Titoli sulla stampa di oggi: "La transizione è impossibile. Così la Ue e i grandi media hanno creato le bugie green" (La Verità). "La favola delle rinnovabili al palo" (Staffetta Quotidiana). La falsa narrazione delle rinnovabili salvifiche comincia a fare i conti con la realtà.

 

Che cosa pensereste se una bella mattina (oggi 20 marzo, ad esempio), scorrendo la stampa quotidiana, su tre giornali di diverso orientamento politico e diverso target di lettori (La Verità, Il Sussidiario e la Staffetta Quotidiana), si leggessero tre articoli sulla cattiva informazione riservata dai media alla politica "green" monopolizzata dalle rinnovabili non programmabili (eolico e fotovoltaico)? Se fosse vero che "un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova" (una delle delle frasi più celebri di Agatha Christie), allora...

Cominciamo dallo splendido articolo, da collegare strettamente all'ultimo post RRC sulla pseudoreligione green, di Sergio Giraldo sulla Verità, il cui titolo è inequivoco: "La transizione è impossibile. Così la Ue e i grandi media hanno creato le bugie green", che sottotitola "I toni utilizzati sono da palingenesi. Chi dubita viene dipinto come antisociale". Vi invito a comperare in edicola La Verità ed a leggere l'articolo con attenzione dall'inizio alla fine. E' un lavoro denso di felici intuizioni. Peccato poterne riportare solo qualche frase smozzicata, giusto per stimolare l'appetito dei resistenti sui crinali (sollecitiamo il direttore-editore Maurizio Belpietro a pubblicarlo integralmente in linea):

"Il Green deal si è rivelato essere un enorme piano di una quarantina di direttive, regolamenti, comunicazioni, norme varie, la gran parte delle quali pessime... è solo con la crisi energetica del 2022 che l'opinione pubblica ha iniziato a rendersi conto sulla propria pelle del suicidio economico, sociale e geopolitico verso cui Bruxelles stava spingendo l'Europa... Ciononostante, dopo la crisi dei prezzi dell'energia, la Commissione a guida Von der Leyen ha proseguito con pervicacia nell'attuazione del proprio programma, facendo leva su argomenti ideologici e meccanismi di influenza dell'opinione pubblica. Vi è infatti un'ampia pubblicistica che tende a raccontare le politiche messe in atto da Bruxelles con toni da palingenesi, necessari a creare consenso... Un argomento semplice, teso a creare nuovi mercati, che normalmente non sarebbero mai nati, in una economia in cui i rendimenti decrescenti scatenano la finanza mondiale a caccia di nuovi profitti... le scelte di governo devono essere depoliticizzate ed affidate ai tecnici, alla scienza. E' l'ennesimo tentativo di svuotare le democrazie nazionali... Servono storie da trasformare in paradigmi comportamentali, perché possano istruire e conformare l'opinione pubblica. In sintesi, è Von der Leyen che traccia il solco, ma sono i media che lo difendono."   

Questo articolo sulla disinformazione voluta dai grandi media è collegato, anzi: super-collegato pure all'editoriale di oggi della Staffetta Quotidiana, dal titolo altrettanto inequivoco: "La favola delle rinnovabili al palo":

"Uno dei problemi dell'informazione sull'energia è che si tratta di una materia oggettivamente complicata, con cui non molti hanno familiarità e in cui, ad esempio, non è semplice procurarsi i dati essenziali in modo autonomo e affidabile. Una conseguenza, per i giornalisti, è la necessità di rivolgersi a soggetti che sono parte in causa nel mercato, trovandosi davanti al dilemma tra non riuscire a sapere/capire e il proverbiale rischio di chiedere all'oste come sia il vino. Un caso esemplare è la narrativa, diffusa e anzi dominante, sul ritardo sempre "cronico" dell'Italia sulle rinnovabili."

Dopo avere esposto una mole massiccia di dati che testimoniano l'enorme quantità di potenziale FER elettrico installato lo scorso anno, il direttore della Staffetta Gabriele Masini (di cui riconosciamo la penna) smonta polemicamente i piagnistei dei lobbysti dell'eolico e del fotovoltaico:

"A meno di mettersi a litigare coi numeri, si sarà costretti ad ammettere di no. Sarà stato vero qualche anno fa, da oltre un anno non è più così e l'accelerazione è evidente - accelerazione peraltro che invece non si vede in altre tecnologie green come il biometano."

Ma Masini, in conclusione del suo articolo (che andrebbe letto integralmente e con attenzione dal sito web della SQ previo abbonamento), va oltre, facendo le veci di altri soggetti istituzionali, che invece preferiscono tacere per pavidità o opportunismo:

"Il fatto è che sarebbe arrivato il momento di modificare il racconto che gli stessi protagonisti fanno del loro settore, inserendo nel quadro anche altri elementi, ad esempio che il raggiungimento degli obiettivi al 2030/50 pone una questione reale, spesso liquidata come pretestuosa, di concorrenza tra finalità diverse per l'utilizzo di una risorsa scarsa - il territorio - tra energia/decarbonizzazione (e libertà di impresa) da una parte, agricoltura, beni culturali e paesaggistici dall'altra. Il problema, che peraltro non è uguale in tutti i Paesi (a meno di sostenere che le pianure dell'entroterra spagnolo ci sono anche da noi), si sta ponendo ovunque ci si confronti seriamente con la transizione... la questione esiste e non si lascia liquidare, né con la retorica complottista dei "nemici delle rinnovabili" né con semplice appelli alle semplificazioni autorizzative, ma deve essere affrontata con gli strumenti della politica."

Appare una volta di più evidente il peccato originale commesso dalle associazioni ambientaliste, ma soprattutto dalle "organizzazioni per la tutela del paesaggio" (come le chiama Masini), di avere accettato l'energia eolica (e quella FV) come "energia alternativa" al fossile e al nucleare. "Rinnovabile" non significa "alternativo". Questo errore, su cui le "organizzazioni per la tutela del paesaggio" continuano ad insistere (anche se alcune - finalmente - stanno cominciando a prendere un po' le distanze) verrà fatto loro pagare a caro prezzo quando la realtà prenderà definitivamente il sopravvento, ovvero quando il sistema delle rinnovabili pervasive non farà crollare l'economia europea. E pale e pannelli verranno abbandonati.

