"Un piano unico europeo per la transizione ambientale non c’è e ogni paese va per la propria strada."

 

Ricordate la nostra ultima edicola intitolata "Von der Leyen: fondo sovrano Ue per ricerca, innovazione e progetti contro i gas serra"?

Contrordine compagni: dalla commissione UE buttano acqua sul fuoco. Anzi: cascate del Niagara sul fuoco. I pompieri (e che pompieri!), accorsi per scongiurare l'incendio delle opinioni pubbliche Nord europee di fronte alla prospettiva di scialacquare i propri denari regalandoli ai fannulloni del Sud, sono stati i vice-presidenti esecutivi della commissione europea Valdis Dombrovskis, Frans Timmermans and Margrethe Vestager.

Lo abbiamo appreso dall'articolo del professor Alessandro Penati sul Domani di ieri 28 gennaio dal titolo "La transizione verde Ue è un enigma", che abbiamo ritrovato integralmente accessibile in linea, sebbene con un titolo leggermente modificato.

Penati fa riferimento, pur senza nominarla, alla lettera pubblicata dal Financial Times di giovedì sotto il titolo "Europe cannot afford to engage in tit-for-tat with the US" (ovvero "L'Europa non può permettersi di ribattere colpo su colpo agli USA", che sottotitola "Non dovremmo lasciare che la nostra risposta all'Inflation Reduction Act minacci il funzionamento dei mercati e la libera concorrenza) scritta a sei mani, per l'appunto, da Dombrovskis, da Timmermans e dalla Vestager.

Questa la considerazione di Penati:

 

"Il piano americano dovrebbe aver chiarito a Bruxelles e ai governi nazionali che la transizione ambientale richiede enormi capitali; e che questi debbano venire dai privati, perché gli stati non hanno abbastanza risorse; ma, senza un piano chiaro a livello europeo e forti incentivi pubblici comunitari, i privati non investono quanto sarebbe necessario. Ma l’Europa non emulerà il piano americano. Non ci sono risorse comunitarie per finanziare gli incentivi, come hanno riconosciuto i vice presidenti della Commissione, Dombrovskis, Timmermans e Vestager sul Financial Times: il fondo “sovranità” è solo futuribile, i soldi comunitari sono quelli del Pnrr; e arriveranno i fondi dell’aumento del costo dei certificati di emissione, ma solo nel 2030."

 

Campa cavallo che l'erba cresce...

 

"Comunque, un piano unico europeo per la transizione ambientale non c’è e ogni paese va per la propria strada."

 

Non voglio commentare ulteriormente, anche perchè l'articolo è liberamente disponibile sul sito del Domani e Penati è molto esplicito. Leggetevelo tutto. Troverete cose molto interessanti, a cominciare dal sarcasmo sull'ipocrisia, da noi già denunciata in altre circostanze, di chi rilascia interviste intitolate "Il futuro sarà green" negli stessi giorni in cui va in Algeria e Libia a firmare i contrattoni per il gas. Riteniamo comunque che sia meglio l'ipocrisia (e la disponibilità di gas a buon mercato) all'inflessibile, ottuso rigore degli ideologi verdi di Bruxelles che ci vogliono far restare al buio, al freddo e in miseria.

E, sempre nell'articolo di Penati (che è uno dei pochi economisti italiani che ha il coraggio - qualche volta - di parlare fuori dal coro), troverete anche alcune altre considerazioni di macro economia ereticali rispetto al canone mainstream. Dio sa quanto ce ne sia bisogno oggi in Italia.

 

Alberto Cuppini 

 

 

"Nel medio termine prepareremo un fondo sovrano europeo per aumentare le risorse disponibili per la ricerca, l'innovazione e i progetti industriali fondamentali per abbattere i gas serra".

 

Riportiamo alcuni brevi estratti dall'articolo di Gianluca Di Donfrancesco sul Sole 24 Ore di mercoledì "Von der Leyen: fondo sovrano Ue per sostenere le tecnologie verdi" sull'intervento della presidente della commissione europea a Davos (a proposito: congratulazioni al neo governo Meloni per avere platealmente snobbato questo svergognato baraccone di ottimati, incarnazione del peggior conformismo della peggiore globalizzazione).

