Per il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani l'economia italiana funzionerà in gran parte con... eolico e fotovoltaico ( ! ) già dal 2030. E la tutela dell'ambiente e del territorio verrà fatta con le ruspe, che distruggeranno per prima cosa il sistema amministrativo di tutele e salvaguardie faticosamente costruito dalle precedenti generazioni. In arrivo un decreto legge ad hoc con l'obiettivo di accelerare la realizzazione delle opere giudicate cruciali per la "rivoluzione verde" ed in particolare procedure semplificate per gli impianti eolici. Già nel 2030 il 70-72% dell'elettricità dovrà essere prodotta prevalentemente da centrali eoliche o fotovoltaiche. "Basta coi no e le lungaggini", "fate presto". E' questo il senso più profondo della bozza di decreto "semplificazioni ambientali" inviata lunedì a Palazzo Chigi. In molti casi si avrà coincidenza tra l'autorità che rilascia la Via e quella che autorizza l'opera: una sorta di "Via libera". Quanto agli impianti di energia rinnovabile si arriva al paradosso: si vorrebbe che l'autorizzazione ambientale inglobasse anche quella paesaggistica. Sull’Appennino non si salverà un crinale. Forse sarebbe opportuno ricordare il più rapidamente possibile a questi ministri (ed al popolo) che esiste ancora una Costituzione (e non solo l'art. 9...). Fortunatamente qualcuno comincia a comprendere che è troppo facile essere d'accordo sulle rivoluzioni verdi senza guardare ai loro insostenibili costi nascosti.
Secondo il Cingolani-pensiero, il sacrificio del paesaggio italiano permetterà di salvare il Pianeta.
Tutta l'Italia sconciata come la Daunia?
"L'eolico ha limiti di ingombro, ha problemi se c'è vento o no, non si può mettere ovunque e, come il fotovoltaico, non è immune da impatto ambientale (a lungo andare si riempirebbe il pianeta di silicio e metallo). In questo momento il gas è uno dei mali minori".
Così il professor Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova dal 2005 al 2019, nell'intervista rilasciata appena un annetto fa a Roberto Iadicicco, intitolata "Diversificazione delle tecnologie ed educazione al risparmio", per la rivista World Energy dell'ENI.
E invece no. Errore! Resettate tutto e ripartite da zero: per il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani l'economia italiana funzionerà in gran parte con eolico e fotovoltaico già dal 2030. E la tutela dell'ambiente e del territorio verrà fatta con le ruspe, che distruggeranno per prima cosa il sistema amministrativo di tutele e salvaguardie faticosamente costruito dalle precedenti generazioni, a partire dai tempi dell'Unità d'Italia.
Intendiamoci. Niente di nuovo sotto il sole. Cingolani non è certo il primo scienziato che approda ad una poltrona ministeriale e si trova a fare i conti con una realtà a lui totalmente estranea e che non riesce a controllare, finendone anzi avviluppato e strumentalizzato.
L'unica novità, semmai, è che, a causa di questa sua assoluta mancanza di esperienza in materie delicatissime abbinata alla fretta irrazionale dettata dall'ideologia catastrofista mainstream, Cingolani rischia di scempiare il Paese e, insieme, di affondarne l'economia, candidandosi a passare alla storia come il più disastroso abborraccione della politica italiana del dopoguerra.
Presentiamo qui una rassegna stampa dei pasticci da lui (e dai suoi collaboratori del ministero) combinati negli ultimi giorni. Invitiamo a leggere con la massima cura direttamente dai quotidiani, oppure accedendo ai loro siti web, gli articoli da noi segnalati, che proponiamo qui solo con qualche stralcio e senza troppi commenti, che suonerebbero ridondanti.
