Con la nuova SEN dovremo continuare ad indebitarci per comperare le pale eoliche tedesche

 Paradossi di una Europa a traino tedesco. Nonostante la Germania appaia destinata a fallire il suo impegno di ridurre le proprie emissioni di CO2 al 2020 a causa di una "inaspettata crescita economica", continua a dare lezioni di austerità ai partner europei. Il modello Germania si è coperto di ridicolo. La Germania usa con spudoratezza gli obiettivi climatici (e non solo), per il tramite della Commissione UE, per mere finalità mercantilistiche o per attuare grossolane politiche commerciali del tipo "beggar thy neighbor", mal celandole sotto il velame di politiche umanitaristiche o ambientalistiche. Ad esempio per vendere a tutta l'Europa i propri aerogeneratori, che l'Italia, dopo l'imminente Piano Nazionale Energia e Clima derivante dalla nuova SEN, sarà costretta a comperare, nonostante il suo enorme debito pubblico.

 

 

Alessandro Codegoni, su Qualenergia.it ("il portale dell'energia sostenibile", ovvero la Bibbia dei devoti al culto delle rinnovabili elettriche) del 7 giugno scorso nell'articolo "L'eccessivo export elettrico tedesco e l'impatto sulle emissioni", scriveva:

"Fino a pochi anni fa ogni articolo internazionale sulle energie rinnovabili non mancava di citare la Germania come “l’esempio da seguire”, soprattutto per il formidabile sforzo della Energiewende, la transizione energetica, che aveva portato il paese in pochi anni a installare, al 2017, 43 GW di potenza solare, quasi 58 di eolica (che hanno sfregiato, fino a renderle irriconoscibili, intere aree rurali della Germania. Ndr) e 7,4 a biomassa. Poi, nell’ottobre 2017, un annuncio scioccante da parte del Ministero dell’Ambiente tedesco: la Germania non avrebbe rispettato il suo impegno di ridurre le emissioni di CO2 del 40%, rispetto al 1990, come stabilito dagli accordi europei 20-20-20, fermandosi forse a un -33%."

Il modello Germania si è coperto di ridicolo.

L' "annuncio scioccante", che a suo tempo - non a caso - non è stato ripreso da nessun importante organo di stampa italiano, era stato diffuso proprio mentre in Italia era in corso di elaborazione il testo definitivo della nuova Strategia Energetica Nazionale, i cui estensori si sono rifatti, più o meno esplicitamente, proprio al modello Energiewende. La notizia non ha minimamente ostacolato la scellerata scelta del Governo italiano di coprire entro il 2030 anche il territorio italiano di pale e pannelli a dismisura.

Leggiamo, da un articolo dal titolo "La Germania destinata a mancare disastrosamente gli obiettivi sul clima" di Climate change news dell'undici ottobre scorso, che "la Germania è avviata a un chiaro fallimento per raggiungere i suoi obiettivi climatici del 2020... La Germania ha fatto della protezione del clima una delle priorità della sua Energiewende, uno spostamento duale dal carburante fossile e dall'energia nucleare ad un sistema energetico basato sulle rinnovabili. Lo scorso luglio aveva anche insistito vigorosamente per convincere i Paesi del G20 ad adempiere all'accordo sul clima di Parigi... Nel maggio di quest'anno la previsione del governo già prospettava una riduzione di emissioni appena attorno al 35%. Il documento ministeriale ora cita dati recenti per dimostrare che anche questa cifra non sarà raggiunta. "In sintesi: l'inaspettata forte crescita economica, i bassi prezzi energetici, il continuo aumento dell'esportazione di energia e la crescita della popolazione sono le principali cause."

Felix Italia, allora, che non ha dovuto subire quella "forte crescita economica" che tanto danneggia il clima. Anzi: i suoi cittadini, impoverendosi, hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali per il 2020, mentre le emissioni globali aumentavano sensibilmente per le favorevolissime contingenze economiche degli ultimi anni. C'è proprio di che andare fieri. Al contrario dell'Italia, la forte crescita economica interna, a cui tutto sacrificare, è stata, dalla riunificazione delle due Germanie in poi, la massima preoccupazione dei Governi tedeschi.