Così il Sole:

 

"L’Europa ha bisogno di un proprio fondo sovrano green, per sostenere la concorrenza di Stati Uniti (e Cina), che stanno generosamente finanziando i propri sistemi industriali nella transizione energetica. Lo ha affermato a Davos la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento al World Economic Forum il 17 gennaio. L’Esecutivo comunitario preparerà, inoltre, un nuovo set di regole, che punta anche a velocizzare l’iter degli aiuti di Stato... "Per questo proporremo di adeguare temporaneamente le nostre regole sugli aiuti di Stato, per velocizzare e semplificare"... ha affermato von der Leyen... Se i bilanci di Germania e Francia (sulla Francia avremmo qualche dubbio. NdR) garantiscono potenza di fuoco, altri Paesi Ue (come l'Italia) non hanno la stessa capacità di sostenere le proprie imprese... La soluzione, anche per la presidente, è "aumentare i finanziamenti Ue. Nel medio termine prepareremo un fondo sovrano europeo... per aumentare le risorse disponibili per la ricerca, l'innovazione e i progetti industriali fondamentali per abbattere i gas serra".

 

La Von der Leyen, dopo qualche anno di ritardo e tanti immani disastri provocati dagli errori di politica energetica europea, arriva alla stessa conclusione del documento CNP, presentato in audizione alla Camera nell'ormai lontano 2019, in cui, nell'ultimo paragrafo "Conclusioni e suggerimenti" si scriveva:

 

"Proponiamo quindi di abbandonare, d'accordo con l'Unione Europea, il sotto-obiettivo della produzione di energia da FER sui consumi finali di energia e di intraprendere piuttosto un piano di investimenti finalizzati sotto il controllo dell'Unione Europea, cogliendo l'occasione di combinare una classica politica keynesiana con il conseguimento di obiettivi climatici globali, sia in materia di contrasto che di mitigazione.

Questa sfida per il futuro richiede l'utilizzo di strumenti e strategie a cui da tempo l'Europa pare avere  rinunciato. Da troppi anni gli investimenti pubblici in Europa sono fermi sotto le medie di qualunque altra parte  del mondo. A tutti i Paesi europei dovrebbe essere consentito fino al 2030 - ma evitando l'utilizzo di strumenti  uguali per tutti, senza tener conto delle specificità di ogni singolo Paese - uno sforamento ampio dei deficit  pubblici (che reputiamo dover essere non inferiore al 2% annuo del PIL per essere minimamente credibile),  meglio se finanziato con bond europei ad hoc, così da poter destinare risorse aggiuntive ad un piano di  investimenti pubblici ad alto moltiplicatore non solo del PIL ma anche del contenimento globale delle  emissioni di CO2."

 

L'altro ieri, finalmente, è stato compiuto dalla VdL un primo passo in questa direzione. A parole. Ma tra il dire e il fare, come noto, c'è di mezzo il mare. E, adesso, rispetto al 2019, c'è di mezzo anche la Russia, che è molto più grande del mare. Prima di gettare altri soldi pubblici dei contribuenti europei nelle tasche della grande speculazione green, però, bisognerebbe applicare fino in fondo la prescrizione del CNP, cominciando dall'abbandonare il sotto-obiettivo della produzione di energia da FER sui consumi finali di energia. Poi, prima di trovare "nel medio termine" (ricordiamo: "i tempi, comunque, non saranno brevi...") i soldi per il "fondo sovrano", bisognerebbe determinare come spenderli. E qui casca l'asino, perchè si ha il sospetto che il vero intento dell'iniziativa della VdL sia permettere di superare (da subito) il tabù assoluto degli aiuti di Stato alle imprese e, insieme, lo sforamento dei parametri europei del deficit tedesco per realizzare il mostruoso debito pubblico interno da tempo annunciato dal cancelliere (si rilegga a questo proposito l'esemplare articolo di Mauro Deaglio sulla Stampa "Il piano Scholz da 200 miliardi un atto di arroganza: in gioco c'è la tenuta dell’Europa").