Si comincia con l'articolo del Sussidiario del 22 aprile a firma Niccolò Magnani, "Cingolani: “tutti green ma nessuno vuole pala eolica a casa”/ “Sacrifici per clima”, in cui si riporta l' "aspro" discorso del ministro della Transizione ecologica nel corso di uno degli innumerevoli webinar in occasione della Giornata della Terra:
«Il problema delle emissioni climalteranti è chiaro, ma non è chiaro il sacrificio che ognuno deve fare. Tutti vogliono essere verdi, ma poi non vogliono la pala eolica davanti a casa, o vogliono continuare a usare i social che producono tante emissioni». Per Cingolani, tanti ambientalisti o presunti tali si schierano per le rinnovabili ma poi nessuno si impegna per averle davvero: «L'emergenza climatica richiede sacrificio, ci dobbiamo mettere tutti qualcosa»... «mancano le infrastrutture, ma quello è ancora il problema minore. Le tecnologie le abbiamo. La sfida più difficile è come accelerare i tempi per realizzarle. La sfida delle normative, delle procedure, è quella che conta di più ora. Se le norme fermassero la transizione ecologica, sarebbe una sconfitta enorme... tanta energia rinnovabile. Il target europeo prevede che arriviamo al 72% nel 2030. Vuol dire installare 60-70 gigawatt di rinnovabili in dieci anni, 6 o 7 all’anno, quando finora installiamo un decimo di quello che progettiamo: solo qualche centinaio di megawatt all’anno, a causa delle procedure». In vista del prossimo Recovery Plan in discussione oggi a Palazzo Chigi (e da inviare entro il 30 aprile alla Commissione Europea), l’Ue ha chiesto non solo progetti ma anche una seria «riforma dei processi. Con le attuali performance, non saremo in grado di mettere a terra le opere. Quindi lavoriamo ai progetti e a come farli camminare. Con i ministri Brunetta e Giovannini lavoriamo sulla catena dei permessi, per accelerare le procedure»”.
Ricordo, per tradurre in cifre la devastazione territoriale che ci attende, che in Italia, negli anni in cui imperversava la speculazione più incontrollata ovvero prima della riduzione degli incentivi nel 2012, si installavano al massimo 1,3 GW di eolico all'anno. A titolo di esempio rammento anche che al giogo di Villore, per installare 8 pale per complessivi 30 MW, si stravolgeranno, tra le altre cose, 5 chilometri di un crinale incontaminato e che, per un grande impianto fotovoltaico, si occupano con i pannelli circa due ettari di suolo per ogni MW di potenza. Lascio a voi fare le proporzioni con gli obiettivi indicati da Cingolani per il 2030.
Il ministro conferma dunque la prossima realizzazione di quanto da noi previsto e denunciato, inascoltati, in questi anni: l'apocalissi del paesaggio italiano. Invito perciò i comitati a riattivarsi per evitare di fare la fine del Mugello (che rischia di essere presto ricoperto di pale), dove la vigilanza contro la speculazione eolica negli ultimi dieci anni era caduta e dove, al contrario e come in tutta Italia, aumentavano gli entusiasti sostenitori delle facilonerie dell’economia verde, della piccola Greta, della transizione ecologica, del green new deal eccetera eccetera, senza capire (e non era difficile) che tutto questo avrebbe significato essenzialmente pale e pannelli dappertutto e senza discussioni. Il ministro della “transizione ecologica” Cingolani parla senza ipocrisie di altri 70 GW di installato da rinnovabili (ma in pratica esclusivamente eolico e fotovoltaico) per il 2030. Avrebbero dovuto essere 40 GW secondo il già velleitario ed irrazionale Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) per il 2030, ma dopo la decisione - puramente emotiva - della Von der Leyen di raggiungere la "neutralità carbonica" (...) in Europa entro il 2050, ora dovranno essere 70.
L' "effetto Greta" può dunque essere quantificato nella differenza: ulteriori 30 GW, tanto per cominciare, di pale e pannelli entro il 2030. Ricordo che finora l’installato nel nostro Paese, con tutti i danni paesaggistici procurati ed i 240 miliardi stanziati per inutili "incentivi", è di 10 GW di eolico e 20 di fotovoltaico. L' "effetto Greta" peserà dunque sul territorio italiano nei prossimi dieci anni, in aggiunta agli altri irrimediabili danni già previsti dal PNIEC, per un potenziale eolico e fotovoltaico incrementale equivalente a quello che sfregia già oggi l'Italia.
L'appellativo "Bel Paese" per l'Italia dovrà essere rapidamente archiviato e gli stanziamenti per "incentivi" (in realtà, dopo venti anni, sarebbe più dignitoso e meno ipocrita parlare di sussidi puri e semplici) dovranno aumentare in proporzione, quando apparirà evidente che alle aste non partecipa nessuno non per i vincoli burocratici eccessivi, come vorrebbe gabellare chi vuole il semaforo verde per le ruspe, ma perchè gli speculatori attendono l'inevitabile aumento dei sussidi finchè non saranno elevati a livelli superiori a quelli in essere fino al 2012.
