Federico Rampini sul Corriere della Sera nell'articolo "L’Africa diffida dei nostri ambientalisti" intervista un dirigente dell'ANC: «Non possiamo pensare il futuro solo in termini di fonti rinnovabili. Voi venite a dirci: puntate tutto sulle energie pulite. E’ impossibile. Significa andare al collasso finale del nostro sistema. La transizione verso un’economia de-carbonizzata non può passare attraverso un lungo periodo di privazioni e di miseria ancora peggiori della nostra situazione attuale. I cinesi investono nelle energie rinnovabili in base ai loro tempi e alla loro agenda di priorità. Non ci fanno discorsi stupidi sulla necessità di fare immediatamente scelte drastiche, non ci esortano a ripudiare di colpo l’energia meno costosa. Non chiedete proprio a noi di incamminarci verso una transizione al buio, verso un vostro astratto ideale».

 

Federico Rampini dal Sudafrica, sul Corriere della Sera di domenica, ha violato (e proprio sull'organo del Partito Democratico!) due mantra Politicamente Corretti in un colpo solo: prima il fideismo nell'eolico e nel solare (definiti dal dirigente della scuola quadri dell'African National Congress "astratto ideale": "Puntare tutto sulle energie pulite è impossibile. Significa andare al collasso finale del nostro sistema") e poi l'immacolata purezza dei nuovi dirigenti della "Nazione arcobaleno" ("Appena scavi trovi delle cause turpi...").

Tutto questo nel lungo articolo, dove si tratta del disastro dei blackout elettrici quotidiani in Sudafrica, dall'illuminante titolo "L’Africa diffida dei nostri ambientalisti. Ecco perché".

 

Invitiamo a leggerlo integralmente dal sito web del Corrierone. Per invogliare i resistenti sui crinali proponiamo qui i passaggi più significativi:

«L’Occidente vuole de-carbonizzarci... ma ci compra il nostro carbone!» «Il load-shedding è uno dei fallimenti dello Stato – mi dice David Makhura, l’ex governatore del Gauteng (la provincia di Johannesburg) che oggi dirige la scuola formazione quadri dell’Anc... il leader politico si lancia in un’arringa contro il nostro ambientalismo. «Non possiamo pensare il futuro solo in termini di fonti rinnovabili. Voi venite a dirci: puntate tutto sulle energie pulite. E’ impossibile. Significa andare al collasso finale del nostro sistema. L’Occidente non può metterci di fronte a questo tipo di diktat: elettricità pulita o niente». Molti dirigenti sudafricani che ascolto nel corso del mio viaggio sono esasperati dalle incoerenze di paesi molto più ricchi del loro, che predicano l’ambientalismo senza praticarlo...abbiamo un’abbondanza di carbone nelle nostre miniere e per un periodo di tempo consistente dovremo usarlo. E’ la risorsa più abbondante e meno cara. Se vogliamo uscire dal tunnel dei load-shedding, se vogliamo salvare il nostro popolo dalle interruzioni continue nella corrente, dobbiamo aumentare la nostra capacità il più presto possibile e usando le risorse disponibili. La transizione verso un’economia de-carbonizzata non può passare attraverso un lungo periodo di privazioni e di miseria ancora peggiori della nostra situazione attuale». Anche sul tema del cambiamento climatico, purtroppo, per il Sudafrica il modello non siamo noi, è Pechino. «I cinesi – dice Makhura – investono nelle energie rinnovabili in base ai loro tempi e alla loro agenda di priorità. I cinesi sono pragmatici. Non ci fanno discorsi stupidi sulla necessità di fare immediatamente scelte drastiche, non ci esortano a ripudiare di colpo l’energia meno costosa. I cinesi sono diventati leader mondiali nelle energie rinnovabili, ma continuano ad aprire anche nuove centrali a carbone, proprio ora, mentre noi due stiamo parlando. Le nostre luci devono essere accese. Non chiedete proprio a noi di incamminarci verso una transizione al buio, verso un vostro astratto ideale».

Per bilanciare tutte le "scorrettezze" ereticali di Rampini segnalo - soprattutto per chi vuol farsi amaramente due risate - un articolo politicamente correttissimo sulla prima pagina domenicale sempre sull'organo del PD pardon sul Corriere della Sera (che evidentemente utilizza Rampini e Galli della Loggia come richiami per le allodole che credono di acquistare un quotidiano pluralista). Si tratta de "La (giusta) visione su Europa e ambiente" scritto dal professor Francesco Giavazzi, già consulente economico del governo Draghi e che, come tale, ha avallato tutte le scelte di economia green di quel governo, a cominciare dal famigeratissimo Superbonus 110%.

In particolare, a testimonianza della faciloneria in cui incorrono anche i professurun dell'economia quando trattano di "transizione ecologica", segnaliamo nell'articolo l'infelice citazione di "uno studio di McKinsey" in cui si stima che "nei prossimi 30 anni il costo della de-carbonizzazione in Europa" sarà di mezzo punto di PIL all'anno (ossia, a prezzi correnti, 10 miliardi di euro per l'Italia). Facciamo osservare che per anni l'Italia ha sperperato quasi un punto di PIL all'anno solo per gli "incentivi" alle rinnovabili elettriche (sussidiando appena il 20% dei soli consumi elettrici nazionali) nascosti nelle bollette elettriche.

