Di Maio Ministro dello Sviluppo Economico: una provvida sventura

Mentre cominciavano ad apparire i primi dubbi sulla fattibilità della strategia energetica di Gentiloni e Calenda e le associazioni ambientaliste elaboravano il documento comune per mettere in guardia il Governo neo eletto contro le negatività sottese alla versione definitiva della nuova Sen (e in particolare quelle derivanti dagli eccessi della fonte eolica), il novello Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, in occasione del Consiglio Energia svoltosi in Lussemburgo, schierava improvvisamente l'Italia a favore di un inverosimile obiettivo europeo di produzione Fer per il 2030 - vincolante per i singoli Paesi - al 35% dei consumi energetici. L'entusiasmo e i ringraziamenti dell'Anev. Il compromesso europeo è stato infine raggiunto al 32%, ma per Di Maio il Piano Nazionale energia e clima (quello in cima alle preoccupazioni della lettera inviatagli dalle associazioni) avrà l'obiettivo di "raggiungere e se possibile superare i target Ue". L'inconsapevole Di Maio, nel contesto del caos sistemico nel quale si dibatte l'Unione Europea, appare ormai uno strumento della Divina Provvidenza per accrescere il disordine, innescare un effetto valanga e smantellare le vecchie istituzioni politiche ed economiche al fine di edificarne delle nuove.

 

Luigi Di Maio (o un altro grillino di stretta ortodossia in materia di energie rinnovabili) come Ministro dello Sviluppo Economico della Repubblica non era previsto, fino a pochi mesi fa, neppure nei nostri peggiori incubi. L'inizio del suo mandato è invece stato in linea con tali incubi: un'autentica sciagura. Cerchiamo di spiegare che cosa è successo, e perchè quella che ad oggi appare una piaga biblica potrebbe - paradossalmente - risolvere alcuni dei problemi che ci stanno a cuore.

Lo scorso anno, come noto, siamo stati fierissimi oppositori della nuova Strategia Energetica Nazionale sbilanciata in modo grottesco sulle rinnovabili elettriche non programmabili (eolico e fotovoltaico), del Governo Gentiloni ed in particolare dell'allora Ministro dello Sviluppo Calenda.

Coraggiosamente, a bocce ormai ferme e dopo il terremoto politico del 4 marzo, anche qualcuno dei più ardenti sostenitori della Sen aveva cominciato ad esprimere dei seri dubbi sulla sua fattibilità.

Aveva cominciato (sia pure - come al solito - al fine di fornire argomenti per mungere altri sussidi pubblici) il solito rapporto annuale Irex della solita Althesys. Il rapporto mette in guardia perché la nuova Sen, con l'obiettivo delle rinnovabili al 28% dei consumi energetici totali ed addirittura al 55% dei consumi elettrici, "pone quesiti sull'adeguatezza del sistema elettrico italiano ... che nel medio-lungo periodo si potrebbe trovare a rischio shortage a causa dell'obsolescenza dei vecchi impianti termoelettrici, rendendo necessaria l'introduzione di accumuli in grado di accompagnare le Fer". In occasione della presentazione di quel rapporto, il 17 aprile il Sole aveva pubblicato l'articolo "Le due facce dell'Italia nelle rinnovabili. Rischio blackout se le centrali eoliche e le termoelettriche non ricevono aggiornamenti costanti" di Jacopo Giliberto, dove, tra l'altro, si legge che "però, ammoniscono gli esperti dell'Enea allineati con quelli dell'Althesys che hanno curato l'Irex, l'obiettivo di arrivare al 28% nel 2030 oggi sembra remotissimo e ostico" e che "una parte dei pannelli solari razziati sui mercati e montati in fretta e furia ai tempi degli incentivi golosi della legge Salva-Alcoa comincia a mostrare inaccuratezza costruttiva e a deperire. Ma anche le centrali eoliche e le termoelettriche, se non ricevono aggiornamenti costanti della tecnologia, sentono l'usura. Sotteso c'è un rischio di ritorno al rischio di blackout." Niente male, dunque, se si considera che, per realizzare questo capolavoro, sono già stati scialacquati 230 miliardi in soli incentivi alle rinnovabili, da pagare fino al 2031.