Termino la rassegna stampa segnalando l'articolo sul Sussidiario (disponibile liberamente in linea) del solito Paolo Annoni riguardante l'accordo Italia-Germania sul gas: “Una solidarietà che conviene solo a Berlino” ed in particolare la seconda parte, dove si fa rilevare che, sebbene l'Europa abbia lavorato per evitare i rischi di una nuova crisi dell'energia, "non siamo in una posizione sicura". Questo è il passaggio che più ci interessa:

"La transizione energetica non può essere una risposta nel breve periodo sia per i suoi costi enormi, per le imprese e per le famiglie, sia perché manca la possibilità di immagazzinare l’energia in eccesso. Inoltre, tutti gli sforzi per l’elettrificazione, sia per la mobilità che per il riscaldamento, comportano nuova domanda di energia elettrica a fronte di un’offerta limitata. Nessuno sa se ci sarà un’altra crisi del gas e dei mercati energetici ma nessuno può escludere che ci possa essere viste le tensioni geopolitiche attuali e il rischio di un inverno rigido."

 e, in particolare del particolare, segnalo l'ironica conclusione dell'articolo:

"Dopotutto bisogna fare la transizione a qualsiasi costo. Il problema è calare nella realtà, anche dei cittadini, cosa sia questo “qualsiasi costo”. La percezione è ancora che si debba “solo” pagare un po’ di più, non che si rischi di rimanere al freddo e al buio o, ancora prima, di compromettere il sistema industriale."

Mi sembra chiaro, no? Rileggiamo: Rimarrebbe solo da calare nella realtà, anche dei cittadini cosa sia questo “qualsiasi costo". Una cosuccia da nulla, insomma, dopo che da vent'anni quegli stessi cittadini stanno pagando gli incentivi all'eolico e al fotovoltaico, arrivati ormai a quasi 200 miliardi complessivi nascosti nelle bollette elettriche già sborsati dagli utenti inconsapevoli. Per poi combinare un disastro e fare esplodere i costi energetici. Forse, e dico forse per non essere troppo assertivo, in una democrazia liberale il compito dei media avrebbe dovuto essere quello di far "calare nella realtà" quegli stessi cittadini (elettori, ricordiamolo) fin dall'inizio, denunciando da subito la truffa delle "rinnovabili" non programmabili. Non saremmo arrivati al punto di rischiare di rimanere al freddo e al buio e di avere compromesso (perchè lo abbiamo già compromesso) il sistema industriale.

Tutto ciò che è avvenuto in questi anni sui media ha un nome. Un nome russo, molto usato da quella stessa stampa ai tempi dell'Unione Sovietica: Dezinformatsiya.

 

Alberto Cuppini  

Il comunicato stampa con l'appello pro Sangiuliano e contro Legambiente, redatto su iniziativa di Italia Nostra e sottoscritto da altre associazioni, questa volta è riuscito a fare breccia nel muro di gomma dei giornaloni, che finora avevano sempre messo la mordacchia al movimento anti-eolico. La Stampa di oggi pubblica due articoli: "La faida del vento", che sottotitola "Ambientalisti italiani divisi sull’eolico. Legambiente critica le Soprintendenze accusate di bloccare i nuovi impianti ma Italia Nostra va al contrattacco: «Siete una lobby delle rinnovabili»" e "Rivolta delle pale dalle Langhe alla Sicilia", che sottotitola "Associazioni e Comuni: "Violenza inaudita al paesaggio, basta con questi progetti".

 

L'ultimo comunicato stampa con l'appello pro Sangiuliano e (soprattutto) contro l'attacco (come lo ha definito La Repubblica) orchestrato da Legambiente, comunicato redatto su iniziativa di Italia Nostra e sottoscritto da altre associazioni, è stato rilanciato dall'Ansa.

Questo era già accaduto spesso, ma questa volta è riuscito a fare breccia nel muro di gomma dei giornaloni, che da sempre hanno messo la mordacchia al movimento anti-eolico.

L'appello è stato infatti ripreso non solo da una molteplicità di quotidiani locali (come già accaduto in passato) ma anche dal Quotidiano Nazionale (che nelle sue tre diverse testate è il secondo quotidiano italiano, dopo il Corriere della Sera, come copie vendute in edicola), e soprattutto da un quotidiano come La Stampa, decisamente schierato ab ovo pro-pale per precisa linea editoriale (degli Agnelli, proprietari anche della Repubblica). Così oggi (giovedì 7 marzo) in edicola l'abbiamo trovata con l'articolo di Franco Giubilei intitolato: "La faida del vento", disponibile anche in linea sul sito web della Stampa, che sottotitola: "Ambientalisti italiani divisi sull’eolico. Legambiente critica le Soprintendenze accusate di bloccare i nuovi impianti ma Italia Nostra va al contrattacco: «Siete una lobby delle rinnovabili»":

"Accuse cui il presidente di Legambiente Stefano Ciafani replica così: «Noi non facciamo lobby con nessuno»... La presunta vicinanza di Legambiente all’industria green? Il presidente in un certo senso ("in un certo senso" è meraviglioso. NdR) conferma: «Servono alleanze con le imprese più innovative, con le istituzioni più illuminate, coi sindacati più coraggiosi e col volontariato...»." che, tradotto in italiano dal politichese politicamente corretto di Ciafani, si deve leggere: "Noi non facciamo lobby con nessuno. Noi facciamo lobby con tutti quelli con cui ci fa comodo fare lobby".