Denso di significati ipocriti è il fatto che tale obiettivo, dagli intenti bassamente protezionistici, sia stato modificato, per rendere più accettabile la pretesa del governo tedesco, come "fondo comune Ue" dallo stesso cancelliere Scholz proprio alla vigilia della dichiarazione della Von der Leyen a Davos. E con ottime possibilità di ottenere, in questo modo, gli esiti vaticinati da Paolo Annoni nel suo articolo (mi raccomando: leggetevelo tutto in linea) pubblicato lo stesso giorno di quello del Sole (ma privo dello stesso servile sussiego) "Von der Leyen a Davos / Ecco perché saremo noi a pagare il costo del piano green tedesco":

 

"Due giorni fa Bloomberg avvertiva gli investitori che quest’anno la Germania si appresta a emettere un numero record di nuovi titoli di debito pubblico e a fare il deficit più alto degli ultimi decenni e superiore a quello del 2020... Gli aiuti di Stato sono un tabù per l’Unione Europea e per il mercato comune che è uno dei suoi pilastri. Dato che ci sono Stati con capacità fiscali e debiti molto diversi in una costruzione rigida che ha una sola valuta e non ha meccanismi di redistribuzione interna, se in Europa fossero ammessi aiuti di Stato il mercato comune salterebbe oppure i Paesi più fragili verrebbero completamente deindustrializzati. L’Europa oggi decide di adattarli e l’immediato accenno al fondo sovrano europeo per ovviare al “dettaglio” delle diverse capacità di spesa svela il senso di questo adattamento: meno vincoli per tutti... Se l’Europa concede regole meno stringenti per gli aiuti di Stato, per ragioni green e di politica industriale, senza uno strumento che consenta una politica uniforme, ciò che accadrà è che le imprese in Stati con minore spazio fiscale o con minore presa politica verranno schiacciate da quelle degli Stati più forti... Non si comprende come il mercato comune possa sopravvivere a tensioni di questo tipo se non ipotizzando che le parti più deboli dell’eurozona accettino un declino sostanziale."

 

Alberto Cuppini

 

Un articolo del professor Alberto Clò nell'inserto del Foglio di oggi: "Cortocircuito a gas".

Il professore bolognese osserva stupito il moltiplicarsi delle iniziative per nuove infrastrutture finalizzate a portare sempre più gas naturale in Italia e ne fa rilevare la plateale contraddizione con l'obbligo legale imposto dall'UE di giungere alla piena neutralità carbonica entro il 2050, "cambiando drasticamente stili di vita".

In realtà Clò non è affatto stupito. Nè tanto meno è stupìdo (come dicevano Stanlio e Olio). Si rende perfettamente conto delle poderose forze che stanno conducendo l'Europa al disastro energetico e le denuncia con la consueta garbata ironia. Sebbene noi dubitiamo fortemente che sia sufficiente l'ironia di fronte alle dimensioni epocali del cataclisma provocato dai "climatocrati" di Bruxelles, riportiamo la conclusione dell'articolo di Clò:

 

"Delle due l'una: o gli Stati europei ritengono che i piani per la transizione verde dell'Unione siano impossibili da perseguire, o comunque contradditori rispetto ad altre prioritarie esigenze nazionali, allora sarebbe necessario lo denunciassero apertamente realizzando gli investimenti che reputano necessari. Ovvero, ritengono che quei piani siano realizzabili con successo rinunciando così a investire e a concludere nuovi contratti di importazione, assumendosi però in tal caso enormi rischi. Seguire entrambe le vie come sta avvenendo... non può che portare a dissennate perdite di denaro pubblico o a scarsità di offerta che procurerebbe non minori danni."

 

Abbiamo l'impressione che il professore ex ministro dell'Industria abbia una sua precisa opinione in merito a questo aut aut. Che è la stessa che abbiamo noi resistenti sui crinali. E saremmo pronti a scommettere che è la stessa opinione anche di Giorgia Meloni. Ci attendiamo perciò dal nuovo governo italiano scelte conseguenti, nel segno della discontinuità con la politica energetica dei governi (almeno) di questi ultimi dodici anni, caratterizzati dalla stagnazione economica del Paese mentre, nel frattempo, la ricchezza globale si andava diffondendo e moltiplicando.

 

Alberto Cuppini

 

 

Sul nuovo numero di Panorama da oggi in edicola il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi scrive una lettera aperta al presidente del Consiglio Giorgia Meloni: il Green deal, com'è concepito, non soddisfa le necessità dell'Italia. E, invece, la devasta.