Per evitare di riconoscere questa banale ovvietà, e cioè che in tutto il mondo crescita economica e crescita demografica portano inevitabilmente ad un aumento delle emissioni clima alteranti, l'immarcescibile Qualenergia, arrampicandosi sugli specchi, ha fatto propria solo la spiegazione dell'aumento dell'export elettrico tedesco, confondendo però un effetto con la causa di questo aumento di emissioni.

Tale causa era stata meglio analizzata, già nel 2014, da Stefano Casertano in un articolo dal titolo "Il modello energetico tedesco e i suoi gravi limiti" dell'Aspen Institute:

"È una conseguenza di un mix rinnovabile-tradizionale sbilanciato: all’aumento delle rinnovabili è seguito un aumento delle tradizionali “economiche” – e il carbone costa meno del gas. I “vecchi” impianti nucleari offrivano elettricità a prezzo relativamente ridotto, e il loro spegnimento sarà ora sostituito dall’accensione di centrali a carbone. Così, i piani tedeschi del “100%” rinnovabile rimarranno lettera viva solo nella propaganda elettorale; nella realtà saranno lettera morta."

Ma anche Casertano, nel suo articolo, manca di menzionare il problema fondamentale, e cioè che eolico e fotovoltaico non sono fonti di energia programmabili. In mancanza della possibilità di immagazzinamento di grandi quantità di energia elettrica, il sistema deve essere duplicato, stante la necessità di avere sempre a disposizione, oltre a pale e pannelli, un potenziale elettrico modulabile, cioè affidabile, anche in assenza di vento e sole sufficienti. Per mantenere attivo tale potenziale ci sono due possibilità: o si pagano questi impianti per non produrre (come si farà in Italia con il capacity market prossimo venturo) oppure, come si fa in Germania, li si lasciano operare sul mercato, assieme ad eolico e FV, per guadagnare quella quota di ricavi dalla vendita di energia elettrica che continui a garantire la profittabilità agli operatori. Tale profittabilità, che Qualenergia confonde con intenti speculativi, obbliga necessariamente a destinare l'extra produzione delle rinnovabili che il mercato interno non richiede all'esportazione. Ma a prezzi vili, se non addirittura negativi.

Questo, oltre a destabilizzare le reti ed i mercati elettrici dei Paesi limitrofi e - per contagio - dell'intera Europa, genera tutta una serie di scandali a catena, come quello denunciato nell'articolo dell'Handelsblatt del 3 gennaio 2018 dal titolo "Essere pagati per usare l'elettricità tedesca":

"La Germania viene obbligata a pagare altri Paesi per prendersi il suo surplus di elettricità perchè la sua rete elettrica non riesce a far fronte all'ondata di rinnovabili. Con costi che crescono a dismisura, operatori, aziende e regolatori reclamano a gran voce un'azione politica."

Questi inestricabili grovigli di teutonica testardaggine eolica non sono certo una novità per la Rete della Resistenza sui Crinali che, ad esempio, nel 2012 aveva diffuso un'inchiesta - fortemente critica - sull'Energiewende dello Spiegel;

Nel 2013 era seguita la denuncia del Modell Deutschland;

Nel 2014 la RRC aveva riproposto il tranciante giudizio di una commissione governativa di esperti tedeschi (EEG)sull'Energiewende;

Nel 2015, sempre sullo stesso argomento, una rassegna di articoli tedeschi. Prima di proseguire, invito i miei venticinque lettori a rileggerli. 

Di sicuro non li hanno mai letti i Governi italiani della scorsa legislatura, tutti grandi ammiratori del modello tedesco, a cominciare dal Ministro dello Sviluppo Economico Calenda, firmatario della nuova Strategia Energetica Nazionale eolico-dipendente.

