Il Corriere della Sera: "Il declino del Paese non visto. Uno scheletro fragile. Fermare questo declino, o almeno rallentarlo, è vitale anche per l'amministrazione del territorio nazionale." Ma prima di chiedersi che cosa si può fare sarebbe propedeutico affermare a chiare lettere che cosa NON si può fare per evitare di trasformare la montagna romagnola (e di tutt'Italia) in un deserto: piantare pale eoliche a casaccio su quei fragilissimi crinali, su cui da anni incombe la speculazione eolica, finora contrastata solo dai comitati a cui il governo Draghi ha tolto le (poche) armi a disposizione per difendersi.
In prima pagina del Corriere della Sera del 31 maggio è comparso l'articolo di Antonio Polito "Il declino del Paese non visto", che sottotitola: "Uno scheletro fragile. Fermare questo declino, o almeno rallentarlo, è vitale anche per l'amministrazione del territorio nazionale" e ancora: "Una catena ininterrotta di quattromila comuni, circa la metà del totale, i cui nomi ci diventano spesso familiari solo in occasione di un terremoto o di un’alluvione, coprono quasi il 60% della superficie nazionale ma ospitano solo il 23% della popolazione".
Il declino della montagna porta spopolamento, spiega l'articolo; lo spopolamento ulteriore declino. Non è certo una novità. Polito aggiunge però una osservazione non banale:
"Ma c’è un pregiudiziale aspetto di governance che spesso sfugge. Meno popolazione vuol dire infatti meno elettori, e meno voti significano meno attenzione della politica, dunque anche meno finanziamenti. Di questo passo nessuno farà mai ciò che serve perché non è abbastanza remunerativo in termini di consenso. C’è un serio problema di rappresentanza di questi territori, dove anche i parlamentari sono scelti altrove... Senza voce in capitolo, queste popolazioni sono state private di potere democratico e di forza di pressione."
Tutto molto giusto e tutto molto bello. Però c'è un però.
I fiumi romagnoli che hanno provocato l'alluvione di maggio sono stati molti. I principali (da ovest a est) sono stati: Savena, Idice, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone, Montone e Savio. Nessuno finora lo ha fatto notare, ma tutti questi fiumi hanno un particolare in comune: su tutti (TUTTI) i crinali appenninici da cui questi fiumi discendono erano stati proposti impianti eolici di dimensioni colossali per... salvare il Pianeta! Spesso e volentieri i progetti riguardavano il crinale spartiacque con la Toscana. Tutti questi progetti finora sono stati bloccati dalla vigorosa azione dei comitati anti-eolici, che hanno affrontato a mani nude e spesso senza il becco d'un quattrino le possenti forze della speculazione eolica, in grado di "condizionare" gli amministratori locali disperatamente in bolletta: ne siano testimonianza i post sul vecchio e glorioso sito della Rete della Resistenza sui Crinali e l'elenco dei comitati della Rete.
Finora la resistenza delle popolazioni tosco-romagnole aveva premiato. La scellerata opera di "semplificazioni" voluta in particolare dal governo Draghi" ha privato queste popolazioni, per dirla con le stesse parole di Polito, del residuo "potere democratico" e della già misera "forza di pressione".
Proprio così è stato approvato a spallate dal governo uscente il progetto al Giogo di Villore, situato in provincia di Arezzo ma collocato sulla linea del crinale tosco-romagnolo, che dalla parte della provincia di Forlì incombe, guarda un po', proprio sulle martoriate vallate del Lamone e del Montone. L'impianto del Giogo di Villore, sia detto per inciso, è stato voluto fortissimamente voluto dal PD contro ogni evidenza e contro il parere della Sovrintendenza, ignorato dal governo Draghi.
Più in generale il PD, del cui gruppo parlamentare Antonio Polito ha fatto parte nella sua parentesi da uomo politico, ha fatto della "giustizia climatica" e delle ricette delle Cop Onu e del IPCC, del gretismo e delle politiche ambientali suicide dell'Unione europea un articolo di fede ben prima dell'avvento alla segreteria del partito della pasionaria "emiliana-romagnola" Schlein. Le popolazioni romagnole ne pagano oggi le conseguenze.
I fatti stanno dunque dando ragione ai comitati della Rete della Resistenza sui Crinali. Con i 200 miliardi ( ! ) già graziosamente elargiti, in pochi anni, in incentivi alle "rinnovabili" elettriche, si sarebbe potuto mettere in sicurezza, in quegli stessi anni, non solo la Romagna ma tutto il territorio nazionale.
Adesso Polito scrive:
Ha piuttosto senso chiedersi che cosa si può fare affinché le aree interne, della Romagna e di tutta l’Italia, non diventino un deserto, come sta accadendo ormai da tempo.
Prima di chiedersi che cosa si può fare sarebbe propedeutico affermare a chiare lettere, senza se e senza ma, che cosa NON si può fare per evitare di trasformare la montagna romagnola (e di tutt'Italia) in un deserto: piantare pale eoliche a casaccio su quei fragilissimi crinali.
Alberto Cuppini