Estrapoliamo alcuni passaggi della lettera di Sgarbi alla Meloni (in realtà andrebbe letta tutta, ma se la riportassimo integralmente non faremmo felice il direttore di Panorama) dall'articolo intitolato "Perché eolico e solare non basteranno":

 

"Oggi, in Italia, la potenza sommata di eolico e fotovoltaico è 35 GW. Una frazione di quanto occorrerebbe per la "decarbonizzazione" del solo sistema elettrico, ma già sufficiente a sfregiare intere province... Ma non è tutto, poiché il fanatismo verde europeo ed italiano (le potenti ed aggressive lobby sono le stesse, mentre Legambiente, Wwf e Fai ne sono le mosche cocchiere) non intende fermarsi qui... Se poi volessimo elettrificare entro il 2050 tutto il sistema energetico italiano, come si va farneticando, queste potenze "rinnovabili" andrebbero moltiplicate per 4,5 (l'elettricità contribuisce oggi solo al 22 per cento dei consumi energetici italiani complessivi) al netto di sistemi di stoccaggio energetico così ciclopici che non esistono e dai costi impossibili. Eppure, se anche spendessimo il necessario per costruire e far funzionare tale gigantesco armamentario, non potremmo smantellare una sola centrale tradizionale (termoelettrica o idroelettrica a bacino) oggi esistente e funzionante, che dovrebbe sempre essere mantenuta di riserva... Signor Presidente, Lei comprende quali sarebbero le conseguenze per le imprese italiane... Tutto questo per una fretta assurda e sospetta. Per far fronte, in apparenza, a necessità ideologiche pseudoreligiose. Qualcosa nelle politiche energetiche europee non sta funzionando e serve un cambio di rotta repentino... L'importante, per Bruxelles, è raggiungere il sogno green entro pochi anni, anche se bisognerà imporre la "tessera annonaria". Inutile ricordarle che scelte affrettate e totalizzanti non potranno che danneggiare la ricerca nelle tante plurime tecnologie che si affacciano prepotentemente all'orizzonte e nelle quali l'Italia non sarebbe e non dovrebbe essere tributaria, al solito come per l'eolico, di apparati integralmente costruiti e importati o peggio imposti da costruttori tedeschi, danesi, cinesi... Non facciamoci travolgere, arrivando a cancellare la bellezza unica del paesaggio italiano."

 

Niente male, vero? Osserviamo con piacere che alcuni concetti, da noi sviluppati in questi anni di duro lavoro di contrasto all'eolico, finalmente si vanno diffondendo. Consigliamo perciò ai resistenti sui crinali di andare ad acquistare la rivista in edicola, anche perchè, sempre su Panorama di questa settimana, c'è un altro interessante articolo, questa volta di Carlo Cambi: "L'anno nero. Così l'Europa torna al carbone" che così viene introdotto:

 

"Il 2022 ha segnato il record per il combustibile fossile, utilizzato tradizionalmente da un Paese inquinante come la Cina, ma adesso anche dal Vecchio continente (+12 per cento), che ha dovuto compensare le mancate forniture di gas metano dalla Russia. E il 2023 si annuncia anch'esso ai massimi per estrazione e consumi. La transizione verde della Ue è da rivedere e correggere."

 

Ne riportiamo di seguito il primo e l'ultimo paragrafo:

 

"Pare che la Befana stia per recapitare un enorme sacco di carbone alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen... Impossibile sapere se la mittente sia l'ecoattivista Greta Thunberg, di sicuro un biglietto di accompagnamento lo ha firmato la gran parte dei cittadini europei che stanno pagando l'energia carissima a causa dell'albagia verde dell'Europa, il Green deal. Che a Bruxelles abbiano sbagliato i conti è manifesto: hanno accelerato sulla transizione ecologica senza una preventiva ricognizione delle effettive possibilità.

...

Tuttavia Ursula von der Leyen resta irremovibile. Vero, ha varato il RepowerEu che consente di usare solo temporaneamente queste fonti inquinanti per produrre energia, s'è pure accorta che in periodo di transizione "qualche contraddizione" è possibile, ma entro il 2030 - afferma - le emissioni da carbone dovranno ridursi in modo drastico. La Befana a quanto pare la pensa diversamente."

 

Alberto Cuppini

Oggi grande risalto sulla stampa specializzata in energia e motori alle critiche di Giorgia Meloni al blocco dei motori endotermici già nel 2035.

Leggiamo in linea, dall'articolo di ieri di Tommaso Giacomelli su Il Giornale.it  "Stop ai motori termici nel 2035? Irragionevole e lesivo":

 

"In occasione della tradizionale conferenza stampa di fine anno che si è tenuta oggi nell'Aula dei Gruppi parlamentari, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito allo stop alla vendita di auto con motori diesel e benzina in Europa nel 2035. "Non produrre più motori a combustibili fossili nel 2035 è irragionevole. Lo considero profondamente lesivo del nostro sistema produttivo. Mi pare che sia una materia su cui c'è una convergenza trasversale a livello italiano ed intendo utilizzare questa convergenza per porre le questione con forza", ha affermato il premier."

