La grottesca vicenda della COP25 di Santiago celebrata a Madrid. I disastri combinati dall'Enel. L'anatomia del fallimento del summit. Alcune sagge riflessioni che proprio in quanto tali in Italia non interessano a nessuno. La politica però rimane una cosa seria, non una baracconata mediatica. Guai in vista in Italia e in Europa.
Perchè mai la COP25 di Santiago è stata celebrata a Madrid?
Il summit mondiale sul clima di Santiago del Cile denominato COP25 si era subito presentato sotto i peggiori auspici. Il Fato (e chi altri?) aveva provato, come nelle tragedie greche, ad avvisare gli sciagurati mortali che si stavano inoltrando per un cammino senza ritorno. Ma anche questo ennesimo segno del destino era stato colpevolmente ignorato da chi ha deciso di condannarsi (e condannarci) alla dannazione.
Nel consueto, omertoso silenzio dei giornaloni italiani, avevamo appreso dell'intrusione degli Dei nelle vicende degli uomini dall'articolo del bastian contrario di professione (per fortuna ne esiste ancora qualcuno) Franco Battaglia sul Giornale del 4 dicembre scorso "Perchè le battaglie di Greta sono destinate tutte a fallire", sottotitolato profeticamente "Poveri illusi fallirà anche questo vertice":
"La Cop25 doveva svolgersi in Cile. Ma da quelle parti avevano deciso di far funzionare le metropolitane solo col fotovoltaico. Non ci sono riusciti, ma il solo tentativo ha fatto lievitare talmente i costi dei trasporti che i cileni si sono incazzati. Ma proprio tanto. E l'evento è stato spostato a Madrid."
In realtà, l'astuto governo cileno voleva far funzionare i trasporti (a dire il vero solo "in larga parte") sia col fotovoltaico che con l'eolico.
"La metro di Santiago del Cile correrà con le energie rinnovabili" ci informava un lancio dell'ANSA del 21 giugno 2017, che sottotitolava "Dal 2018 sarà alimentata con il sole e il vento del deserto".
Splendido! Come Lawrence d'Arabia ma senza neppure bisogno dei dromedari per spostarsi.
"Per il Cile, la nuova El Dorado dell'energia pulita, è una scommessa già vinta in partenza", si esultava nel sito di As solar nel post "Cile: la metro di Santiago correrà grazie alle rinnovabili":
"Le aste hanno permesso al Paese di rendere eolico e fotovoltaico in molti casi più convenienti delle fonti fossili, e al governo di impostare un piano per l’indipendenza energetica. Entro il 2050, le rinnovabili dovranno fornire il 70 per cento del mix elettrico rispetto all’attuale 15 per cento... In questo contesto, il progetto della capitale ha un ruolo di primo piano. La metro di Santiago, con i sui 2,4 milioni di passeggeri quotidiani e oltre 84 km di tracciato, è uno dei più grandi consumatori di energia della città. Il progetto, accolto con entusiasmo dal Presidente Michelle Bachelet, prevede di ottenere il 60 per cento dell’elettricità necessaria alla metropolitana con l’energia solare ed eolica. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la statale Metro SA ha firmato due differenti accordi della durata di 15 anni grazie ai quali riuscirà a coprire il 42 per cento della potenza del sistema attraverso una centrale fotovoltaica da 100 megawatt situata nel deserto di Atacama. Ben 254.000 pannelli solari copriranno una superficie delle dimensioni di 370 campi di calcio. Il restante 18 per cento sarà fornito da un parco eolico sviluppato di recente e situato poco più a nord rispetto l’impianto fotovoltaico... Ma diversi esperti si sono spinti anche oltre, proponendo di aumentare ulteriormente la quota di rinnovabili impiegata dalla metro di Santiago."
Capofila del progetto di elettrificazione dei trasporti cileni era l'Enel.
Ma l'Enel che ci azzecca?
In Italia l'Enel, grazie agli spropositati aiuti di Stato (ipocritamente definiti "incentivi") a fotovoltaico ed eolico, ha realizzato talmente tanti profitti ai danni degli utenti delle bollette elettriche da diventare nel 2017 l'azienda italiana con il maggiore fatturato e, recentemente, addirittura la seconda utility al mondo per capitalizzazione.
Per far comprendere le dimensioni della torta delle rinnovabili facciamo un piccolo esempio: oltre agli incentivi esorbitanti alle Fer, appena pochi giorni fa l'Enel ha ottenuto per il solo capacity market per mettere a disposizione in caso di bisogno il suo parco termoelettrico (ossia per bilanciare nel sistema elettrico la non-programmabilità di quelle sue stesse Fer) per il solo 2023 un regalone di altri 470 milioni di euro. Non vogliamo giammai pensare che ciò sia stato determinato da privilegi concessi dal suo azionista principale, ma, ciò non di meno, negli ultimi anni tali profitti smisurati hanno fornito all'azienda la base per un'ulteriore dilatazione del proprio colossale indebitamento al fine di espandersi a dismisura anche sui mercati esteri.
Così, ad esempio e come apprendiamo dal suo stesso sito web,
"Enel X si è distinto in Cile grazie alle sue soluzioni innovative sviluppate ad hoc per la diffusione della cultura elettrica e l’incremento della mobilità sostenibile. Per questo Transantiago, l’operatore dei trasporti della Regione Metropolitana di Santiago, si è affidato ai nostri servizi “chiavi in mano”."
L'Enel, come comunicava orgoglioso il direttore generale di Enel Chile, "elegge il Cile come punto di riferimento nell'elettromobilità in America Latina. Enel X ha fornito tutta la sua esperienza internazionale nelle soluzioni integrate di mobilità elettrica e nei sistemi di ricarica, a dimostrazione di un forte impegno dedicato allo sviluppo di una tecnologia che consentirà un trasporto pubblico efficiente, ecologico e a zero emissioni".
Stupidi gli altri a non averci pensato prima.
Purtroppo però, come in Italia sappiamo fin troppo bene, i costi di produzione delle rinnovabili elettriche non programmabili sono solo una parte degli oneri schiaccianti che queste tecnologie insensate portano con sè. E così i cileni sono stati ben presto costretti ad aumentare il prezzo dei biglietti della metropolitana, oltre a quello dell'elettricità.
E' scoppiata la rivoluzione. Come leggiamo, ad esempio, nell'articolo di Global Project "Santiago brucia contro il tarifazo":
"A dare il via alle proteste il cosiddetto “tarifazo”, l’aumento di un dollaro del prezzo del biglietto della metro di Santiago del Cile (ora uno dei più cari di tutto il continente) deciso dal governo... Con il passare dei giorni l’evasión masiva (il salto dei tornelli organizzato) è diventata una protesta generale con lavoratori e cittadini che non solo hanno appoggiato la protesta ma ne sono diventati partecipi, in quanto tra le varie misure economiche decise dal governo c’è stato anche l’aumento del costo dell’elettricità... Di fronte a una protesta sempre più grande e radicalizzata, già da giovedì il governo di destra del presidente Sebastian Piñera ha optato per la repressione mandando i carabineros a presidiare le principali stazioni della metro dove si sono verificati numerosi scontri con i manifestanti... Ma è in serata che si registra l’episodio più grave di tutta la giornata, l’incendio al grattacielo dell’impresa Enel Chile. La stessa impresa ha comunicato che l’incendio è stato appiccato da sconosciuti incappucciati che sono riusciti a entrare dalla scala di emergenza intorno alle 10 di sera. L’incendio è stato domato dopo qualche ora dai vigili del fuoco e solo una parte dell’edificio ha subito danni seri. Al momento le autorità non hanno ancora trovato i responsabili, di certo l’edificio è diventato un obiettivo della protesta per il recente rialzo del prezzo dell’elettricità del 10%."
"Cile, 9 morti nelle proteste: carri armati e coprifuoco a Santiago. Non accadeva dai tempi di Pinochet" titolava la Stampa del 20 ottobre, che avrebbe poi aggiornato il numero dei morti, ribadendo: "La rabbia popolare innescata dall'aumento dei prezzi dei biglietti della metropolitana"...
E allora il Carnevale ONU lo facciamo a Madrid!
Stando così le cose, non era proprio il caso di far svolgere in dicembre proprio a Santiago, come previsto, la COP25 dell'ONU, che è stata perciò opportunamente spostata a Madrid. Ma la sua sorte era ormai segnata. Sarebbe stato meglio ascoltare la voce degli Dei, che ci ammonivano contro la hybris di fare girare il mondo con pale e pannelli, ed abolirla addirittura. Il risultato della COP25 è stato, come riconosciuto da tutti, un fallimento.
In apparenza potrebbe sembrare che la causa prima sia stato il mancato accordo sul fondamentale articolo che avrebbe regolato il mercato del carbonio e consentito ai Paesi di effettuare interventi di mitigazione in altre parti del mondo vedendoli contabilizzati a proprio nome. Ma non è così. La dichiarazione finale della COP25 è un documento di inarrivabile vacuità e la tesi conclusiva del summit ("l'urgenza di una maggiore ambizione al fine di garantire il massimo sforzo per la mitigazione") avrebbe sconcertato persino il più pedante funzionario di Bisanzio.
Anatomia di un fallimento.
Per lucidità di analisi ed assenza dei soliti conformismi si è distinto nei commenti Federico Rampini, nell'articolo sulla Repubblica del 16 dicembre "Clima, le ragioni di un fallimento", che invitiamo a leggere integralmente sul sito web del quotidiano. Qui qualche breve citazione (tutti i grassetti che seguono sono nostri):
"E' tremendo il fallimento della conferenza di Madrid sul clima... ma c'è un altro rischio immediato: trarre le lezioni sbagliate dal fiasco di Madrid. La tentazione è facile, basta leggere il coro di condanne delle ong ambientaliste. La colpa è dei soliti sospetti. Donald Trump e la lobby dell'energia fossile. Questa è una caricatura della realtà... Il disastro di questo trentennio è avvenuto prevalentemente in Cina e in India.... Cina e India stanno trascinandoci verso un disastro ambientale perchè la decrescita felice è improponibile. Purtroppo, nessuno ancora è riuscito a dimostrare che la sostenibilità genera più occupazione e più reddito del capitalismo carbonico. L'Europa si candida a farlo, almeno in apparenza, con il piano verde presentato da Ursula Von der Leyen. Anche su quello però abbondano gli equivoci... i paesi emergenti sospettano che l'ambientalismo sia la nuova veste politically correct del protezionismo".
La causa principale del disastro delle COP Onu appare dunque il solito, famigerato principio terzomondista delle "comuni ma differenziate responsabilità" sancito fin da Rio 1992, ma una lezione altrettanto importante, come da anni sostenuto dal recente premio Nobel per l'economia William Nordhaus, è che per combattere il riscaldamento globale non ci possiamo affidare all'approccio volontaristico.
A rivendicare una maggiore ambizione negli obiettivi di riduzione rispetto a quelli indicati a Parigi, da una parte ci sono l'Unione Europea (o, per meglio dire, gli Stati dell'Europa occidentale) in pieno decadimento senile (si legga l'articolo di Alberto Clò "Spararla grossa non costa nulla, ma fa far bella figura), e numerosi altri Paesi, soprattutto quelli del continente sudamericano che si stanno avviando - uno dopo l'altro - verso un destino "venezuelano" (o "chavista", che dir si voglia), convinti della ragionevolezza di scaricare sempre sull'Occidente la responsabilità ed i costi di ogni guaio (anche relativo al clima) e dall'altra non solo Stati Uniti, ma anche Cina, Brasile, India, Russia, Paesi arabi e gli altri grandi emettitori di CO2 per unità di prodotto, tutti assolutamente determinati non solo a far uscire dalla miseria le proprie popolazioni, ma anche a sottrarre all'Europa quelle quote di mercato e quel potere politico (e il conseguente benessere dei suoi popoli) che essa non intende più difendere.
Alcune sagge riflessioni che - proprio in quanto tali - in Italia non interessano a nessuno.
Condividiamo le tesi dell'articolo di Davide Tabarelli, sul Sole del 26 settembre "Lotta al climate change: molti annunci, risultati sconfortanti", che così espone i termini del problema, parlando esplicitamente di "miracolo" per quelle tecnologie tuttora inesistenti che nel Piano Energia Clima (PNIEC) italiano e durante le COP dell'Onu vengono date per scontate per il 2030:
"Dal vertice del 1992 di Rio de Janeiro, da cui partirono poi le varie iniziative, le emissioni di Co2 da energia sono cresciute del 58%... La popolazione globale dagli attuali 7,6 salirà verso i 10 miliardi nel 2050, mentre ancora oggi miliardi di persone non usano forme moderne di energia. È inevitabile, e giusto, che i consumi continuino a crescere nei prossimi decenni... A livello globale, le nuove fonti rinnovabili, eolico e fotovoltaico, contano per meno del 2% della domanda di energia. Non è una questione di costi, perché questi sono crollati, il problema rimane la loro intermittenza e la difficoltà di loro accumulo in grandi quantità... In attesa di un miracolo su nuove tecnologie, una dose di maggiore realismo è indispensabile... L’aumento della temperatura dell’atmosfera, su cui non ci sono dubbi, richiede misure epocali, ma anche azioni immediate e concrete, lontano dall’assordante rumore dei grandi summit, dove l’esigenza della politica di unire inevitabilmente porta a decisioni ambiziose, spesso irrealistiche, il cui rischio, però, è creare confusione e allontanare, invece di avvicinare, gli obiettivi."
In termini analoghi, così conclude Clò l'articolo del 24 settembre sul blog della rivista Energia "L’Italia (dell’energia) che verrà: tra speranze e realtà":
"Come colmare allora il divario tra auspici e realtà? La risposta sta alla politica e alla regolazione che servono proprio a correggere il corso delle cose quando il mercato non le orienta inerzialmente verso obiettivi ritenuti di interesse generale. Quali strumenti adottare, a quali costi, a spese di chi, sono le domande cui la politica dovrebbe dare risposta. In modo chiaro e trasparente. Evitando, come in passato, di ricorrere solo a incentivi a pioggia con indebiti vantaggi per pochi e indebiti costi per la collettività."
Altrettanto condivisibile l'articolo sulla Repubblica del 19 settembre "L'ambiente ha un costo ma non vogliamo pagarlo", in cui Lucio Caracciolo, dopo aver certificato "la costosa inconsistenza delle organizzazioni internazionali", parla delle conferenze sul clima come "incentivo al turismo di massa delle élite, non certo alla riduzione delle emissioni di CO2" e conclude che "dopo la Conferenza di Parigi del 2015, le emissioni anziché diminuire continuano ad aumentare (nel 2017, più 1,6% rispetto all’anno precedente; nel 2018 record storico con più 2%, probabilmente superato nel 2019). E quel poco che si abbatte è dovuto al gas - fossile che ci raccontano meno sporco - e alla crescente efficienza energetica, assai più che al trionfo delle “verdi”. Alla fine, ci viene il sospetto che la transizione in corso non sia tanto dal fossile al rinnovabile, ma da quel che resta della democrazia verso qualche forma di autocrazia."
Che il vero problema di questo vano agitarsi per il clima risieda a livello superiore è convinzione anche di Giuliano Ferrara. Anzi, Ferrara, sul Foglio del 23 settembre nell'articolo "Pomp and circumstance senza bacon a colazione" (anche questo da assaporare per intero sul web), colloca tale livello ancor più in alto, anche se la conclusione sul "Che fare?" è la medesima:
"I festeggiamenti apocalittici dei ragazzini di tutto il mondo per la salvezza del pianeta... sanno di oculata e obliqua regia adulta, e fin qui passi, ma emanano un sentimento di irregimentazione e di indottrinamento incompatibile con un’educazione liberale, diffondono un’aura di religiosità palloccolosa e anche troppo sincera, con la sostituzione a un Dio dogmatico (e poi a un Dio personale e di coscienza) di una divinità comunitaria e umanitaria (Forse Ferrara, scrivendo di questa avvenuta sostituzione del Dio cristiano, non pensava solo ai ragazzini. Ndr)... Il cambiamento climatico... non è materia per parate e per eventi generazionali con ricchi premi e cotillons, è materiale di stato e di élites".
Queste stesse considerazioni incentrate sul pragmatismo sono state fatte proprie nel documento presentato dal Comitato Nazionale per il Paesaggio nel corso della recente audizione presso la X Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati sulla SEN e il PNIEC per il 2030.
L'anno prossimo una doccia scozzese?
Invece i governi europei, ed in particolare quello italiano, dagli esiti di Madrid non ci hanno capito niente. Il timore è che dovremo aspettare una rivoluzione come a Santiago oppure una devastante crisi economica per farla finita con pale, pannelli e carnevalate varie.
Per il momento è tutto rinviato alla COP26 di Glasgow del prossimo novembre, anch'essa destinata al fallimento per queste stesse contraddizioni insanabili in sede ONU. Un fallimento che potrebbe essere la spinta che manca a Trump, rafforzando negli americani i dubbi sulla bontà della globalizzazione politically correct, per la sua rielezione quello stesso mese.
In Italia la COP26 si prospetta fin d'ora offuscata da cupi presagi di disastro annunciato.
Un ministro extra-terrestre.
Leggiamo sgomenti dall'intervista realizzata da Sara Gandolfi, sul Corriere della Sera dell'undici dicembre "In ottobre a Milano la prima Cop dei giovani. Greta è già invitata", che "si svolgeranno in Italia, a Milano, il prossimo anno a ottobre, i lavori preparatori di Cop26 e soprattutto la prima Cop Giovani. Ad annunciarlo in anteprima al Corriere della Sera, è il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che oggi nella sessione plenaria di Cop25 ribadirà il sostegno italiano alla riduzione delle emissioni «in linea con gli obbiettivi di Parigi».
Visto il protagonismo dei giovani, CopYouth diventerà un evento chiave?
«Ne ho parlato con il sindaco di Milano e con il presidente della Regione Lombardia. Sono entrambi entusiasti, come lo sono io. È la prima volta nella storia delle Cop, su un’intuizione tutta italiana. Giovani di tutto il mondo che si incontrano per due giorni, con una Dichiarazione finale che sarà portata in novembre alla Cop26 di Glasgow e presa in carico dai decisori. L’aspirazione è che diventi poi un appuntamento strutturale».
Greta dice «educhiamo gli adulti». È d’accordo?
«È la prima volta nella storia dell’essere umano in cui i figli educano i genitori. I giovani hanno una marcia in più, sono più liberi, dobbiamo creare le condizioni per ascoltarli. Passare dalla protesta in strada alla proposta».
Quindi Greta è invitata?
«Ma certamente. Come saranno invitati, a carico dell’Italia, i giovani di ogni Paese che compone la Cop, e anche l’inviata di Un Youth, Jayathma Wickramanayake»."
Questo Costa, già segnalatosi più volte per l'assoluta mancanza del senso del ridicolo (come ad esempio quando aveva aderito alla proposta di impedire la commercializzazione delle auto a benzina e diesel entro il 2030), è stato l'unico ministro del precedente governo giallo-verde ad essere confermato nel suo incarico nel nuovo governo. Forse qualcosa ci sfugge. A meno che l'assoluta mancanza del senso del ridicolo oggi in Italia non sia considerata una qualità premiante per un politico.
Italiani, siate seri!
La politica però rimane una cosa seria, non una baracconata mediatica. Gli italiani dovrebbero tornare il più rapidamente possibile - e non solo in questo àmbito - alla serietà (che non era seriosità) del Risorgimento e dell'emergenza post bellica onde evitare altri guai irreparabili. Per questo motivo la prima cosa da fare sarebbe smettere di prendere in seria considerazione le buffonerie che invece si stanno moltiplicando - e non solo in materia di emergenza climatica - e che vengono amplificate da televisioni e giornaloni.
Nessuno accetterebbe di affidare non dico i destini del Pianeta, ma neppure quelli del proprio condominio a personaggi (si veda la galleria fotografica a seguire) come quelli che hanno fatto passerella a Madrid.
Alberto Cuppini