E questo solo per il 2030. Dopo si continuerà, con lo stesso ritmo di crescita, fino al 2050. Sull’Appennino non si salverà un crinale.
Il florilegio di malefatte prosegue con l'articolo di Celestina Dominelli, sul Sole del giorno 25, dal titolo "Decreto Cingolani ad hoc, snellimenti (senza Via) per energia e ambiente":
"Un decreto legge ad hoc per la transizione ecologica con l'obiettivo di accelerare la realizzazione delle opere giudicate cruciali per la "rivoluzione verde" annunciata nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo schema di Dl porta la firma del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, avrebbe trasmesso in queste ore il provvedimento alla Presidenza del Consiglio per i necessari raccordi a livello interministeriale prima che il testo arrivi sul tavolo di Palazzo Chigi. L'obiettivo del titolare del Mite è chiaro: tradurre nero su bianco le scelte di politica del nuovo dicastero e accelerare il permitting ambientale... ministro che, fin dalle prime audizioni in Parlamento, ha sempre sottolineato la necessità di accompagnare la svolta green con una vera e propria "transizione burocratica"... D'altronde, la nuova bozza di Recovery Plan indica un consistente pacchetto di riforme necessarie per la transizione green, soprattutto per incrementare le installazioni rinnovabili, cruciali per il raggiungimento dei target fissati dall'Europa... procedure semplificate per impianti onshore e offshore..."
Celestina Dominelli deve disporre di fonti privilegiate presso il Mite, perchè, per prima, ha anticipato anche queste altre belle pensate nell'articolo sul Sole di martedì scorso dal titolo "Transizione green: ecco le norme per iter rapidi e più risorse al Mite. Il decreto Cingolani":
"iter più rapidi per nuovi impianti green... nello schema di decreto di venti articoli che porta la sua firma e che è stato già trasmesso a Palazzo Chigi, come anticipato lo scorso 25 aprile da questo giornale, il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha messo nero su bianco un cronoprogramma stringente di semplificazioni... Insomma, più fronti, di cui alcuni, come le semplificazioni da portare rapidamente a traguardo visto che lo stesso Pnrr, nel capitolo riforme, rinvia a un decreto, da approvare entro fine maggio, l'istituzione di una «speciale Via statale» per le opere previste dal Piano attraverso una Commissione apposita... «La struttura di questo schema di decreto recepisce e traduce in scelte di policy la vocazione del nuovo dicastero, affrontando in modo integrato e sinergico le sfide della richiamata Missione 2, dalla tutela alla salvaguardia dell'ambiente e del territorio all'accelerazione del permitting ambientale e alla transizione energetica», scrive il ministro nella missiva indirizzata al premier Mario Draghi..."
Questo articolo della Dominelli DEVE essere letto dall'inizio alla fine, soprattutto da chi, tra gli ambientalisti, finge di non capire il disastro immanente, insito nella soppressione del sistema amministrativo di salvaguardie.
Cingolani prosegue l'esposizione del suo pensiero in un'intervista concessa a Luca Fraioli e pubblicata mercoledì dall'ultra ortodossa Repubblica sotto il titolo: "Roberto Cingolani: "Via la burocrazia, ripartiamo da sole e vento".
Ecco come il ministro risponde alle due domande che più ci interessano:
"L'Ue ha confermato di voler ridurre del 55% le sue emissioni di anidride carbonica entro il 2030. L'Italia come può riuscirci? "Installando 65-70 gigawatt di energie rinnovabili entro i prossimi dieci anni. Nel 2030 il 70-72% dell'elettricità dovrà essere cioè prodotta prevalentemente da centrali eoliche o fotovoltaiche"... Ha rivendicato l'esigenza di affiancare transizione ecologica e transizione burocratica. Perchè? "Torniamo alle rinnovabili: già oggi in Italia programmiamo di installare 6 gigawatt l'anno e, a causa del lungo iter autorizzativo, alla fine ne installiamo solo 0,8. Di questo passo per arrivare ai 70 gigawatt necessari a ridurre del 55% le emissioni ci metteremo 100 anni, altro che 2030".