Così su di lui Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano, nell'articolo dello scorso 25 febbraio "Gli aiuti a Confindustria. I favori miliardari di Renzi": "Carlo Calenda, che ha lavorato a lungo ai vertici di Confindustria... e che si occupa anche di energia, in questi anni ha applicato in Italia un approccio che è tipico di grandi Paesi industrializzati come la Germania, ma non per questo meno criticato: aumentare un po' i costi di elettricità e gas per le famiglie così da poter alleggerire la bolletta delle grandi imprese e renderle più competitive. La revisione degli oneri di sistema, una delle voci più pesanti della bolletta che ha contribuito anche agli ultimi aumenti scattati in gennaio, determina uno sconto di 1,7 miliardi per le imprese energivore e un aggravio di 250 milioni per le famiglie e di 450 milioni per le piccole imprese."

Ma anche nell'àmbito di questi sconti agli energivori sono recentemente comparsi, per i tedeschi, degli inattesi guai.

Leggiamo di che cosa si tratta dall'articolo del Quotidiano Energia del 28 maggio scorso "Ue: “Gli energivori tedeschi restituiscano le esenzioni": "Le esenzioni dagli oneri di rete concessi agli energivori tedeschi dal 2012 al 2013 sono contrari alle norme europee sugli aiuti di Stato e la Germania deve perciò recuperarli. Lo ha stabilito oggi la Commissione Ue alla Concorrenza, ricordando che nel periodo le aziende tedesche con consumi elettrici annui superiori ai 10 GWh hanno beneficiato della completa esenzione dagli oneri di rete, con un risparmio nel solo 2012 di circa 300 milioni di euro finanziato da un sovrapprezzo sulle bollette. A seguito di alcuni reclami di associazioni di consumatori, aziende energetiche e cittadini, l'Antitrust comunitario ha avviato un'indagine approfondita. Considerando che il sovrapprezzo imposto ai consumatori è una risorsa statale, la Commissione ha concluso che l'esenzione costituisce un aiuto di Stato che non trova giustificazione nella legislazione comunitaria in materia, in base alla quale ciascun utilizzatore deve pagare i costi che causa alla rete. Sarà ora il Governo di Berlino a determinare l'ammontare esatto degli oneri di rete che i beneficiari saranno tenuti a restituire."

In Italia le esenzioni concesse agli energivori alla partecipazione agli oneri di sistema (cioè, in buona sostanza, agli incentivi alle FER elettriche) degli ultimi anni valevano (secondo differenti fonti) da 600 a 800 milioni di euro all'anno. Con la modifica a loro ulteriore vantaggio voluta da Calenda (su modello tedesco, per l'appunto), tale esenzione, secondo le stime in verità non tutte concordi, dovrebbe aumentare di un miliardino (sempre all'anno).

Un regalo non piccolo che adesso potrebbe sfumare. I guai sarebbero ancora peggiori se anche gli energivori italiani dovessero addirittura restituire, come i tedeschi, il maltolto degli ultimi anni. La cosa non sarebbe solo conforme alla normativa Ue sulla concorrenza ma anche a un elementare buonsenso, forse risvegliato a Bruxelles dal successo dei "populisti" europei, che sembrano non apprezzare granchè questi privilegi elitari (in questo caso a vantaggio esclusivo dei profitti delle imprese di maggiori dimensioni).

Ci pare significativo che l'iniziativa sia partita da "alcuni reclami di associazioni di consumatori" tedesche, nel silenzio delle loro omologhe italiane che, rispetto alle innumerevoli distorsioni introdotte dall'installazione massiva di FER elettriche non programmabili a danno dei consumatori, hanno preferito recitare la parte di Don Abbondio, forse per non sfidare l'impopolarità nell'apparire avversi alle (sia pure truffaldine) "energie pulite". O forse per qualche altro motivo.

Ora cambierà qualcosa nell’atteggiamento di tali associazioni italiane, in gran parte di derivazione sindacale? Non è (non sarebbe...) mai troppo tardi.