Un ragionamento che non fa una grinza, dunque, come se il problema fosse la parola "lobby", termine tabù e considerato offensivo dagli "ambientalisti del fare", al pari di altre brutte parolacce da censurare come "negro", "zingaro", "omosessuale", "contadino" e "operaio" - che nessun "progressista" adopera più - e non la sostanza di "una presunta intelligenza col nemico", come la definisce l'articolista Franco Giubilei. Prosegue l'articolo:

"In campo avverso, Italia Nostra segna una distanza siderale su un tema cruciale per il movimento ambientalista: «In altre occasione abbiamo avuto opinioni diverse, ma questa è la prima volta che accade con tanta nettezza e su una questione importante - premette Michele Campisi, segretario generale dell’associazione -. Noi non siamo legati a qualche indirizzo politico come Legambiente".

La "faida" è occasione per riferire (nella stessa pagina della Stampa di oggi) dell'esistenza di una "rivolta" contro le pale in tutt'Italia. Rivolta fin qui tenuta nascosta a tutti gli altri italiani non ancora minacciati di impalamento, che pure tutti i crinali appenninici saranno destinati a subire entro il 2050, se l'Unione Europea rimarrà prona alle assurde pretese dei lobbysti dell'eolico... "per salvare il Pianeta". Ne dà testimonianza Laura Anello nell'articolo "Rivolta delle pale dalle Langhe alla Sicilia", che sottotitola "Associazioni e Comuni: "Violenza inaudita al paesaggio, basta con questi progetti". Tra tanti altri, nell'articolo si parla di due immani scempi progettati sull'Alto Appennino, ben noti ai comitati della Rete della Resistenza sui Crinali:

"E che dire, in Val Bormida, tra le alte Langhe e l'entroterra ligure... dove la rivolta è scoppiata contro un impianto di sette mega pale tra Saliceto, Cengio e Cairo Montenotte, chiamate poeticamente "fattorie del vento"? Stessa protesta che infiamma la Toscana, dove il Tar ha appena respinto il ricorso presentato contro altrettante pale che sono state autorizzate nel Mugello, a dispetto dei sentieri storici e del rischio sismico di montagne fragili".

Molto ha contribuito al successo dell'iniziativa di Italia Nostra la scelta dell'Ansa di introdurre il suo lancio di agenzia con l'immagine, da noi riproposta nel nostro sito web, di un trattore con cartello anti-megapale.

Ma molto ha contribuito anche la decisione di Italia Nostra, come viene confermato dall'intervista al segretario generale Campisi, di prendere le distanze "per la prima volta con tanta nettezza" da Legambiente (come da noi sollecitato da oltre una dozzina d'anni). Se non altro per non essere trascinati a fondo tutti assieme, specie quando a Roma arriveranno gli operai, tradizionalmente meno carini degli agricoltori nelle loro rivendicazioni, che avranno perso il lavoro a causa della "legislazione green" per fare i conti "con le imprese più innovative, con le istituzioni più illuminate, coi sindacati più coraggiosi e col volontariato" alleati di Legambiente... "per salvare il Pianeta".

Questo a conferma (oltre che dell'impulso dato dal movimento dei trattori e dell'appoggio dell'opinione pubblica contro le mattane green) che rimane valido quello che diceva già duemila anni fa quel tale (che non si può più nominare perchè offenderebbe la sensibilità dei musulmani, che sono persino più suscettibili delle gretine):

«Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”»

 

Alberto Cuppini

 

Oggi nessuna rassegna stampa. Solo un consiglio. Andate in edicola ad acquistare Il Foglio. A pagina 3 ci sono due articoli contro il mainstream "green" (uno di Chicco Testa e l'altro - molto più complesso ed allarmante - di Antonio D'Amato) che da soli meritano il costo del quotidiano. Argomenti e toni sono da Rete della Resistenza sui Crinali. Alla fine la realtà ci sta dando ragione.

Vi proponiamo di seguito due assaggi degli articoli per invogliarvi all'acquisto del Foglio.

Cominciamo da quello di Chicco Testa, dal titolo "La sicurezza energetica passa dalla divisione della Terna", che sottotitola "L'adeguatezza del sistema elettrico è un tema uscito dai radar. Non è un tema tecnico, è un tema di sicurezza nazionale":

"La natura intermittente delle fonti rinnovabili e la loro indisponibilità anche per periodi non brevi ci ha costretto a mettere in campo diverse misure che garantiscano in ogni caso le necessarie forniture... Il margine di riserva, vale a dire la differenza positiva fra la massima richiesta del sistema elettrico, la domanda di punta, e la disponibilità di potenza è assai vicino allo zero. Quando normalmente si ritiene necessaria una riserva di almeno il 10-15%... Il nuovo orientamento di Terna basato in parte minore sugli impianti a gas e in parte maggiore sugli accumuli tramite batterie... comporta ulteriori problemi. Le batterie si scaricano in un tempo relativamente breve, alcune ore, e hanno bisogno di essere continuamente ricaricate. Hanno un costo molto alto, miliardi di investimenti a carico della collettività, e devono essere sostituite integralmente dopo un certo numero di anni (10-15)... Il che richiama l'attenzione sul secondo problema. Il costo di produzione del singolo kilowattora rinnovabile è oggi competitivo. Ma la questione cambia se si esaminano i costi associati conseguenti alla quota sempre maggiore di fonti intermittenti... Sarebbe opportuna un'operazione "trasparenza" che metta in chiaro l'impatto nel tempo di tutte queste voci. Vigilare su tutti questi aspetti legati alla sicurezza tocca oggi fondamentalmente a Terna. Terna viene remunerata in percentuale fissa che tiene conto dei tassi di interesse e del costo del capitale, sulla base del totale del capitale investito. Il che genera qualche paradosso e qualche conflitto. Fondamentalmente questo meccanismo premia Terna per gli investimenti fatti a prescindere dalla loro efficacia... con lo stesso proprietario la preoccupazione principale è ovviamente un buon risultato economico... In Inghilterra è nata una società separata dalla Terna inglese che svolge le funzioni di dispacciamento delle risorse e di programmazione degli investimenti necessari. In Italia non è così... Provvedere a questa separazione sarebbe un elemento di trasparenza".