Ripeto, nel caso in cui non fosse ancora abbastanza chiaro: "prevalentemente da centrali eoliche e fotovoltaiche".
A testimonianza della serietà del lavoro giornalistico, facciamo osservare che, nel riquadro che accompagna l'articolo, si indica letteralmente che "Entro il 2030 il 70% della domanda di energia sarà soddisfatta da sole e vento". Niente meno: il 70% di energia tout court. Ma sì, perchè fare i micragnosi? Ormai, sulla stampa mainstream, valgono le stesse regole delle assemblee sessantottine: vince chi, sulla "transizione ecologica", la spara più grossa, purchè appaia ideologicamente il più puro. Siamo realisti: chiediamo l'impossibile. L'immaginazione al potere... O piuttosto l'incubo?
In occasione della grottesca approvazione istantanea del Pnrr di martedì scorso in Parlamento (senza che nessuno avesse tempo non dico di analizzare, ma solo di leggere il documento di 300 pagine), si è appreso che lo "schema di decreto" sulle "semplificazioni ambientali", che è stato inviato a Draghi lunedì per attuare i progetti elencati nel Pnrr, verrà approvato entro maggio.
Sarà il decreto così detto "fate presto", che è la parola d'ordine gridata dalla "Piccola Greta" dai consessi ONU e UE. Tra messi di articoli laudatori del premier e di Cingolani sui giornaloni italiani (giornaloni in senso ironico, perchè ormai nessuno li compera più e servono solo ai loro proprietari come strumento di pressione politica o, meglio, ideologica, nell'elogio al mondo globale ma ecosostenibile) del giorno successivo, ne abbiamo letto uno che andava in senso contrario: "Dl Semplificazioni: l’ecologia a misura d’impresa (grande)".
E' stato scritto da Marco Palombi per il Fatto Quotidiano e ve lo segnalo anche per acutezza di analisi:
"Il ministero di Roberto Cingolani prova insomma a reinventarsi come dicastero "sviluppista" - delle imprese, anzi delle grandi imprese - e non più di mera tutela del patrimonio naturale: basta coi no e le lungaggini, "fate presto". E' questo il senso più profondo della bozza di decreto "semplificazioni ambientali" inviata lunedì a Palazzo Chigi. Siccome alcune delle previsioni del testo toccano (e parecchio) i poteri di altri ministeri, sarà ora il Dipartimento legislativo di Palazzo Chigi a guidare la partita e non sarà un processo indolore. Nei 20 articoli c'è tutta la nuova filosofia del fu ministero dell'Ambiente. Il primo si occupa della Valutazione d'impatto ambientale (Via) necessaria per ogni opera... Intanto in molti casi si avrà coincidenza tra l'autorità che rilascia la Via e quella che autorizza l'opera... Una sorta di "Via libera"... Quanto agli impianti di energia rinnovabile si arriva al paradosso: si vorrebbe che l'autorizzazione ambientale inglobasse anche quella paesaggistica (avete presente le polemiche sulle pale eoliche?) e si prevede un silenzio assenso di 30 giorni per tutti i permessi, persino per i controlli sui rischi sanitari."
Forse sarebbe opportuno ricordare il più rapidamente possibile a questi ministri (ed al popolo) che esiste ancora una Costituzione (e non solo l'art. 9...), anche se la pletora di DPCM dell'ultimo anno ha dato una sensazione completamente opposta, nell'acquiescenza non solo del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e degli altri organi (costituzionalmente) delegati ad intervenire in questi casi, ma anche del popolo medesimo. Un anno e mezzo fa un altro tizio, dal Papeete, aveva chiesto i pieni poteri ed era stato preso a pernacchie da tutti. Non vedo perchè non si debba fare la stessa cosa adesso con queste pericolose cialtronerie escogitate degli esponenti del nuovo (sopravvalutato) governo.
La cronaca del disastro annunciato sarebbe finita qui. Ma vogliamo introdurre una nota di speranza.
