"Nel medio termine prepareremo un fondo sovrano europeo per aumentare le risorse disponibili per la ricerca, l'innovazione e i progetti industriali fondamentali per abbattere i gas serra".
Riportiamo alcuni brevi estratti dall'articolo di Gianluca Di Donfrancesco sul Sole 24 Ore di mercoledì "Von der Leyen: fondo sovrano Ue per sostenere le tecnologie verdi" sull'intervento della presidente della commissione europea a Davos (a proposito: congratulazioni al neo governo Meloni per avere platealmente snobbato questo svergognato baraccone di ottimati, incarnazione del peggior conformismo della peggiore globalizzazione).
Così il Sole:
"L’Europa ha bisogno di un proprio fondo sovrano green, per sostenere la concorrenza di Stati Uniti (e Cina), che stanno generosamente finanziando i propri sistemi industriali nella transizione energetica. Lo ha affermato a Davos la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento al World Economic Forum il 17 gennaio. L’Esecutivo comunitario preparerà, inoltre, un nuovo set di regole, che punta anche a velocizzare l’iter degli aiuti di Stato... "Per questo proporremo di adeguare temporaneamente le nostre regole sugli aiuti di Stato, per velocizzare e semplificare"... ha affermato von der Leyen... Se i bilanci di Germania e Francia (sulla Francia avremmo qualche dubbio. NdR) garantiscono potenza di fuoco, altri Paesi Ue (come l'Italia) non hanno la stessa capacità di sostenere le proprie imprese... La soluzione, anche per la presidente, è "aumentare i finanziamenti Ue. Nel medio termine prepareremo un fondo sovrano europeo... per aumentare le risorse disponibili per la ricerca, l'innovazione e i progetti industriali fondamentali per abbattere i gas serra".
La Von der Leyen, dopo qualche anno di ritardo e tanti immani disastri provocati dagli errori di politica energetica europea, arriva alla stessa conclusione del documento CNP, presentato in audizione alla Camera nell'ormai lontano 2019, in cui, nell'ultimo paragrafo "Conclusioni e suggerimenti" si scriveva:
"Proponiamo quindi di abbandonare, d'accordo con l'Unione Europea, il sotto-obiettivo della produzione di energia da FER sui consumi finali di energia e di intraprendere piuttosto un piano di investimenti finalizzati sotto il controllo dell'Unione Europea, cogliendo l'occasione di combinare una classica politica keynesiana con il conseguimento di obiettivi climatici globali, sia in materia di contrasto che di mitigazione.
Questa sfida per il futuro richiede l'utilizzo di strumenti e strategie a cui da tempo l'Europa pare avere rinunciato. Da troppi anni gli investimenti pubblici in Europa sono fermi sotto le medie di qualunque altra parte del mondo. A tutti i Paesi europei dovrebbe essere consentito fino al 2030 - ma evitando l'utilizzo di strumenti uguali per tutti, senza tener conto delle specificità di ogni singolo Paese - uno sforamento ampio dei deficit pubblici (che reputiamo dover essere non inferiore al 2% annuo del PIL per essere minimamente credibile), meglio se finanziato con bond europei ad hoc, così da poter destinare risorse aggiuntive ad un piano di investimenti pubblici ad alto moltiplicatore non solo del PIL ma anche del contenimento globale delle emissioni di CO2."
L'altro ieri, finalmente, è stato compiuto dalla VdL un primo passo in questa direzione. A parole. Ma tra il dire e il fare, come noto, c'è di mezzo il mare. E, adesso, rispetto al 2019, c'è di mezzo anche la Russia, che è molto più grande del mare. Prima di gettare altri soldi pubblici dei contribuenti europei nelle tasche della grande speculazione green, però, bisognerebbe applicare fino in fondo la prescrizione del CNP, cominciando dall'abbandonare il sotto-obiettivo della produzione di energia da FER sui consumi finali di energia. Poi, prima di trovare "nel medio termine" (ricordiamo: "i tempi, comunque, non saranno brevi...") i soldi per il "fondo sovrano", bisognerebbe determinare come spenderli. E qui casca l'asino, perchè si ha il sospetto che il vero intento dell'iniziativa della VdL sia permettere di superare (da subito) il tabù assoluto degli aiuti di Stato alle imprese e, insieme, lo sforamento dei parametri europei del deficit tedesco per realizzare il mostruoso debito pubblico interno da tempo annunciato dal cancelliere (si rilegga a questo proposito l'esemplare articolo di Mauro Deaglio sulla Stampa "Il piano Scholz da 200 miliardi un atto di arroganza: in gioco c'è la tenuta dell’Europa").
Denso di significati ipocriti è il fatto che tale obiettivo, dagli intenti bassamente protezionistici, sia stato modificato, per rendere più accettabile la pretesa del governo tedesco, come "fondo comune Ue" dallo stesso cancelliere Scholz proprio alla vigilia della dichiarazione della Von der Leyen a Davos. E con ottime possibilità di ottenere, in questo modo, gli esiti vaticinati da Paolo Annoni nel suo articolo (mi raccomando: leggetevelo tutto in linea) pubblicato lo stesso giorno di quello del Sole (ma privo dello stesso servile sussiego) "Von der Leyen a Davos / Ecco perché saremo noi a pagare il costo del piano green tedesco":
"Due giorni fa Bloomberg avvertiva gli investitori che quest’anno la Germania si appresta a emettere un numero record di nuovi titoli di debito pubblico e a fare il deficit più alto degli ultimi decenni e superiore a quello del 2020... Gli aiuti di Stato sono un tabù per l’Unione Europea e per il mercato comune che è uno dei suoi pilastri. Dato che ci sono Stati con capacità fiscali e debiti molto diversi in una costruzione rigida che ha una sola valuta e non ha meccanismi di redistribuzione interna, se in Europa fossero ammessi aiuti di Stato il mercato comune salterebbe oppure i Paesi più fragili verrebbero completamente deindustrializzati. L’Europa oggi decide di adattarli e l’immediato accenno al fondo sovrano europeo per ovviare al “dettaglio” delle diverse capacità di spesa svela il senso di questo adattamento: meno vincoli per tutti... Se l’Europa concede regole meno stringenti per gli aiuti di Stato, per ragioni green e di politica industriale, senza uno strumento che consenta una politica uniforme, ciò che accadrà è che le imprese in Stati con minore spazio fiscale o con minore presa politica verranno schiacciate da quelle degli Stati più forti... Non si comprende come il mercato comune possa sopravvivere a tensioni di questo tipo se non ipotizzando che le parti più deboli dell’eurozona accettino un declino sostanziale."
Alberto Cuppini