Questo di Chicco Testa è solo il riconoscimento di un necessario primo passo verso l'ineluttabile destinazione finale. Testa, che ha un proprio retroterra politico ben definito, ne è perfettamente consapevole. Non lo dice ma lo pensa. Perciò lo diciamo noi, anche perchè lo stiamo ripetendo da anni. Un sistema basato sulle rinnovabili intermittenti, ovvero un sistema del tutto irrazionale che si fonda solo su una pianificazione centralizzata, renderà, prima o poi, inevitabile la (ri) nazionalizzazione di tutta la produzione energetica.

Passiamo adesso all'articolo di Antonio D'Amato: "Gli slogan green che l'Europa del futuro deve arginare", che sottotitola "I danni al tessuto industriale creati da una Ue ideologica, ostaggio della iper regolamentazione. Parola di europeista":

"L'Europa sta vivendo una delle fasi più drammatiche dalla fine della seconda guerra mondiale... la pace che davamo come un valore acquisito è minacciata... Al tempo stesso, stiamo vivendo la crisi economica più grave del dopoguerra, in quanto crisi non finanziaria, ma strutturale e di competitività... Oggi risultano sempre più evidenti le contraddizioni e soprattutto le debolezze competitive dell'economia e dell'industria europea, accumulate nel corso degli ultimi quindici anni e che hanno registrato un'accelerazione violenta con il Green Deal e le sue forti derive ideologiche, con la conseguente deindustrializzaione del nostro Continente. Questa crisi nasce da tre errori fondamentali. Il primo è quello di aver creduto che, nella nuova fase della globalizzazione, l'Europa potesse continuare a rimanere l'area di maggiore qualità della vita di welfare, di democrazia e civiltà del pianeta pur delocalizzando le proprie attività produttive nelle regioni del mondo a basso costo... Il secondo errore è stato quello di avere accentuato, dalla metà del decennio scorso, il vizio della iper-regolamentazione europea... Fino ad arrivare ai giorni nostri, al terzo errore, e cioè al Green Deal che, cavalcando il "main stream" che individua nello sviluppo industriale la causa principale dell'emergenza climatica, ha prodotto una messe di provvedimenti legislativi, direttive e regolamenti che hanno travolto tutte le filiere economiche e produttive, accelerando così il processo di impoverimento dell'Europa... con l'illusione di ritornare ad un'economia silvestre che non ha nessuna sostenibilità né economica né sociale... Paradossalmente quello che sembra oggi caratterizzare il comune sentire europeo è soprattutto l'eccesso di demagogia e ideologia che ha segnato, in particolare, questa legislatura. Mentre il mondo si attrezza in maniera sempre più aggressiva per competere e le tensioni nei rapporti internazionali sono contraddistinte da un crescente livello di conflittualità, l'Europa resta chiusa all'interno della propria bolla di autoreferenzialità... Quando l'Europa delle ideologie e della demagogia vince su quella degli ideali e dei valori, saltano la coesione sociale e la tenuta politica e istituzionale, la democrazia soffre e la pace è a rischio."

Queste sono parole di una gravità che non sentivamo più evocare da un esponente delle élite italiane (D'Amato, già presidente della Confindustria, è indiscutibilmente un esponente delle élite italiane) almeno dai cosiddetti anni di piombo. Oggi la situazione è ben più seria di quella di allora. Si spera che il pensiero di D'Amato sia condiviso (e venga espresso) anche da altri e che non rimanga solo un argomentare strumentale in vista delle incombenti elezioni europee.

Quantus tremor est futurus...

 

Alberto Cuppini

 

Il Sole: "Germania, recessione e industria ko per i costi esorbitanti della transizione ecologica e della neutralità climatica programmata per il 2045". Il Sussidiario: In Germania, "stante un’economia in recessione che svela a ogni trimestre i profili di una de-industrializzazione strutturale, il 32% degli elettori tedeschi, interpellati sulle intenzioni di voto, oggi sarebbe pronto al salto nel buio fuori dal recinto establishment, a scegliere un partito fortemente anti-sistema".

 

Titolone di prima pagina sul Sole di oggi: "Germania, recessione e industria ko".

Leggiamo dall'articolo di Isabella Bufacchi "Germania, industria frena. Paese in recessione nel 2023", che sottotitola "Locomotiva in crisi. Primo anno di Pil negativo (-0,3%) dal 2020, flessione dello 0,3% anche nel quarto trimestre. Pesano politica monetaria, crisi energetica, calo dei consumi e costi in aumento per l'industria":

"Il 2023 getta... un'ombra sulle capacità dell'economia tedesca di rialzare la testa, in tempi cupi per la globalizzazione e il commercio mondiale (in realtà il commercio mondiale continua ad aumentare in modo rilevante. E' la Germania che perde cospicue quote di mercato. NdR), per i costi esorbitanti della transizione ecologica e della neutralità climatica programmata per il 2045 in Germania... Resta da vedere se nel 2023 la decrescita si rivelerà causata solo da nuove crisi multiple, o se invece dall'anno scorso l'economia tedesca avrà iniziato a soffrire di mali strutturali ai quali la coalizione inedita di tre partiti Spd-Verdi-Fdp al governo non riesce a mettere riparo".

La seconda che hai detto, avrebbe risposto Quelo. E' il destino voluto dalla Merkel per la Germania, "ormai ricoperta di pale eoliche e con mani e piedi legati al Cremlino", come scriveva Le Figaro nell'articolo di un anno e mezzo fa intitolato "Brava, Signora Merkel!".

Ma per capire che l'esito della folle idea della Merkel di far funzionare la Germania (e poi l'Europa intera, come deciso dalla Von der Leyen) con le pale eoliche sarebbe stato la de-industrializzazione e la miseria non ci voleva Nostradamus.

La vera grandissima novità di oggi, che minaccia (minaccia?) di porre fine in tempi rapidissimi a tutte le scemenze della "transizione green" (e quindi all'installazione a tutti i costi di pale e pannelli da tutte le parti) è l'esito del sondaggio politico pubblicato in Germania il giorno 13, di cui i giornali italiani (e non solo i soliti "giornaloni" iperconformisti e politicamente corretti) non hanno fatto menzione, onde evitare comportamenti emulativi. E con ciò trattando il popolo italiano da minus habens.