Un mese dopo la pubblicazione del rapporto Irex era seguito il nuovo "Renewable Energy Report" dell' Energy Strategy Group della School of Management della School of Management (...) del Politecnico di Milano. Il "report" rimarca che la nuova Sen prevede una spesa di altri 60 miliardi (Calenda ne aveva previsti 35...) al 2030 ma quel che è peggio, nelle parole del direttore del centro di ricerca Vittorio Chiesa, è che il nostro Paese deve compiere "un passo talmente ambizioso da rischiare di non essere fattibile. Le installazioni annuali di fotovoltaico, infatti, dovrebbero essere moltiplicate per sette e quelle eoliche raddoppiate in confronto al 2017".

Appena pochi giorni dopo era comparso un altro rapporto, quello annuale dell'Osservatorio Rinnovabili Oir,ancora più negativo perché la spesa qui prevista è di 69 miliardi (valutazione a nostro avviso ancora molto ottimistica), in quanto la Sen sottovaluta il fabbisogno e non tiene in considerazione il degrado della capacità già installata, che nel 2030 potrebbe avere trasformato molte delle pale e dei pannelli già montati grazie agli attuali, sibaritici incentivi in ferri vecchi da rottamare.

Ben più grave è la critica alla nuova Sen contenuta nella lettera ai Ministri del nuovo Governo contro gli eccessi dell'eolico industriale, inviata il 25 giugno e sottoscritta da quelle associazioni ambientaliste che - sole e inascoltate - già lo scorso anno avevano osato criticare la strategia del governo Gentiloni durante la pubblica consultazione della bozza del testo.

Per ironia della sorte, proprio mentre le associazioni elaboravano il documento comune per mettere in guardia l'Esecutivo neo eletto contro le negatività sottese alla versione definitiva della nuova Sen, il novello Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio combinava il disastro irreparabile: un siluro che colpiva la chiglia della nave Italia ancora più in basso di quello del 28% di Fer sparato da Calenda, pregiudicando in modo definitivo il futuro industriale della Nazione.

Subito dopo il giuramento del Governo (il primo giugno) Di Maio si è infatti precipitato in via Vittorio Veneto a Palazzo Piacentini per catechizzare i grand commis del Mise sul nuovo corso grillino. E così già l'undici giugno, in occasione del Consiglio Energia svoltosi in Lussemburgo, l'Italia si è improvvisamente schierata a favore di un obiettivo Fer per il 2030 vincolante al... 35%!

Leggiamo dall'articolo del Quotidiano Energia dello stesso 11 giugno "Consiglio Energia Ue, Italia e Spagna per target più ambiziosi" che Di Maio "in una nota diffusa in serata ha spiegato che l'Italia deve puntare sulle Fer "come motore per il futuro della sua economia" e per questo "in Consiglio oggi abbiamo ribadito la nostra linea, più ambiziosa rispetto al passato... Da oggi ci metteremo al lavoro come Governo per far sentire maggiormente la nostra voce anche agli altri partner europei". Il Commissario Ue all'Energia e al Clima, Miguel Arias Cañete, ha confermato che Italia e Spagna si sono schierate per i target del 35%" mentre "la Germania (proprio la Germania! Ndr) ha smorzato gli entusiasmi: "Sosteniamo obiettivi responsabili ma raggiungibili", ha dichiarato il ministro dell'Energia tedesco, Peter Altmaier".

Comprensibile l'esaltazione per il nuovo corso del Governo italiano dei nostri "amici" dell'Anev, che pregustano un'altra abbuffata, forse dimentichi del fatto che il governo Gentiloni aveva già loro garantito un obiettivo della Sen pari alla potenzialità massima di installazione di eolico al 2030 da essi stessi dichiarata (e pretesa); o forse a ennesima testimonianza che i dati dell'Anev devono essere presi con ampio beneficio di inventario.