Del resto, anche i bambini (e a maggior ragione i cittadini elettori) hanno ormai capito il trucco: la Germania, in materia di energie rinnovabili come per tutto il resto, crea le regole sulla base delle proprie esigenze e poi la Commissione europea ne prende atto.

A proposito delle direttive della Commissione, con la solita franchezza si è espresso Giulio Sapelli (presidente in pectore del nuovo esecutivo giallo-verde per l'espace d'un matin) in un articolo del 12 maggio "Il vero piano M5s-Lega: smontare la Ue per rifarla", pubblicato dal Sussidiario:

"Dall'Europa di oggi del resto non promanano leggi ma direttive, ossia una serie infinita e costituzionalmente indefinita di droits acquis che via via invadono e ostruiscono le procedure della vita parlamentare nazionale che in una libido ossessiva troppo spesso si limita a trasformarle in leggi dei parlamenti nazionali. Ma basta questa legiferazione indotta e convulsa a fondare una nuova legittimità? L'Europa a funzionalità né federale né confederale a sovranità sottratta e non condivisa è una sorta di biblico Behemoth che sguazza in un fango tecnocratico ordoliberista."

E se non sono "fango tecnocratico ordoliberista" le allucinanti direttive per raggiungere gli "obiettivi climatici" europei, allora che cosa lo è?

La Germania usa con spudoratezza tali obiettivi, per il tramite della Commissione UE, per mere finalità mercantilistiche o per attuare grossolane politiche commerciali del tipo "beggar thy neighbor", (mal) celandole sotto il velame di politiche umanitaristiche o ambientalistiche.

Ad esempio per vendere a tutta l'Europa i propri aerogeneratori.

Non a caso, come si può osservare dal grafico a torta ricavato dal "Punto sull'eolico" redatto dal GSE nell'ottobre 2017,

 

 

la maggior parte degli aerogeneratori degli impianti eolici di grandi dimensioni (cioè superiori alla potenza di 5 MW) realizzati in Italia nell'ultimo biennio, e dopo che la Gamesa nell'aprile 2017 si è fusa con la Siemens Wind Power, sono stati prodotti da aziende di proprietà tedesca. E' utile notare come le sedi di tutte queste società, compresa la danese Vestas, siano collocate nei pressi del mare del Nord, là dove arrivano indisturbati i venti oceanici per intercettare i quali queste macchine enormi vengono appositamente costruite. Ad Amburgo la Siemens Wind Power, la Senvion e la Nordex, ad Aurich in Bassa Sassonia la Enercon e ad Aarhus nello Jutland la Vestas.

A proposito di aiuti di Stato occulti, è del pari doveroso far rilevare come, non certo a caso, in Germania e in Danimarca la bolletta elettrica per le famiglie sia la più cara d'Europa. Sarebbe invece imbarazzante spiegare perchè mai sul terzo gradino del podio di questa classifica di onerosità ci sia collocata l'Italia, che non produce aerogeneratori ma li compera a carissimo prezzo e che non è di certo aperta ai venti dell'Atlantico.

La revisione della SEN è necessaria. Dobbiamo tenere il futuro aperto evitando di introdurre nell'economia nazionale, già altamente regolamentata e compressa, ulteriori vincoli europei - specie quando non sono obbligatori - soprattutto perchè, con un debito residuo acquisito in incentivi alle FER elettriche di oltre 150 miliardi, il futuro energetico della Nazione è già ampiamente compromesso almeno fino al 2031.

Questo per quello che riguarda l'eolico. Mi sia consentita ora una conclusione sulla politica tedesca di respiro più ampio.

La critica di Sapelli, seppure in toni un po' meno aspri, non è certo una novità di oggi. Alcuni grandi giornali italiani, che recentemente tacciono per non gettare altra benzina sul fuoco del "populismo", avevano denunciato da anni l'irrazionale politica germano-centrica dell'Unione.

Carlo Bastianin scriveva sul Sole 24 Ore del 9 luglio 2014 "La campana della crescita suona anche per Berlino":

"Ci sono ragioni demografiche, sociali e culturali che fanno prevedere che il surplus commerciale tedesco semplicemente non si ridurrà né a breve né a medio termine. I Paesi dell'euro dovranno cioè continuare a navigare sulla stessa barca con una specie di elefante ipocondriaco e competitivo, che accumula risparmio attraverso bilanci pubblici in attivo ed enormi surplus di bilancia dei pagamenti."

Vincenzo Visco, che probabilmente non si è mai considerato populista, così tuonava sul Sole del 7 novembre 2014 nell'articolo "Che cosa vuol fare la Germania": " (Nel 2012)... era già chiaro come la politica seguita dal governo tedesco e imposta agli altri Paesi dell'Ue, mentre risultava vantaggiosa per la Germania, danneggiava i Paesi più deboli e poteva portare alla disintegrazione dell'euro... Il fatto che le scelte fondamentali a partire dal 2010 siano state in conflitto con la logica di funzionamento di un'area economica a moneta unica è acquisito. Si tratta di una serie impressionante di errori nella gestione della crisi... Le prese di posizione di numerosi e importanti esponenti dell'estabilishment tedesco sembrano piuttosto orientate verso una politica di disimpegno dall'euro e dal progetto europeo e influenzate da un neonazionalismo e un'idea di autosufficienza preoccupanti. Al tempo stesso in molti paesi europei monta l'insofferenza nei confronti di un'Europa a guida tedesca e montano i sospetti nei confronti di un vicino ingombrante e sempre più percepito come aggressivo e pericoloso."

Adriana Cerretelli sul Sole del 21 novembre 2013, alla vigilia delle ultime elezioni europee, nell'articolo "La ragnatela tedesca trappola per l'Europa" scriveva:

"La Germania vuole un'Unione economico-monetaria appiattita sul proprio modello per non correre più rischi con i partner indisciplinati, inefficienti o poco competitivi... Una ragnatela di vincoli sempre più soffocanti, sovranità nazionali ridotte all'osso, scelte di società e di sviluppo private della loro identità, stimoli a crescita e occupazione solo simbolici: se questa è la nuova equazione europea, lo sbarco in forza di nazionalisti e euroscettici al prossimo Parlamento europeo è assicurato. E in parte anche giustificato."

Il vaticinio si è rivelato sbagliato solo nei tempi e nei modi. Alle elezioni europee ha trionfato l'astensionismo. Ad esso è seguita la Brexit, da quello annunciata. I nazionalisti e gli euroscettici sono sbarcati invece, in seguito, nei Parlamenti nazionali. Prima nei Paesi della periferia del nuovo Reich, poi, con le recenti elezioni politiche italiane, più vicine al suo nucleo.

Su tutto incombe il rischio della "Germania maestra di scuola d'Europa", contro il quale ammoniva il vecchio Bismarck. La Signora Merkel ben la impersona.

Leggiamo Federico Fubini sul Corriere del 7 luglio scorso, nell'articolo "Lo strappo discutibile di Merkel":

"...se dichiarazioni e gesticolazioni suggeriscono che l'America oggi è una forza protezionista sui mercati globali, i numeri mostrano una verità opposta. Sono l'Europa e in particolare la Germania a sottrarre domanda al commercio internazionale e crescita all'economia globale con politiche mercantiliste di fatto... Un avanzo monstre nei saldi degli scambi di beni, servizi e partite finanziarie di quasi 300 milioni di dollari per la Germania fa molti più danni al commercio internazionale della retorica di Trump."

L'Europa Unita era stata pensata dai padri fondatori, dopo gli orrori delle guerre mondiali, in ben altra veste.

Come amava scherzare il compianto Guido Rossi:

"Dopo gli eccessi drammatici dal 1914 al 1945, l'Europa sembra aver abbandonato lo stile epico, tragico e degli eroi dell'antico dio della guerra Marte ed essersi convertita a Mercurio, il dio del commercio, del consumismo... e dei ladri."

 

Alberto Cuppini

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