L'unico aspetto positivo di questa vicenda è che qualcuno, in alto loco, comincia finalmente a rendersi conto che il concreto rischio, assunto con il PNIEC, di far finire l'economia fuori strada, con il "green new deal" e la "decarbonizzazione integrale" al 2050 diventa una certezza. L'unica incognita, adesso, è sapere se, in questa fase delicatissima, l'economia italiana finirà entro pochi anni nel fosso oppure (come sono convinto io, sulla base delle disastrose conseguenze di precedenti errori storici, pur di magnitudine ben inferiore a questi, compiuti in Italia nei secoli passati) in un burrone dal quale non risalirà mai più, se non a pezzi e comunque dopo molto tempo.
Faccio riferimento, in particolare, ai due recenti editoriali di Romano Prodi sul Messaggero, il primo dell'undici aprile, dal titolo rivelatore "La strada in salita per la svolta ecologica", ed il secondo del 18 aprile: "Gli interessi da difendere nella politica dell’ambiente".
Quest'ultimo con argomentazioni molto più dure, da Rete della Resistenza sui Crinali, e con toni irritatissimi, anche al lordo dello stile curiale caro al vecchio professore. Irritatissimo soprattutto verso i due maggiori partner europei, che per l'Europa pretendono la transizione verso le rinnovabili, ma riservano a se stessi l'accesso a energia affidabile, economica e programmabile - ancorchè inquinante - qualora la rivoluzione verde, come TUTTI gli esperti prevedono pur senza dirlo, si rivelasse troppo costosa o ingestibile. Leggiamo che cosa sostiene Prodi:
"nonostante gli impegni presi in tanti summit mondiali, l’impiego delle fonti fossili negli ultimi vent’anni (escludendo il 2020, anno del Covid in cui si è fermato il mondo) è rimasto allo stesso altissimo livello (80%), mentre le nuove rinnovabili (eoliche e solari) sono ferme al 2%. Perfino nella produzione di energia elettrica, dove si è concentrato lo sforzo delle rinnovabili, le fonti fossili contano per il 64% contro il 65% del 2000... Il problema è particolarmente serio per l’Italia perché, negli scorsi anni, abbiamo speso l’enorme somma di 130 miliardi di euro in sussidi per passare al rinnovabile... l’Europa produce solo tra il 7% e l’8% delle emissioni globali e l’Italia non arriva all’1%. Noi europei abbiamo quindi l’obbligo di continuare a essere i leader del cambiamento, ma con gli strumenti adatti allo scopo. La transizione energetica può essere portata avanti senza distruggere le nostre imprese solo se l’Europa porterà avanti la “carbon tax”... Se non ci difendiamo di fronte alla concorrenza di chi (a partire dalla Cina per passare all’India e, in parte, anche agli Stati Uniti) utilizza il carbone per produrre a costi minori, ci troveremo presto obbligati a rinunciare ai nostri nobili obiettivi."
Prodi, più correttamente, avrebbe dovuto scrivere di "carbon BORDER tax". Certo. Il professore, però, così come il commissario Gentiloni a Bruxelles, non considera che, come fatto rilevare dal professor Samuele Furfari, "simili tariffe non funzionano in un mondo libero". Per le finalità indicate da Prodi si dovrebbe piuttosto provare a percorrere la strada dell'Imea, che non è una carbon border tax, e potrebbe essere più facilmente accettata dal commercio internazionale perchè non apparirebbe come una forma di protezionismo mascherato.
Agli interventi di Prodi sul Messaggero ha fatto seguito sul Mattino un articolo iper-critico sulla transizione green (anche se il titolo "La rivoluzione che glissa sul caos rifiuti" appare del tutto incongruente) del prof. Tabarelli, presidente di Nomisma Energia:
"Quella verde del PNRR è proprio una rivoluzione e, in quanto tale, va presa con le pinze, perché, come tutte le rivoluzioni, è visionaria e si stacca da una realtà fatta di bollette che famiglie e imprese devono pagare a fine mese... troppo facile essere d'accordo sulle rivoluzioni verdi senza guardare ai loro costi nascosti".
Per la prima volta Tabarelli usa l'argomento che "gli italiani hanno un crescente astio nei confronti dei pannelli e delle pale eoliche". Chissà mai perchè questo astio... Vabbè. Comunque meglio tardi che mai. Ne prendiamo nota. Se son rose fioriranno. Ma siamo già in maggio. Le rose devono fiorire subito, entro questo mese. Altrimenti, a lasciar fare a Cingolani, al Mite e a Legambiente, si finisce tutti quanti nel burrone.
Alberto Cuppini