Incredibile a dirsi, in Italia la ferale notizia non solo non ha prodotto reazioni scandalizzate da parte degli esperti del settore energetico (neppure quei pochissimi già critici verso alcuni aspetti della Sen), ma è stata riportata soltanto dalla stampa specializzata. Un'unica eccezione (ebbene sì) a questo disinteresse sconfinante con il menefreghismo per le sorti patrie: l'ex ministro dello Sviluppo Calenda! Per l'occasione, un Calenda fuori dalla grazia di Dio ha così twittato: "La Sen prevedeva consumi totali rinnovabili al 28%. Sfida difficile e molto costosa. Mesi di lavoro e proiezioni per capire come dare concretezza all'impegno. Buttare un numero lì come ha fatto Luigi Di Maio senza approfondire cosa vuol dire è insensato... In generale la questione è che buttare una percentuale senza definire come raggiungerla è un esercizio di propaganda non di politica". Si tratta cioè esattamente della critica da noi rivolta allo stesso Calenda per la sua Sen, con la differenza che l'ex titolare del Mise era perfettamente consapevole delle conseguenze che avrebbe comportato ai danni dell'Italia. Calenda le ha cinicamente ignorate per acquisire vantaggi politici rivelatisi poi illusorii, mentre Di Maio, che giorno dopo giorno dimostra una preoccupante tendenza a "perdere il contatto con la crosta terrestre", ignora nel modo più assoluto i disastri che implica questo suo 35%.

A ulteriore attestazione di ciò, il Parsifal grillino, intervenuto il 26 giugno a Roma all'assemblea annuale della Confartigianato dove si era fatto esplicito appello al Governo "di ridurre gli oneri generali che gravano sulla bolletta dell'energia elettrica a carico delle piccole imprese", ha proclamato ineffabile: "Le tariffe energetiche sono un sistema fuori controllo ed è per questo che ho commissionato un approfondimento". Non solo bollette, comunque: "Sull'energia - ha proseguito Di Maio - dobbiamo individuare la governance e, nel farlo, posso assicurare che metteremo al centro le esigenze di imprese e cittadini". Meno male. Adesso siamo rassicurati. Le imprese e i cittadini possono dormire sonni tranquilli. 

Alla fine del mercato europeo delle vacche rinnovabili è arrivato, il 14 giugno, il compromesso concordato dal trilogo.

Ecco come lo descrive il Fatto Quotidiano (quotidiano di riferimento dei grillini) nell'articolo di Luisiana Gaita del 15 giugno, dal titolo "Rinnovabili, accordo a luci e ombre sulla nuova direttiva Ue al 2030" : "Luci e ombre sull'accordo tra i rappresentanti dell'Europarlamento e del Consiglio Ue sulla nuova direttiva rinnovabili, che aggiorna il quadro normativo europeo al 2030. Entro quell'anno le rinnovabili dovranno coprire almeno il 32% dei consumi finali di energia... L'accordo dovrà ora ricevere il via libera formale di Consiglio e Parlamento Ue. Il primo passaggio è quello che nasconde più insidie, a causa della resistenza di alcuni Paesi, soprattutto il blocco di Visegrad che vorrebbe restare al 27%."

La (parziale) conferma delle promesse di Di Maio ha spinto l'Anev a commentare, in un sobrio comunicato stampa dal titolo "Raggiunto l'accordo Ue sulle rinnovabili al 32% grazie all'Italia!!": "Grande vittoria per il settore che con FREE e ANEV aveva chiesto al Min. Di Maio di fare proprio l'obiettivo del 35% dei Paesi più virtuosi e questo ha spostato gli equilibri".

La scelta di campo di Di Maio è stata dunque netta e univoca. Ora vedremo se apporterà al suo estensore gli stessi proficui vantaggi elettorali della scelta analoga compiuta lo scorso anno dal Governo Gentiloni a favore della lobby eolica.