In Germania, "stante un livello di popolarità (dell'esecutivo Scholz) allo sprofondo e un’economia in recessione che svela a ogni trimestre i profili di una de-industrializzazione strutturale", è improvvisamente comparsa dal nulla una nuova formazione politica - che si chiama "Ragione e giustizia" (BSW) - che raccoglie il 14% delle intenzioni di voto. Lo abbiamo appreso su Il Sussidiario di oggi nell'articolo, che potete anzi dovete leggere in linea sul sito web del Sussidiario, di Mauro Bottarelli dall'esplicito titolo "Le manovre di destabilizzazione del 2024 cominciano in Germania":

"Ora, unite il risultato del BSW a quello di Alternative fur Deutschland, ricordando come non solo a giugno si voti per le Europee, ma come in autunno vadano alle urne 3 Land proprio della ex Germania comunista. Qualcosa come il 32% degli elettori tedeschi, interpellati sulle intenzioni di voto, oggi sarebbe pronto al salto nel buio fuori dal recinto establishment, a scegliere un partito fortemente anti-sistema. Mentre l’economia a dir poco stagna. E, soprattutto, le strade di Berlino rischiano la paralisi fra trattori e Tir inferociti in uno spoiler di democrazia diretta che da quelle parti evoca sempre cattivi pensieri, tra Weimar, birrerie schiumanti rabbia e piombo della Raf."

Ricordo che cosa scriveva appena una settimana fa  la Rete della Resistenza sui Crinali (fino ad oggi non sapevamo nulla - lo giuro - nè di questo sondaggio nè di "Ragione e giustizia") in conclusione del post "Germania: la follia della "transizione" realizzata con pale e pannelli rischia di finire proprio là dov'era cominciata":

"E siamo appena agli inizi. Se dobbiamo arrivare nel 2050 alla "decarbonizzazione integrale" promessa col suo European Green Deal dalla sconsiderata Von der Leyen, presidente di una Commissione europea cinghia di trasmissione di ogni desiderata della Germania, l'Afd, attualmente data dai sondaggi al 23% a livello nazionale, arriverà almeno al 230% delle preferenze elettorali in Germania. Sempre ammesso che nel frattempo non compaia niente di peggio nel panorama politico tedesco. O di molto peggio, come la storia della democrazia tedesca". traballante in tempi di grave crisi economica, insegna."

Niente male come capacità predittive, vero? Il peggio è già comparso e al peggio, in un'Europa che ha creduto persino alla "Piccola Greta", non ci sono limiti.

Nostradamus è vivo e lotta (sui crinali) assieme a noi.

 

Alberto Cuppini

 

La Staffetta Quotidiana: "Germania, agricoltori bloccano le strade per i tagli al gasolio agevolato". Dopo che una sentenza della Corte costituzionale a novembre aveva bloccato i suoi precedenti piani di spesa, il governo tedesco nelle scorse settimane è stato costretto a trovare miliardi di risparmi nel suo bilancio 2024. La Greenflazione adesso morde la carne viva dei cittadini tedeschi. Che iniziano a ribellarsi alle mattane della Energiewende voluta dalla Merkel e all'European Green Deal della Von der Leyen.

 

Eppure l'anno, almeno stando a quello che ci raccontavano i giornaloni italiani, era cominciato in tutt'altro modo. Come previsto, era partita la grancassa mediatica dell'aumento della produzione da fonti energetiche rinnovabili nel 2023, non solo in Italia ma anche in Germania. Certo. Se fosse sufficiente piantare pale eoliche e pannelli fotovoltaici da tutte le parti, senza ormai più vincolo alcuno, dopo le "semplificazioni" amministrative dei regimi di tutela ambientali e paesaggistici volute dai precedenti governi (tra i quali si è distinto quello di Draghi) ad imitazione di quanto fatto dalla Merkel per realizzare l'Energiewende, la produzione da rinnovabili, alla lunga, sarebbe destinata ad aumentare all'infinito e le emissioni di CO2 a diminuire.

Aveva dunque ragione il Sole 24 Ore a titolare l'articolo di Isabella Bufacchi, annunciato in prima pagina il 6 gennaio, "Germania, boom delle rinnovabili: gas serra ai minimi dal '60".

Qui noi oggi trascuriamo volutamente, per ragioni di spazio, il particolare (non proprio indifferente...) che solo il 15% del risparmio delle emissioni tedesche "avrà effetti duraturi". Ci limitiamo ad invitare gli interessati a scoprire la smargiassata dei rinnovabilisti leggendo l'articolo di Lorenzo Drigo, su Il Sussidiario di quello stesso giorno, dall'esplicativo titolo "Germania: “Tagliato 46% emissioni Co2 rispetto al 1990″/ Studio: “Taglio del 15%, il resto esportato in Cina, calcolando grosso modo i devastanti effetti, in termini di aumento delle emissioni globali da CO2, del "carbon leakage".

Quello che oggi ci interessa sono invece gli aumenti dei costi provocati dalla "transizione energetica" ottenuta rinunciando a fonti sicure ed a buon mercato per sostituirle con fonti aleatorie, non programmabili e, in quanto tali, costosissime. Il primo risultato (di cui nessuno parla in Italia) è, ovviamente, la deindustrializzazione (che per i giornaloni è una parola tabù). La diminuzione percentuale a due cifre nel 2023 (in appena un anno!) delle emissioni di CO2 del settore industriale in Germania, a cui dedica un breve cenno la Bufacchi nella sua corrispondenza da Francoforte, ha infatti una sola spiegazione: deindustrializzazione esplosiva. Il PIL tedesco in diminuzione e i cittadini tedeschi impoveriti, costretti a contrarre i consumi (anche alimentari), se ne erano già accorti.

