoni su Il Sussidiario dell'undici dicembre scorso nell'articolo "Il conto da pagare per l'Italia nascosto dalla Bce" "Macron ieri ha spiegato chiaramente che il Paese non si imbarcherà in inutili e costosissime transizioni energetiche, ma continuerà a scommettere sul nucleare che rimarrà, giustamente, al centro della strategia verde."
Intanto, Les Echos ha titolato, appena due giorni fa, che "Per rispettare i suoi obiettivi sull'ambiente la Francia dovrà investire il doppio del previsto":
"La Francia dovrà investire da 13 a 17 miliardi di euro in più ogni anno, fino al 2023, se vuole rispettare la sua tabella di marcia per la lotta contro il riscaldamento climatico, stima l'Istituto dell'economia per il clima".
Già lo si sapeva da tempo, così come tutti sanno, fingendo però di non sapere, che i costi indicati prima nella Strategia Energetica Nazionale e poi nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima italiani sono stati volutamente - e grottescamente - sottostimati.
E sono solo gli inizi... Qualcuno in Francia lo aveva previsto. Su Le Figaro del 17 febbraio scorso leggevamo dall'articolo di Jean-Louis Butré "I francesi pagheranno la fattura delle pale eoliche":
"Questa non è più un'eredità del precedente mandato quinquennale: il presidente della Repubblica è intervenuto affinché nulla rallenti lo sviluppo delle turbine eoliche neutralizzando i ricorsi di 2.000 associazioni di protesta di tutte le regioni della Francia - un movimento democratico come nessun altro - ignorati al vertice dello stato. Dopo aver dichiarato che le turbine eoliche onshore incontravano, nelle sue stesse parole, "problemi di accettabilità", "allo stesso tempo" ha fatto rapidamente riprendere loro il sopravvento: sono state prese misure brutali per facilitare l'installazione di questi congegni metallici, devastatori dell'ambiente, costosi ed inutili. Un'inedita catena di interessi spiega lo sviluppo di questa nuova energia con un'unica certezza: i francesi pagheranno. Basta guardare le cifre dell'aumento della bolletta elettrica. I gilet gialli, che hanno manifestato contro la carbon tax, lo apprezzeranno. Proviamo a decifrare questa catena di interessi. Lo sviluppatore è felicissimo: la sua produzione verrà riacquistata qualunque cosa accada per 15 anni (in Italia sono stati aumentati a 20 anni. NdT) a un prezzo fisso che gli garantisce una redditività da sogno in questi tempi difficili! Questi sviluppatori, ricchi e potenti, inondano di pale eoliche la pubblicità e le promuovono sui media. Il banchiere indirizza detentori di capitali e risparmiatori verso questa energia rinnovabile dai rendimenti inaspettati in questo periodo. Entrambi apprezzano l'opportunità. Il sindaco, senza il quale non si potrebbe fare nulla, si vede a prima vista premiato dallo sviluppatore. Ora un'azienda privata può finanziare un bilancio comunale! Guadagno apparente, come ovvio, perché la collettività dovrà verosimilmente contribuire un giorno allo smantellamento. La figura chiave è l'agricoltore, il cui reddito principale si vede improvvisamente cambiato. La remunerazione annua insperata, legata all'installazione, non si può rifiutare. Questa esclude anche, per il momento, lo smantellamento (problema rimandato a più tardi), fissato per regola ad un fondo di riserva di 60.000 euro, mentre oggi risulta costare, in realtà, tra 400.000 e 500.000 euro. Il costo totale dello smantellamento collegato all'intero programma di sviluppo eolico francese è stimato a 9 miliardi. Chi pagherà? Una catena di interessi materiali spiega quindi il dispiegamento di tutti questi macchinari. E poi ci sono le vittime, quelle che dovranno pagare per queste follie. Sono innanzitutto i consumatori di elettricità condannati a vedere raddoppiare la bolletta