Per quanto ci riguarda, non ci sentiamo di garantire ai grillini impegnati sul territorio un rapporto simpatetico con gli innumerevoli nuovi comitati anti-eolici che presto spunteranno su tutti gli Appennini. Chi si vede incendiata la casa non può accogliere con affetto e gratitudine i piromani, neppure se si travestono da pompieri.

Intanto, anche stavolta a cose fatte, è intervenuto sul Quotidiano Energia del 20 giugno l'Osservatorio Rinnovabili OIR di Agici, con un articolo del suo amministratore delegato Marco Carta intitolato "Nuovi target Fer, una pia illusione?"  che indica (molto molto ottimisticamente) in 90 miliardi di euro i costi aggiuntivi rispetto a quelli già stanziati e non ancora spesi (e che le associazioni calcolano in oltre 150 miliardi entro il 2031) per raggiungere l'obiettivo Fer al 32% nel 2030.

Come ha scritto Giorgio Ragazzi sul Fatto Quotidiano del 4 luglio a conclusione del suo articolo "Energia, così l'Authority tutela i colossi e non i consumatori" : "I politici che raccolgono voti proponendo il ricorso sempre maggiore alle energie rinnovabili si guardano bene dall'informare i cittadini sui costi conseguenti. Forse la facile demagogia potrebbe essere contenuta se i costi per sussidi alle rinnovabili dovessero essere quantificati e approvati per legge dal Parlamento. Il fatto che l'onere di coprire i costi venga invece delegato all'Autorità e annacquato nelle bollette in varie voci che sfuggono alla percezione degli utenti spiega forse perchè l'Italia offra gli incentivi alle rinnovabili più alti in Europa".

Dubitiamo però che proprio il nuovo Parlamento possa avere un simile sussulto di amor proprio, dopo che nelle ultime legislazioni tutto è stato reso lecito per favorire le Fer elettriche. Soprattutto adesso, con la prospettiva di enormi, ulteriori costi di incentivazione che risulterebbero inaccettabili dalla Commissione europea se inseriti - come correttezza vorrebbe - a debito nel bilancio dello Stato anzichè venire mal celati nelle bollette elettriche.

E poi, ormai la frittata è stata fatta: un obiettivo inverosimile è stato fissato in sede europea e gli incentivi nazionali, anch'essi di conseguenza inverosimili, dovranno necessariamente seguire.

Infatti, dal Quotidiano Energia del 27 giugno, nell'articolo "Direttiva Fer 2030, via libera formale del Consiglio" apprendiamo che "gli ambasciatori dei Paesi Ue a Bruxelles hanno approvato oggi il testo della direttiva rinnovabili concordato il 14 giugno dal trilogo. Il provvedimento passa ora alla plenaria dell’Europarlamento, in programma il prossimo ottobre, per poi tornare al Consiglio per l’adozione finale e andare quindi alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue. Il testo della direttiva (disponibile in allegato sul sito di QE) prevede un obiettivo Fer del 32% al 2030, con una possibile revisione al rialzo dopo una valutazione da svolgere entro il 2023".

E, peggio ancora, scopriamo che "gli iter autorizzativi delle installazioni Fer dovranno essere “significativamente semplificati” e non potranno durare più di due anni per i nuovi progetti e un anno per i repowering. Una semplice notifica sarà sufficiente per gli impianti al di sotto dei 10,8 kW e gli Stati membri che lo vorranno potranno accrescere questa soglia fino a 50 kW". In Italia ci dobbiamo perciò attendere in ogni dove una slavina di pale, pannelli, impianti mini idro e a biomasse.

Il testo del regolamento prevede anche, come era già noto, la presentazione alla Commissione Ue delle bozze dei Piani Nazionali energia e clima entro il 31 dicembre 2018. Per raggiungere l'obiettivo per le rinnovabili al 32% per il 2030, il regolamento europeo - questa volta, se possibile, ancor più occhiuto del solito - impone agli Stati membri una traiettoria incrementale rigidissima e blindata in modo parossistico per non lasciare alcuna scappatoia agli eventuali reprobi.