 

Una presa di posizione molto forte da parte del capo del governo di un Paese che in precedenza, ed in particolare negli ultimi dieci anni, si era sempre mostrato acquiescente e prono alle decisioni europee, persino quelle più strampalate, in materia di contrasto ai mutamenti climatici.

Ma la stampa si è lasciata sfuggire l'affermazione più grave (e più coraggiosa) della Meloni nella conferenza di ieri: quella sul Fit for 55, che è stata evidenziata (salvo nostre disattenzioni) solo da Giacomelli sul Giornale:

 

"Giorgia Meloni dubita sul conseguimento degli obiettivi fissati dal "Fit for 55": "Non credo sia raggiungibile. Intendo porre la questione in sede europea"."

 

La Meloni ha tirato, forse senza rendersene conto, una picconata ad un ganglo vitale dell'onnipotente "climatocrazia" (così l'ha definita Le Figaro) europea.

Se i giornaloni italiani (a proposito: complimenti per la baldanza in conferenza stampa. Con Draghi sembravano tutti Gianni Minà con Fidel Castro) hanno finto di non aver sentito, nei Palazzi del Potere delle tecnocrazie europee, potete starne certi, hanno preso buona nota. La Von der Leyen, Timmermans, Gentiloni e compagnia bella, entro breve, riporteranno a più miti consigli la loro riottosa suddita italiana. Sarei pronto a scommettere che, grazie soprattutto all'operare (al NON operare, nel nostro caso) della presidente della Banca Centrale Europea Lagarde, nel 2023 ricominceranno i problemi seri per rifinanziare l'apocalittico debito pubblico italiano - ulteriormente appesantito (se tutto andrà bene) da un altro centinaio di miliardi di deficit corrente - ormai lanciato al galoppo verso il raccapricciante record dei tremila miliardi di euro.

Ricorderete che cosa è capitato al Berlusca nel 2011 in analoghe circostanze. Cara Giorgetta: qui si parrà la tua nobilitate.

 

 

Alberto Cuppini

 

 

Consiglio la lettura, da Il Foglio di oggi, della lettera di Natale (non sto facendo l'asino: la definisce così l'autore stesso) al presidente del Consiglio scritta dal fratellino - meno curiale ed anzi persino un po' eretico - di Romano Prodi. L'articolo del professor Franco Prodi "Qualche consiglio a Giorgia Meloni da un fisico sperimentale", che sottotitola: "Fermare il treno delle Cop, smascherare i manipolatori di Greta, non demonizzare la CO2. E puntare sulla ricerca", si può leggere liberamente in linea dal sito web grazie alla magnanimità del Foglio. Ne riportiamo qui (senza commento alcuno) il passaggio che più interessa ai resistenti sui crinali (i grassetti sono nel testo in linea):

 

"Passo al terzo suggerimento, sul terreno che sento mio e sul quale Lei potrebbe fare la bella figura da statista che anticipa i tempi, senza tema di sbagliare, tanto si è andati irragionevolmente in là nella quantificazione della responsabilità, 98 per cento antropica, nel riscaldamento del pianeta. Intanto si comincia a cambiare nel lessico. Si ritorna al “cambiamento climatico” (sotto gli occhi di tutti, è incontrovertibile, tutta la scienza lo dice, bla bla bla) non più “riscaldamento globale”. Il cambiamento climatico è connaturato al clima, che non può non cambiare, la sua storia lo insegna. Non funziona più dare del negazionista a destra e a manca a tutti i pochi che ancora fanno appello alla ragione, oltre che alla scienza vera. Prenda l’iniziativa di fermare il treno delle Cop, prenda le distanze dai manipolatori di Greta e dei giovani dei venerdì e innalzi la bandiera della protezione dell’ambiente planetario.

Cerchi di capire quali sono le forze della finanza mondiale che spingono l’Europa in questa direzione suicida della demonizzazione della CO2, non inquinante e necessaria alla crescita delle colture agrarie. L’Europa tutta ne produce meno del 9 per cento. Partire da una valutazione delle risorse fossili rimaste – qualcuno sa come stanno le cose – e da un uso concordato delle risorse stesse; questo deve essere l’oggetto degli accordi mondiali. I modelli che l’Ipcc usa per produrre previsioni catastrofiste trattano le nubi e l’aerosol fuori da nube in maniera grossolana. I risultati sono solo scenari da non prendere sul serio, non sono previsioni affidabili. Le lascio immaginare le conseguenze, sull’energia, sobrietà e non, le rinnovabili e la tutela del paesaggio, la transizione ecologica, tutto da ridiscutere."