elettrica in meno di 10 anni... Come potrebbe essere altrimenti quando lo Stato vi obbliga ad acquistare prioritariamente il KWh eolico ad un prezzo in media doppio di quello di mercato?... Anche l'ambiente è una vittima... Vittime anche le case impattate da queste installazioni, autorizzate a partire da 500 metri, contrariamente a quanto si fa generalmente in Europa (dove le distanze richieste sono generalmente superiori a 1 km), cosa che rappresenta una totale mancanza di rispetto per le popolazioni rurali, i cui patrimoni subiscono perdite che i pubblici amministratori fingono di ignorare, come se un gigantesco macchinario metallico, così rumoroso quando funziona, potesse non avere conseguenze. La catastrofe in corso ad Echauffour nell'Orne, ha portato questa settimana il prefetto a fermare un impianto che recava un fastidio insopportabile agli abitanti del villaggio. Una prima volta che farà giurisprudenza! Le migliaia di associazioni che combattono a livello locale sono totalmente disprezzate ed ignorate dalle autorità pubbliche, dalla maggioranza degli eletti e dal Presidente della Repubblica, da cui tutto dipende. La disinformazione o il silenzio distolgono l'opinione pubblica da tutti questi fatti. Per ciò stesso, questo argomento dovrebbe essere uno dei temi al centro della campagna presidenziale. Già centinaia di migliaia di cittadini ne sono direttamente colpiti. Il loro numero sta crescendo in modo esponenziale. Pochi eletti illuminati che amano la Francia - ce ne sono ancora alcuni - dovranno chiedere un'indagine approfondita su questo intreccio di interessi e di personaggi..."
Intanto, a peggiorare le cose in Francia ed a ribadire le deficienze strutturali ed i limiti irrimediabili dell'energia eolica, quest'inverno si è ripresentato il rischio di un grave blackout.
Riportiamo da Italia Oggi del 12 gennaio scorso un brano dall'articolo: "Parigi si appella ai cittadini per scongiurare il blackout":
"È allarme elettricità in Francia. Venerdì scorso i cittadini sono stati invitati dal gestore della rete (Rte) a ridurre i consumi per scongiurare un blackout a causa del freddo. Le temperature degli ultimi giorni sono infatti inferiori di almeno 4 gradi alle medie stagionali. Nella mattinata di venerdì i consumi si sono attestati a 87 gigawatt, ossia oltre un gigawatt sotto le previsioni della vigilia. Tuttavia l'allerta inquieta.In effetti quest'ultima è stata lanciata mentre i consumi erano previsti a soli 88 gigawatt, un livello poco elevato per una giornata invernale. Ben lontano, in ogni caso, dai record di 96 e 102 gigawatt consumati durante i picchi del 2012 e 2018. Si tratta di un problema di produzione più che di consumo. A causa della crisi sanitaria, Edf ha infatti ritardato la manutenzione delle sue centrali nucleari e non è in grado di produrre come prima. A ciò si aggiunge la chiusura delle centrali a carbone e dei due reattori nucleari di Fessenheim. Senza contare che, essendo il vento molto debole venerdì, l'eolico non è stato di alcun aiuto".
"L'eolico non è stato di alcun aiuto". Le oltre ottomila pale eoliche francesi, in condizioni di emergenza, erano ferme, come erano ferme le pale il mese scorso durante la crisi dell'energia elettrica in Texas. La Signora Le Pen ringrazia commossa.
Ma che cosa direbbe la destra italiana in un'analoga circostanza? Qui incominciano le dolenti note a farmisi sentire... La risposta è facile. In Italia nessuno, per conformismo o ignoranza, dice mai niente sui disastri delle Fer elettriche non programmabili. Ma qualcuno, prima o poi, la verità la dovrà pur dire. Altrimenti rimarremo in eterno preda dei lobbysti che imperversano a Bruxelles e del grande capitale speculativo globalizzato. E dei loro tanti, tantissimi lacchè italiani.
Alberto Cuppini