A questo proposito, in Germania c'è un economista - Daniel Stelter - che la pensa come noi su tutta una serie di problemi che stanno trascinando a fondo la Germania (e che hanno già trascinato a fondo l'Italia, anche se da noi nessuno lo riconosce). E non solo in materia di "una politica climatica che ha poco senso". "L'industria, che presto si trasferirà a causa dei costi energetici, non tornerà" afferma Stelter in una intervista rilasciata allo Schwaebische Zeitung, sotto il titolo "La Germania presto come l’Italia, ma senza il mare, il sole, le spiagge e il buon cibo", un'intervista tutta da leggere, in italiano, nel sito web Voci dalla Germania.

Anche la stampa internazionale ha riportato la notizia del crollo delle emissioni clima-alteranti in Germania.

Così, ad esempio, il Financial Times nell'articolo del 5 gennaio "Germany's greenhouse emissions fall by a fifth amid manufacturing solowdown", dove peraltro i corrispondenti dalla Germania Patricia Nilsson e Sam Jones riconoscono un rallentamento dell'industria manufatturiera:

"Mentre la Germania è tra i Paesi che guidano la carica al taglio delle emissioni, il declino arriva allorchè molte delle sue società, che lottano con la crisi dell'energia, troncano gli investimenti a breve termine oppure si preparano a spostare le produzioni all'estero."

Del pari, nell'articolo si riporta anche l'allarmata dichiarazione di un rappresentante di un'importante associazione industriale tedesca, Siegfried Russwurm:

"il governo aveva fallito nel comprendere quanto critica fosse la situazione che stavano affrontando le industrie manifatturiere".

Faccio però notare che dire, come fa Russwurm nell'articolo del FT,

"L'industria in Germania non poteva sperare di essere sia green che competitiva internazionalmente senza un supporto governativo molto maggiore"

equivale a dire:

"L'industria in Germania non poteva sperare di essere sia green che competitiva internazionalmente" e basta.

Continua infatti ad essere diffusa anche in Germania la falsa idea che "un supporto governativo molto maggiore", ovvero una valanga di fondi pubblici persino maggiore di quelli fin qui gettati nel pozzo senza fondo della speculazione delle "rinnovabili", permetterebbe di effettuare la "transizione green" senza aggravi per le tasche dei cittadini e delle imprese. Che corrisponde alla bislacca convinzione secondo la quale, una volta piantate pale e pannelli da tutte le parti, la transizione sarebbe bella che compiuta. Come togliersi un dente, insomma. Peccato che si tratti di una (ennesima) sciocchezza: i costi diretti e indiretti della "transizione green" da attuarsi in tempi così accelerati, come appare ogni giorno più evidente nella realtà dei fatti, saranno senza fine.

Di questo si erano accorti da tempo gli agricoltori tedeschi (come già quelli olandesi), alcuni dei quali - esasperati dall'ideologia pauperistica dei grünen - la settimana scorsa avevano compiuto un atto, considerato choccante in Germania, ma che in Italia sarebbe stato considerato normalissimo - se non encomiabile - purchè compiuto da gruppi organizzati che, per qualche motivo, godono da anni di indulgenza plenaria, ed in particolare dai "centri sociali" o dalle ragazzine ricche e annoiate che vogliono "Salvare il Pianeta": avevano impedito al ministro "verde" dell'Economia Robert Habeck di scendere da un traghetto al ritorno dalle vacanze.

Anche questo episodio non è stato troppo pubblicizzato dalla stampa in Italia, vuoi per evitare emulazioni vuoi perchè contrario a quell'immagine di unanimismo verso la "transizione ecologica" che i giornaloni si sforzano di propalare.

Divertente leggere su uno di questi (il Corriere della Sera nell'articolo di Mara Gergolet dal sobrio titolo "Germania, agguato degli agricoltori al ministro verde Habeck")  che:

"L'estrema destra dell'Afd ha usato proprio la sistematica irrisione delle sue (di Habeck. NdR) politiche ambientali (non sempre efficaci a dire il vero) per costruire una seconda piattaforma del consenso dopo quella anti-migranti".

Ma pensa un po' che furbacchioni questi sovranisti populisti razzisti nazisti (e chi più ne ha più ne metta) dell'Afd. Chi avrebbe mai immaginato che avrebbero usato "l'irrisione delle politiche ambientali"... "Non sempre efficaci a dire il vero", come ammette con irresistibile umorismo involontario lo stesso Corrierone.

"E non è detto che la Germania, abituata a decenni di pace sociale, non trovi tra i contadini una propria versione dei Gilet jaunes, che hanno messo alla prova la Francia" concludeva l'articolista del Corriere appena sabato scorso.

Detto e fatto. Ieri - lunedì - abbiamo appreso dalla Staffetta Quotidiana nell'articolo "Germania, agricoltori bloccano le strade per i tagli al gasolio agevolato" che:

"Gli agricoltori tedeschi hanno bloccato strade del Paese oggi con i trattori, dando il via a una settimana di proteste contro la manovra del governo che tra le altre cose avvia una rimozione graduale dei sussidi al gasolio agricolo. Convogli di trattori e camion, alcuni adornati con... manifesti del partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), si sono radunati sulle strade tedesche questa mattina prima dell'alba con temperature sotto lo zero... La polizia ha affermato che le strade e gli svincoli autostradali sono stati bloccati in più località a livello nazionale, compresi diversi valichi di frontiera con la Francia, causando ingorghi durante le ore di punta mattutine. Il governo di coalizione tedesco nelle scorse settimane è stato costretto a trovare miliardi di risparmi nel suo bilancio 2024 dopo che una sentenza della Corte costituzionale a novembre ha bloccato i suoi precedenti piani di spesa... secondo un sondaggio condotto dall'emittente pubblica ntv ci sarebbe un forte sostegno dell'opinione pubblica alle loro proteste, con il 91% degli intervistati che le ritiene giustificate."

I soldi pubblici che negli scorsi anni erano serviti per rinviare al futuro la soluzione dei problemi creati dalla malapolitica tedesca, oscillante tra l'ideologia globalista e l'opportunismo mercantilistico, sono finiti. Tutti i bluff della Merkel, che godeva dell'appoggio incondizionato del mainstream internazionale, vengono improvvisamente svelati, e non solo in tema di immigrazione incontrollata e di Energiewende.

Oggi - martedì - leggiamo dalla stessa giornalista del Corriere della Sera dell'altra volta, Mara Gergolet, nell'articolo "La barricata dei trattori contro il governo tedesco" che

"L'era merkeliana della pace sociale e del lunghissimo appeasement, dell'accomodamento in una qualche forma di accordo o sovvenzione di tutte le tensioni, vista dalla Porta di Brandeburgo sembra veramente solo un ricordo."

E siamo appena agli inizi. Se dobbiamo arrivare nel 2050 alla "decarbonizzazione integrale" promessa col suo European Green Deal dalla sconsiderata Von der Leyen, presidente di una Commissione europea cinghia di trasmissione di ogni desiderata della Germania, l'Afd, attualmente data dai sondaggi al 23% a livello nazionale, arriverà almeno al 230% delle preferenze elettorali in Germania. Sempre ammesso che nel frattempo non compaia niente di peggio nel panorama politico tedesco.

O di molto peggio, come la storia della democrazia tedesca, traballante in tempi di grave crisi economica, insegna.

 

Alberto Cuppini

 

"Si continuano a fare incontri a livello globale, a proporre obiettivi comuni condivisibili, dei buoni propositi positivi. Ma cercando di mettere in atto delle politiche contro la realtà, contro la fisica, inevitabilmente si crea disordine".

 

Ieri, dopo la dichiarazione finale approvata all'unanimità dalla COP a Dubai, il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, è stato intervistato da (quasi) tutti i giornali, manco avesse vinto il Nobel per l'economia. Il motivo è presto detto: Tabarelli è l'unico economista italiano dell'energia (ancora in cattedra) che non si piega (o perlomeno non si piega del tutto) al conformismo della "rivoluzione green" nè, tanto meno, è disposto ad incensare quell'autentico capolavoro di contorsionismo lessicale e di ipocrisia che è il testo definitivo dell'accordo della COP28. Ieri ha trovato pure il tempo di scrivere lui stesso degli articoli, come ad esempio quello, annunciato in prima pagina de Il Quotidiano del Sud, dal titolo "Inutile illudersi, senza il nucleare non ce la faremo mai".

Un articolo efficace (lo potete recuperare dal sito web) ma non troppo. Come al solito, Tabarelli nelle interviste risulta più spontaneo e convincente, sebbene recentemente abbia scritto un pezzo sulla Stampa, il tradizionale giornale degli Agnelli (grandi sponsor della "transizione"), sui costi degli incentivi alle rinnovabili e sui loro effetti parlando senza mezzi termini di "deindustrializzazione" e "impoverimento". Ecco qualche esempio di intervista tabarelliana sulla stampa di oggi (sono tutte disponibili in linea).

Cominciamo da quella rilasciata ad Alessandra Ricciardi per Italia Oggi, che l'ha pubblicata sotto il titolo inequivoco "Un accordo di buone intenzioni":

Le fonti rinnovabili "non sono una alternativa, sono poco stabili e non danno densità energetica necessaria. Senza il fossile non può esserci sviluppo".

Proguiamo con l'intervista concessa ad Alessandro Farruggia per il Quotidiano Nazionale, che ha scelto il titolo "L’economista: "Solo buone intenzioni. Serve il nucleare":

"Pareggio, vittoria degli ambientalisti o, di contro, dei petrolieri? Ma non c’è neppure stata partita vera. Questa è una kermesse dalle buone intenzioni nella quale tutti hanno recitato la loro parte ma che non cambierà molto la realtà... Nei prossimi anni la quota dei fossili non calerà, figuriamoci eliminarla".

Ma è con il Sussidiario, nell'intervista a cura di Lorenzo Torrisi (da leggere assolutamente dall'inizio alla fine), che il professore bolognese dà il meglio di sè. Già il titolo dell'articolo lo anticipa: "Tabarelli: fonti fossili irrinunciabili, l’Ue manca di realismo":

"Si continuano a fare incontri a livello globale, a proporre obiettivi comuni condivisibili, dei buoni propositi positivi. Ma cercando di mettere in atto delle politiche contro la realtà, contro la fisica, inevitabilmente si crea disordine... Stiamo facendo anche una scommessa sull’auto elettrica, destinata a fallire, ma intanto le compagnie automobilistiche stanno investendo miliardi di euro... Questa aspirazione ambientale dà scarsi risultati: ci fa sentire meglio con le nostre coscienze, ma ci impoverisce perché porta deindustralizzazione e bassa crescita".

Eppure Tabarelli non è certo un cuor di leone.

Ci si potrà allora chiedere che cosa ci stanno a fare le altre decine e decine di economisti dell'energia che lo Stato italiano ha, sotto varie forme, a libro paga e che non hanno niente da obiettare in merito a queste stesse sconsideratezze ambiental-suicide. La domanda è ovviamente retorica. Gli accademici allineati, come osserva Maurizio Milano del Centro Studi Livatino, "possono beneficiare di fondi copiosi, mentre gli scienziati dissidenti si vedono chiuse opportunità di carriera e visibilità". Io non so che cosa fareste voi, ma loro, con varie sfumature, approfittano dei vantaggi derivanti dal lisciare il pelo ai potenti. Dando così le informazioni sbagliate ai decisori politici, come ha ben argomentato Enrico Mariutti alla recente conferenza degli Amici della Terra (si veda qui dal minuto 1:55:15), decisori che poi prendono, per logica conseguenza, le decisioni sbagliate. Come quella di triplicare ( ! ) le "rinnovabili" al 2030, installando altro inutile (se non dannoso) potenziale elettrico non programmabile. Così, tanto per fare qualcosa, nel solco della migliore tradizione borbonica del "facite ammuina". Ed arricchendo - incidentalmente - gli "imprenditori" dell'eolico e del fotovoltaico.

Prima di cambiare radicalmente la politica energetica (e non solo energetica) italiana, licenziare necesse.