 

Ma forse più importante, sempre di Franco Prodi e sempre su Il Foglio, (anche se l'importanza era meno evidente), era stato l'articolo di sabato scorso "Il meteo speciale di Putin. La conferenza di Mosca del 2003 sul climate change", che sottotitolava "L'incontro sui cambiamenti climatici nella capitale russa e il discorso del presidente. Diceva di non voler lasciar solo l'occidente e chiarire le basi scientifiche del problema. Ma del meeting non c'è più traccia". Qui un assaggino anche di quell'articolo:

 

"... il clou della conferenza fu un discorso di Putin, un discorso pieno di energia e di buon senso. In sostanza affermava di non volere lasciare solo l'occidente e l'Ipcc a occuparsi di cambiamenti climatici, e che aveva voluto quella conferenza per chiarire le basi scientifiche del problema e verificare le conseguenze nella politica mondiale...

Devo dire che ne aveva allora pieno titolo sia per il prestigio scientifico della Federazione che per la critica all'Ipcc e alle sue Cop che l'occidente aveva innescato e conduceva indipendentemente. Chi ha seguito le mie critiche all'Ipcc e alla bufala mondiale del 98 per cento della responsabilità antropica nel riscaldamento globale può capire quanto fosse comprensibile il suo proposito di porre la Federazione russa di nuovo nella posizione di protagonista nel mondo. Ebbene di quella conferenza non è rimasta a mia conoscenza nessuna traccia."

 

Non bastavano le negazioni ereticali della religione delle Cop dell'Onu e della verità rivelata dell'Ipcc, dunque: Prodi jr ci ha voluto pure aggiungere un elogio a Putin. Scandalo! Roba da accendere subito il fuoco per il rogo del negazionista, se non fosse che bruciare la legna farebbe aumentare la CO2 di responsabilità antropica in atmosfera.

A prescindere dal coraggio, al limite dell'autolesionismo, di parlare bene di Putin proprio in questi giorni (seppure per iniziative politiche di una ventina di anni fa: una sliding door si era aperta), le considerazioni di Franco Prodi in questo articolo non solo si uniscono al coro "L'Europa ha sbagliato tutto" di altri due professori bolognesi come Alberto Clò e Davide Tabarelli, ma ci dicono anche che un'altra soluzione, sia per la razionalizzazione della politica energetica europea che per la politica estera, era a portata di mano ed è stata colpevolmente trascurata.

Anche se parlare di "politica estera" dell'Unione europea fa scappare da ridere. Non solo perchè l'Europa, a causa della propria ideologia irenistica, non ha forze armate sue proprie, senza le quali nessuna politica estera è possibile per definizione, ma anche perchè l'Ue si è affidata, prima ancora di abbandonare i propri destini nelle mani della Von der Leyen, come "Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza" prima alla baronessa Ashton di Upholland e poi a... Federica Mogherini! Forse (forse) la pace e i destini dell'Europa e del mondo sono più importanti dell'ideologia femminista e delle quote rosa. 

Diamo quindi un consiglio al professor Franco Prodi. La prossima volta che la Meloni (che è diventata capo del governo italiano disprezzando salottini femministi e quote rosa) gli telefona per invitarlo a Roma per un altro dibattito o quant'altro, accetti. Magari si metta un paio di baffi finti e si faccia chiamare in pubblico Mario Rossi, così da non creare imbarazzi a suo fratello fondatore dell'Ulivo, ma ci vada. Ci vada senza remore. Nella palude del conformismo e del pensiero unico globalizzato non possiamo rinunciare ad aggrapparci a un qualsiasi appiglio, altrimenti andremo tutti a fondo.

 

Alberto Cuppini

 

 

 

Salvatore Carollo: "Servono investimenti importanti ma nessuno è disposto a rischiare i propri capitali in un settore che il mainstream politico ritiene ormai “morto”, come tutte le fonti fossili."