Raccomando, a chi comprende l'inglese, di leggerlo dal sito del Quotidiano Energia per comprendere nella realtà di fatto che cos'è l'ordoliberismo e in che razza di manicomio ci siamo cacciati unendoci in un matrimonio indissolubile con la Germania. La Germania che, dopo la caduta del muro e la riunificazione, ha abbandonato quella politica flessibile, adattativa e pragmatica applicata nelle relazioni con gli altri Paesi europei fin dalla fine della seconda guerra mondiale per tornare ad una cultura giuridica ed economica al tempo stesso egemonica e autoritaria. I conseguenti precetti, per il tramite appunto dei regolamenti comunitari, sono poi recepiti automaticamente e inseriti nelle carte costituzionali degli Stati membri, rendendo tutto il meccanismo eccessivamente rigido e forzato. E talvolta, come in questo caso, persino con tratti di non celato autoritarismo. 

Ma, soprattutto, il meccanismo escogitato dai tecnocrati europei non prevede vie d'uscita, neppure per evitare l'autodistruzione, che è esattamente quello che attende i popoli e le economie europee, schiacciate da sempre nuovi fardelli, di cui questo delle rinnovabili è solo un esempio - per quanto consistente - tra i tanti.

All'ipercontrollo segue inevitabile il caos sistemico. Al caos sistemico seguirà l'ipersoluzione. In un'altra occasione esamineremo i più probabili scenari di ipersoluzione dei problemi degenerativi indotti in Europa da un simile controllo ex ante di ogni aspetto della realtà imposto dalle tecnocrazie.

L'inconsapevole Di Maio, in questo contesto, appare dunque uno strumento della Divina Provvidenza per accrescere il caos, innescare un effetto valanga e smantellare le vecchie istituzioni politiche ed economiche al fine di edificarne delle nuove. 

Il giovane leader grillino pare infatti voler applicare alla politica la recente esortazione di Papa Francesco "arrendetevi alla sorpresa di Dio", sebbene in materia economica ed energetica la sconsideratezza non sia mai stata apportatrice di sorprese piacevoli.

Ma per Di Maio-Parsifal quello dei pesi e delle misure non appare un problema. Anzi: ad ogni dichiarazione sia come Ministro dello Sviluppo che come Ministro del Lavoro mette in cantiere sempre maggiori spese. Non conscio dei disastri già combinati, nell'audizione dell'undici luglio di fronte alle Commissioni riunite Industria e Lavoro del Senato, riferendosi alla Sen ha affermato: Si può fare di più e lo faremo"; del pari, ha proseguito, il Piano Nazionale energia e clima (quello in cima alle preoccupazioni della lettera inviatagli dalle associazioni) avrà l'obiettivo di "raggiungere e se possibile superare i target Ue".

A questo punto quali altri argomenti logici addurre? Avevamo già denunciato che il pensiero irrazionale si stava radicando nella politica italiana, ma adesso siamo decisamente giunti al "credo quia absurdum". Non ci resta allora che reagire entrando nella logica agostiniana dell' "ex malo bonum": accettiamo con riconoscenza anche il male, che pure combattiamo, consapevoli del bene che ne deriverà. La nostra non è la logica del "tanto peggio tanto meglio", quanto piuttosto quella del "tanto prima tanto meglio", per salvare il salvabile, o almeno quanto di buono resiste ancora in Italia. Non ci attendono tempi facili. Di recente è stata autorevolmente evocata la metafora del cigno nero per rassicurare che le Istituzioni italiane sono pronte ad affrontare anche eventi a forte impatto, come l'uscita dall'euro, sia pure improbabili. In realtà temiamo che oggi, verso le rossastre nubi d'Italia, stiano migrando interi stormi di cigni neri.

Alberto Cuppini

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