 

Alberto Cuppini

 

 

 

Il Foglio: "La rivoluzione era stata messa nelle mani di Timmermans, al quale era stato dato l'ordine di andare avanti come un treno, incurante delle proteste". Alberto Clò: "Le prossime Europee possono archiviare questo ambientalismo".

 

Timmermans kaputt. E allora: Dai a ch'al can, come dicono a Bologna. Ma la batosta di Timmermans alle elezioni olandesi (e la vittoria di Wilders, gran dispregiatore dell'eolico) non ha comportato solo la fine politica del kamikaze della "rivoluzione green" in Europa, ma ha spalancato le cateratte dei risentimenti contro tutti i fautori dell'European Green deal basato sull'ideologia delle "rinnovabili" intermittenti, che la Commissione UE in questi anni ha voluto imporre a tutti i costi ed a tappe forzate.

Per darvi l'idea di quello che è il comune sentire circa l'ambientalismo mainstream delle rinnovabili salvifiche (che non si percepisce dai giornaloni e dalle televisioni, che raccontano tutt'altra storia e poi non si sanno capacitare delle vittorie di Milei e Wilders), ecco due articoli di ieri (domenica) in edicola. Basta leggere i titoli:

Da Libero: "La Cop28 fallisce per colpa dell'ideologia ambientalista sull'uso dei fossili e delle rinnovabili".

Da il Giornale "È l'ambientalismo irragionevole che fa salire i costi in bolletta".

Si potrà obiettare che i quotidiani delle "Destre" (come ama chiamarle Bertinotti) sono redatti da giornalisti grossolani, per vendere e farsi leggere da un pubblico altrettanto grossolano. Osservazione che non è neppure del tutto falsa. Per respingere (parzialmente) l'obiezione, vi sottopongo i toni e gli argomenti di un articolo, pubblicato sempre ieri su Il Sussidiario, di Sergio Luciano, che sui giornaloni ha scritto per decenni: "I cambiamenti impossibili finché comanda Berlino" ed in particolare il capoverso:

"La recente sentenza di Karlsruhe ha impedito che il Governo devolvesse 60 miliardi di aiuti pubblici a suo tempo stanziati contro il Covid, che per fortuna è una minaccia rientrata, a supporto e accelerazione della transizione ecologica, sulla quale i tedeschi sono talmente in ritardo da aver riacceso le centrali elettriche a carbone! Avendo spento dopo Fukushima le loro 23 centrali nucleari, per le pressioni di ecologisti intronati quanto i nostri… Una decisione che definire stupida equivale a diffamare gli stupidi. È assai peggio che stupida: è politicamente e strategicamente autolesionista".

"Ecologisti intronati quanto i nostri" e "Una decisione che definire stupida equivale a diffamare gli stupidi". Mica male - no? - per un frequentatore dei salotti buoni del giornalismo italiano.

Oggi contro l' "iper-ambientalismo" interviene pure il mite professore Alberto Clò, nell'intervista, annunciata in prima pagina de La Verità e realizzata da Tobia De Stefano, dal titolo "Le prossime Europee possono archiviare questo ambientalismo".

L'ex ministro dell'Industria e amico di Romano Prodi, nonostante non abbocchi alle numerose provocazioni dell'intervistatore, non può fare a meno di affermare (tra l'altro):

"Spero che nelle prossime elezioni europee si replichi l'effetto Timmermans per i guasti provocati da un'impostazione tutta ideologica delle politiche ambientali"

e

"Io penso che la miopia di una certa sinistra che ha sposato le tesi dell'Europa sull'ambiente potrebbe favorire una vittoria della destra in Europa... La colpa principale (della sinistra. NdR) è quella di aver acriticamente sostenuto, col suo voto determinante in Parlamento, decisioni che hanno un impatto tremendo sulla vita delle persone normali, del ceto medio e delle fasce più povere".

A proposito della responsabilità che adesso tutti vorrebbero addossare a Timmermans (ovvero l'ex vicepresidente della Commissione UE, come se adesso al mondo comandassero i vicepresidenti) è opportuna una precisazione. La scelta di un capro espiatorio è una spudoratezza senza limiti per salvare la vera responsabile, la sciaguratissima presidente Von der Leyen, alle incombenti elezioni europee.

Ecco cosa leggevamo in un articolo chiarificatore, a cui ha collaborato David Carretta, del Foglio del 30 novembre, dal titolo "Quel che resta del Green Deal dell'Europa", che sottotitolava

 "L'Ue è la regione del mondo che ha ridotto di più le emissioni. Ma ora il malcontento verde cresce, e si corre ai ripari smantellando le ambizioni. Il Green deal era stato presentato come un paradiso che avrebbe comportato pochi sacrifici e molti vantaggi. Il test delle europee."

e dove si argomentava:

"E' così che è nato l'European Green deal, marchio di fabbrica della Commissione della von der Leyen. La rivoluzione era stata messa nelle mani di Timmermans, al quale era stato dato l'ordine di andare avanti come un treno, incurante delle proteste di alcuni settori della società, dell'economia o della politica. E la rivoluzione andava fatta a marce forzate... Solo che la rivoluzione verde di von der Leyen si è inceppata. Peggio, in alcuni settori la Commissione, il Parlamento europeo o i governi hanno messo la retromarcia".

E la retromarcia l'hanno messa pure in Argentina, con la vittoria di Milei, quello della motosega.

Si tratta dell'applicazione della terza legge di Newton. Ad ogni demagogia corrisponde una demagogia uguale e contraria. Mi sa tanto che presto anche le Onlus e le Ong europee verranno motosegate. Difficile meravigliarsene, in particolare dopo l'esplosione dell'isteria collettiva sulle "rinnovabili" (a cui gli ambientalisti nostrani, salvo rare eccezioni, hanno dato il loro entusiasta contributo) ed il conseguente impoverimento collettivo. E soprattutto inutile rammaricarsi delle rappresaglie in arrivo, dopo tanto latte (e denaro pubblico) versato.

Chi è causa del suo mal...

 

Alberto Cuppini

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