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

Segnalo questo articolo di Salvatore Carollo sulla Staffetta Quotidiana di venerdì, che lo rilanciava ricavandolo dall'ultimo numero di RiEnergia, integralmente disponibile in rete, e dove compare sotto il titolo "Dopo la tempesta sul gas, l'Europa la vuole sul petrolio. E l'Italia rischia di pagarla cara".

Ecco il passaggio più interessante:

 

"Di recente, il deficit strutturale degli Usa in termini di prodotti finiti ha cominciato a manifestarsi sia con la mancanza di gasolio sia con una crescente difficoltà di immettere sul mercato benzine riformulate di alta qualità. Il richiamo di Biden alle compagnie petrolifere di investire maggiormente nel settore della raffinazione giunge in ritardo di due decenni ed appare poco convincente. Servono investimenti importanti e nessuno è disposto a rischiare i propri capitali in un settore che il mainstream politico ritiene ormai “morto”, come tutte le fonti fossili. La crisi russo-ucraina sta facendo da acceleratore della crisi globale degli approvvigionamenti petroliferi. Da almeno due decenni si è ripetuto che non serviva investire in queste attività. Bastava che la raffinazione sopravvivesse fino all'arrivo della mitica “conversione energetica”. Purtroppo, tutte le date finora annunciate per questo evento “escatologico” rischiano di essere puntualmente spostate in avanti nel tempo, mentre il tracollo del settore industriale della raffinazione (Non solo quello della raffinazione. NdR) si avvicina con una accelerazione crescente."

 

L'articolo viene citato dal professor Giulio Sapelli ("Salvatore Carollo con la sua magnifica capacità analitica") sul Sussidiario di oggi nell'articolo "L’ultima follia europea che aiuta Russia e Cina":

 

"Sono tempi drammatici e di cui la folla festante pare non avere contezza, rapita come era e come è nell’idillio post-romantico dell’identificazione nei capi. La von der Leyen festeggiata e festante rappresenta la gravità della situazione, perché più di ogni altra persona incarna l’incapacità decisionale della “nuova classe” eurocratica."

 

A conclusioni analoghe perviene, sempre sul Sussidiario, il solito Paolo Annoni nell'articolo "Ecco le scelte Ue che continuano ad aggravare la crisi":

 

"Proprio nelle settimane in cui si rende evidente la fragilità della rete elettrica l’Europa continua in un piano che elimina un’alternativa, l’auto a combustione, che non ha bisogno di una rete e che si alimenta con una fonte che è rimasta molto più a buon mercato. Dato che spostare la produzione elettrica da gas e carbone a nucleare e rinnovabili richiede decenni il rischio che un blackout metta ko anche i trasporti deve essere considerato. L’Europa continua a dimostrare di non aver capito quali siano le conseguenze degli eventi degli ultimi dodici mesi. La resilienza del sistema, la diversificazione delle fonti è un valore molto più prezioso oggi che nel 2020. È una questione non solo di funzionamento del sistema economico, ma anche di sovranità che viene prima di qualsiasi fantasia “green”. Mentre si contemplano blackout elettrici si impone ai cittadini di liberarsi delle auto a benzina per comprare auto elettriche. Non si comprende quale investitore possa ipotizzare una scommessa su un continente con queste politiche."

 

Tutti gli autori, come già altri analisti in numero sempre crescente, individuano lo stesso (meglio: la stessa) responsabile dell'attuale crisi energetica. Ma l'incarnazione corrente della "incapacità decisionale" della "nuova classe eurocratica" non ha neppure troppa importanza. Si comprenderà perchè non sono il solo ad essere convinto che la "transizione energetica" (basata sulle "rinnovabili" sussidiate che dovrebbero diventare convenienti penalizzando le "fossili") sia ormai un morto che cammina. Riprendendo (e parafrasando un po') la conclusione dell'articolo di Carollo:

 

Purtroppo, poiché parliamo di fonti fossili, il problema non è di moda e non se ne parla. Magari protestiamo per i prezzi alta alla stazione di servizio, ma declassiamo il tutto alla decisione di tagliare le accise. Il problema industriale e strategico che sta alla base è pressappoco sconosciuto e sembra non interessare nessuno. Ci sveglieremo, forse, se e quando, andando all'aeroporto per andare a fare le loro belle e costosissime vacanze, le ragazzine ricche e viziate (le stesse che fanno fughino il venerdì con la scusa dello "sciopero climatico") vedranno il volo cancellato per mancanza di jet fuel.

 

Alberto Cuppini

 

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti