Un'economia verde come il carbone (cinese)

E' stato pubblicato il nuovo libro di Giovanni Brussato "Cina, la nuova egemonia".

 

 

Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.

(Inferno, Canto XVIII)

 

Nell'aprile del 2000, al volgere del nuovo millennio, l'editore Guerini e Associati pubblicava un saggio di Mario Deaglio sull'Italia e l'economia globale dal titolo "Un capitalismo bello e pericoloso", ovvero quello che negli anni 90, nella felice definizione di sintesi di Edward Luttwak, veniva definito "turbo-capitalismo".

Oggi, dopo un quarto di secolo, lo stesso editore, con il nuovo libro di Giovanni Brussato "Cina, la nuova egemonia", ci vuole fare sapere che

- il capitalismo è, sì, pericoloso anzi pericolosissimo dopo l'ingresso a pieno titolo nel 2001 della Cina comunista nell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO), ma

- il capitalismo, diventato nel frattempo "globalizzato", non è per nient'affatto bello ed anzi, specie se osservato dal fondo delle miniere come fa per noi Brussato, è irrimediabilmente brutto. Ed in via di costante peggioramento.

L'improvvisa accelerazione verso la disarmonia e la deformità del capitalismo globalizzato è stata la scelta di realizzare una "transizione energetica" basata su basse o nulle emissioni di carbonio. Per far questo, in Occidente si è deciso di puntare tutto sull'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e per ciò stesso su tecnologie basate su "quantità di metalli di base e geochimicamente rari mai estratte prima". Ad aggravare il problema, tali tecnologie, così come molte miniere, sono controllate dalla Cina, direttamente o indirettamente, grazie ai suoi legami con il Sud del mondo, in primis con l'Africa.

E dunque quei minerali e quei metalli indispensabili per le batterie, le auto elettriche, le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici vengono estratti nei Paesi più poveri, poi vengono trasportati, lavorati e raffinati in Cina. In ciascuna di queste attività non c'è niente, ma proprio niente che sia decarbonizzato. Anzi. Tutti i processi industriali applicati nella catena di lavorazione inquinano molto di più rispetto agli standard occidentali, ma l'inquinamento avviene lontano da noi e quindi per le anime belle del nostro ambientalismo mainstream il problema non esiste.

Questo non rappresenta solo uno dei tanti esempi delle incoerenze del nostro ambientalismo, ma sintetizza bene anche tutte le schizofrenie dell'ideologia anticolonialista delle nostre élite radical chic. Denunciano il neocolonialismo della Cina, che sfrutta l'Africa controllando le filiere di tanti prodotti strategici per un'economia sostenibile, ma rifiutano che sia l'Italia a sostituire la Cina come partner degli africani. Escludendo in tal modo l'applicazione dei nostri standard ambientali più avanzati e le nostre invidiabili best practice aziendali.

Fin qui niente di nuovo per chi avesse letto il precedente libro dello stesso Brussato "Energia verde? Prepariamoci a scavare".

Ma se allora l'autore aveva privilegiato l'aspetto ecologico-ambientale dell'impatto devastante delle nuove miniere sull'ecosistema, il suo nuovo libro si occupa di argomenti ben più prosaici.

Oltre alla effettiva possibilità, alquanto dubbia, di reperire tutte le materie prime necessarie, Brussato si occupa degli altri due corni di quello che lui chiama "il trilemma della transizione metallica", ossia la capacità, sia tecnica che finanziaria, dell'industria mineraria di riuscire nella prometeica impresa che l'attende, e soprattutto la concreta possibilità di realizzare - e garantire in eterno - catene affidabili di approvvigionamento di una moltitudine di materiali, che diventerebbero improvvisamente tutti essenziali ed irrinunciabili, al pari di quanto avviene oggi per il petrolio.

Questo spostamento di focus non è casuale. Da quando Brussato scriveva i capitoli del suo precedente libro, pubblicato nel 2021, è cambiato il mondo. In realtà il mondo non è cambiato affatto: è cambiata l'infantile percezione del mondo che l'Europa (occidentale) si era fatta dopo la Seconda guerra mondiale, ed in particolare è cambiata all'esaurirsi dei vantaggi della globalizzazione (Pax Americana, totale libertà dei commerci garantita dallo Zio Sam, energia a buon mercato, bassi costi dei prodotti manifatturieri importati dall'Asia e sterminati mercati da conquistare per esportare i propri beni e servizi).

In rapida successione, in rapporti di causa-effetto sempre più intricatati e sempre meno controllabili, l'Occidente, la cui aderenza alla realtà nel frattempo è stata ulteriormente obnubilata dal politically correct, ha dovuto affrontare prima una pandemia (non a caso originata proprio in Cina), poi uno choc energetico autoinflitto con l'adozione dell'European green deal ed infine una guerra in Europa. Guerra scoppiata nel febbraio 2022, di una intensità finora sconosciuta, finanziata proprio dall'esplosione dei prezzi del gas russo in seguito all'infausta decisione di politica energetica dell'Unione Europea formalizzata nella primavera del 2021. Ma l'energy crunch del 2022 è stato anche e soprattutto figlio degli scarsi investimenti del decennio precedente nel settore energetico tradizionale, trascurato per favorire eolico e fotovoltaico, con conseguente fatale inflazione per carenza di offerta.

Questa politica industriale imposta dall'alto senza realistiche analisi di impatto ha sottostimato grandemente gli assetti geopolitici e le conseguenze sui prezzi dell'energia. Senza idee chiare su strategie, problemi e costi per realizzarla, l'Europa ha pagato sulla propria pelle l'ansia (avulsa dalla realtà) di essere la prima della classe nella "decarbonizzazione integrale". Si è pensato che bastasse scrivere delle date sul calendario per assumere che gli obiettivi fossero ormai raggiunti, e invece la cura Timmermans-Von der Leyen ha spinto l'UE verso la decrescita e la demolizione lenta ma progressiva del suo sistema produttivo, mentre nel resto del mondo le emissioni clima-alteranti continuavano ad aumentare come prima.

Questa eccezionale temperie storica è stata fronteggiata dai governi nazionali con il ricorso ad enormi deficit pubblici e dalle banche centrali di tutto il mondo con la creazione di liquidità per stabilizzare il sistema finanziario. Tale liquidità ha generato ulteriore inflazione, che si è sommata agli effetti perversi della "rivoluzione verde", inflazionistica - e recessiva - per definizione, gettando improvvisamente nella miseria milioni di famiglie europee. La greenflation ha infatti condotto ad un impoverimento dei lavoratori dipendenti senza precedenti in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. A questo si è accompagnata l'improvvisa presa di coscienza collettiva della colossale sottostima degli investimenti necessari per la transizione e, insieme, della ineluttabilità di un cambiamento radicale degli stili di vita e di una altrettanto ineluttabile contrazione dei livelli di consumo.

Da qui l'interesse, che prima difettava, dell'opinione pubblica su questi argomenti e sui rapporti di dipendenza dalla Cina. Da qui questo nuovo libro.

Ma se qualcuno pensa di ritrovare il Brussato polemista, fustigatore delle facilonerie green degli articoli pubblicati su Panorama, oppure in taluni articoli de L'Astrolabio, si deve ricredere. La scelta editoriale appare chiara: quel segmento del mercato librario è già monopolizzato dai best seller di Federico Rampini (specie quelli sulla Cina). E perciò nel nuovo libro scrive l'altro Brussato, il controllato scienziato dei post pubblicati sul sito web della Rivista Energia.

L'autore descrive dunque l'universo delle miniere in uno stile scabro, con distacco da entomologo che osserva l'agitarsi delle termiti in un termitaio, raffigurando un mondo lapideo, dove persino gli esseri umani che compaiono di rado qua e là vengono tinteggiati con tonalità metalliche, immersi in un'atmosfera surreale. Così, alla fine del libro, pure il lettore si ritrova con gli occhi arrossati dalla polvere e con in bocca il sapore amaro della sabbia delle miniere.

Brussato nel libro non trae conclusioni nè suggerisce soluzioni, ma le lascia intendere, sia in quello che scrive sia per come lo scrive. Chi volesse ricavare le conseguenze logicamente necessarie espresse in termini espliciti, paradossalmente, dovrebbe cercarle... nella prefazione, scritta da Franco Prodi, per il quale occorre

"porre la tutela dell'ambiente planetario come priorità al posto della dottrina delle zero emissioni. Si fa dunque strada l'idea che sia folle cambiare le fondamenta energetiche di una economia mondiale da 90 trilioni di dollari in un quarto di secolo, mentre in Cina Xi astutamente ordina di non abbandonare le pratiche consolidate in patria, carbone incluso.

Dobbiamo pensare a fermare il treno delle COP, ora alla ventottesima, per farne partire uno condiviso da tutte le nazioni, di protezione e difesa dell'ambiente planetario, di sobrietà energetica, di composizione armoniosa di tutte le forme di produzione dell'energia, fossile e rinnovabili..."

Ed in primo luogo, aggiungiamo noi a proposito dell'auspicato svezzamento dalle COP dell'ONU, dobbiamo abbandonare l'aberrante e barbarico principio delle "responsabilità comuni ma differenziate", principio formalizzato già dalla prima conferenza sul clima di Rio de Janeiro nel 1992, che, oltre a cancellare secoli di civiltà giuridica, ha fin qui vanificato tutti gli enormi, costosissimi sforzi compiuti in Occidente per la riduzione dell'emissione dei gas clima-alteranti globali.

Inoltre, come accennato da Prodi Jr, il sostegno obbligatorio alle fonti rinnovabili a qualunque costo ha dirottato investimenti verso fonti inefficienti, bloccando così investimenti in altre tecnologie e in ricerca scientifica.

Eppure, nonostante le evidenze contrarie, ci sono validi motivi per essere ottimisti sia per un rinnovato ruolo da protagonisti dei Paesi europei, ora apparentemente avviati sulla strada di un inesorabile declino, sia per un più armonico sviluppo economico e sociale nel rispetto dell'ambiente.

E' vero che le rivoluzioni tecnologiche possono alterare con grande rapidità le gerarchie tra le nazioni, creare vincitori e vinti, generare squilibri e demolire un ordine internazionale ad esse inadeguato.

E' altresì vero che, prima o poi, la potenza in ascesa si trova a dover difendere i suoi interessi globali e la forza militare diventa una garanzia della ricchezza economica. In questo senso si potrebbe spiegare l'inquietante domanda che conclude il libro di Brussato: "Perchè ora?", riferita alla domanda di acciaio cinese al picco, nonostante la crisi immobiliare, quella demografica e, in generale, una domanda aggregata insufficiente.

Ma è anche vero che l'economia e la forza militare non sono tutto.

Non bisogna dimenticare che a decretare il successo e la ricchezza di una Nazione (nel senso inteso da Adam Smith) contribuiscono molti altri fattori, ed in particolare un sistema di valori coerente e condiviso.

Il veneziano Brussato conosce perfettamente l'importanza del contesto storico, delle contingenze e dei rapporti di forza relativi nella millenaria parabola della Serenissima, potente di forze ma più di virtù. Dopo il Rinascimento l'Europa, sia pure frammentata in una miriade di staterelli in perenne conflitto tra loro, risultò più flessibile e aperta all'innovazione rispetto ai grandi imperi centralizzati dell'Oriente. Ora il confronto pare riproporsi in termini analoghi.

Il vero problema, però, oggi sta a monte. Per rimanere ai vertici di una gerarchia tra le Nazioni sarebbe essenziale la qualità della classe dirigente, o, meglio ancora, di tutte le sue élite. E qui casca l'asino per l'Occidente: se avessero funzionato correttamente gli anticorpi della democrazia e dello Stato di diritto, l'Occidente avrebbe già da tempo eliminato la sua attuale classe dirigente globalista e distruttiva. Queste élite autoreferenziali che processano i valori che le furono propri, che si sono create istituzioni parallele o alternative a danno della partecipazione popolare, e che disprezzano l'identità nazionale e tutti i suoi simboli, a cominciare dal paesaggio patrio, che può, anzi deve essere sfregiato da ciclopiche pale eoliche e distese infinite di pannelli fotovoltaici collocati nelle località più amene e rappresentative.

Per fortuna cominciano ad apparire i primi segnali di risveglio dall'incubo green. Se la recente moderazione nella legislazione UE dopo l'allontanamento di Timmermans poteva sembrare un ripiegamento tattico in vista delle elezioni europee, i risultati delle elezioni stesse hanno fornito un messaggio politico che non può essere ignorato.

Così come, all'inizio del 2021, a Brussato era stato commissionato il report "Sottomessi alla Cina nella transizione verde", (argomento fino a quel momento negletto da tutta la politica italiana) da Farefuturo, la fondazione di cultura politica riconducibile a Fratelli d'Italia (partito allora marginale ma trionfatore alle elezioni politiche dell'anno successivo) così adesso ci piace pensare che questo nuovo libro sia l'araldo di grandi mutamenti anche nella politica europea. Perchè grandi devono essere i mutamenti per archiviare l'Europa di Margrethe Vestanger e di Timmermans, che hanno impersonificato la sintesi del mercato globalista e dell'ideologia green. Tale ideologia, fulcro del pensiero unico obbligatorio, prevedeva che la tecnologia delle rinnovabili avrebbe consentito di continuare a non preoccuparsi di niente ed a consumare sempre di più, all'infinito; ma in realtà essa ha realizzato una politica redistributiva fortemente regressiva che ha danneggiato i ceti deboli ed avvantaggiato il grande capitale. I ceti deboli, di fronte alla prospettiva di ulteriori spoliazioni green, hanno reagito nelle urne elettorali, nonostante tutti gli anatemi e le censure del politicamente corretto. C'è voluto un quinquennio di sacri editti, di fanatismo verde, di ipertrofia regolatoria prodotta da burocrati divenuti i nuovi alchimisti che però, invece della pietra filosofale, hanno prodotto prescrizioni, piani, regolamenti, raccomandazioni, procedure, scadenze, quote, traguardi e financo "tassonomie". Ma alla fine siamo (meglio: dovremmo essere) arrivati al dunque.

Ora si attendono sviluppi. Più il quadro geopolitico e finanziario si complica, più occorrerà fare i conti con il principio di realtà e non con politiche green dalle tempistiche suicide, calate dall'alto e autogiustificate.

Si confida dunque che presto cessi il bisogno di creare tutte le Malebolge dantesche previste e illustrate da Brussato e si affievolisca con ciò la nuova egemonia cinese.

A proposito di Cina, gli ultra sessantenni ricorderanno che cosa diceva il presidente Mao: ”Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente”.

 

Alberto Cuppini

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