Segnaliamo anche, ad uso e consumo del professor Giavazzi, un articolo del 14 luglio di Le Monde (altro quotidiano di sinistra, globalista e politicamente corretto, per cui Gavazzi si può fidare) dal titolo "Emploi, pouvoir d’achat, justice… Quel bilan pour les « cent jours » fixés par Emmanuel Macron?" in cui leggiamo che "Elisabeth Borne a annoncé une enveloppe de « 60 milliards d'euros brut » alloués à la planification écologique". 60 miliardi per il solo anno prossimo. Lo ha rilevato anche Ugo Bertone sul Sussidiario nell'articolo Così le scelte green fanno riemergere i problemi dell’Ue:

"Una trasformazione epocale della mobilità, con l’introduzione a tappe forzate dell’auto elettrica, combinata con una rivoluzione delle pompe di calore urbane e interventi assai costosi sulle abitazioni nonché sulla gestione dei suoli agricoli promette di cambiare la vita di città e campagne. Con un immediato e pesante sacrificio per i portafogli della classe media. Una partita che, calcola Le Monde, per la sola Francia comporterà uno sforzo finanziario di 60 miliardi di euro per il solo anno prossimo. Ma sarà in grado Macron (o un suo successore) di portare avanti un impegno di questo genere? Non dimentichiamo i gilets jaunes ovvero la penultima esplosione giacobina dei vicini transalpini. Tutto cominciò allora con una tassa, peraltro leggera, sui carburanti agricoli con l’obiettivo di investire in benzine pulite."

Chissà perchè, leggendo l'articolo di Giavazzi ci frullava in mente questo passaggio dell'articolo di Chicco Testa sul Foglio del 14 luglio "I tabù dell'Europa verde":

"tutte le proposte avanzate dalla Ue latitano di studi approfonditi sulle conseguenze economiche. Incredibile ma vero. I vari dossier quasi mai presentano analisi esaurienti. Anzi spesso non ci sono proprio. E quando ci sono, sono redatte da società compiacenti che quasi mai ci azzeccano visto che dicono quel che la Commissione vuol sentirsi dire. Un po' come in Italia con gli studi sui benefici del super bonus 110 commissionati dai costruttori e sbugiardati dal Mef."

Sempre dallo stesso articolo di Testa (che di politici e intellettuali di sinistra se ne intende):

"Alla destra sono state fornite discrete occasioni per scatenare l'attacco con almeno due argomenti. I costi che la transizione europea implica per famiglie e imprese; la natura centralista e ultra prescrittiva di molte di queste misure che appoggiano su una sovranità europea invadente ed eccessiva.... accelerare accelerare accelerare. Posizionamento che non è solo dei gruppi ambientalisti più estremi, compresi gli imbrattatori di monumenti, ma anche di vari intellettuali e politici variamente orientati a sinistra."

Come rassegna stampa ci corre l'ingrato obbligo di servizio di far notare che lo scorso maggio le vendite in edicola del Corriere della Sera sono tracollate per l'ennesima volta, superando a fatica quota 130 mila copie. Anche qui: chissà mai perchè...

 

Alberto Cuppini

 

La Corte costituzionale tedesca ha accolto il ricorso contro la contestata legge sul riscaldamento, cavallo di battaglia degli ambientalisti al governo. Di fatto, Karlsruhe ha tirato un sonoro schiaffo in faccia alla svolta green e all’intero impianto ideologico-ambientalista dell’esecutivo. Un atto epocale. Sia politico, che economico. Alla base di questo intervento di supplenza politica della Consulta tedesca la notizia che l'AfD, partito dell'estrema destra, continua a salire nei sondaggi di un punto a settimana. In base all'ultimo è al 21%, consolidando il secondo posto. L'affermazione dell'estrema destra in Germania (e negli altri Paesi dell'Ue) deriva proprio dall'adozione di provvedimenti limitativi delle libertà decisi a raffica dalle istituzioni europee senza alcun preventivo dibattito tra le forze politiche e sui media, nella totale assenza, quindi, di ogni minima partecipazione democratica. A dar conto ai numerosi recenti episodi in diversi paesi europei, il vento a favore dei verdi sta cambiando drasticamente di direzione dopo che gli elettori hanno cominciato a fare i conti con i costi delle politiche di "transizione energetica" accelerata basata su pale eoliche disseminate ovunque.

 

Giovedì 6 luglio, nel silenzio dei giornaloni, abbiamo dovuto apprendere la notizia dal sito dell'Huffington Post, nell'articolo di Angela Mauro  "Scoppia la caldaia in casa Scholz. Governo in tilt dopo una sentenza della Corte di Karlsruhe":

"La Corte costituzionale di Karlsruhe ha accolto il ricorso presentato dal parlamentare della Cdu Thomas Heilman contro la contestata legge sul riscaldamento, cavallo di battaglia degli ambientalisti al governo che, per portarla avanti, hanno più volte rasentato la crisi con gli alleati liberali della Fdp, con i socialisti di Scholz nel difficile ruolo di mediazione. Ora la nuova normativa, che prevede che dall’anno prossimo gli impianti di riscaldamento dei nuovi edifici dovranno essere alimentati al 65 per cento da energia rinnovabile, finisce in stand by e rischia di essere rimandata a settembre... Il colpo è durissimo per la maggioranza, perché in gioco non c’è solo una delle norme di attuazione del Green deal, ma lo stato di salute politica di un’alleanza variegata, impegnata in laceranti e continue mediazioni interne e soprattutto assediata dall’ascesa delle destra nei sondaggi... C’è anche l’AfD dietro i ricorsi presentati a Karlsruhe contro la legge sul riscaldamento. Formalmente, l’azione è stata portata avanti da Heilman, che è anche presidente del dipartimento ‘Clima’ della Cdu e che insiste a dire che non vuole fermare la legge, ma avere il tempo di studiare i nuovi emendamenti presentati dal governo. Effettivamente, sostengono i giudici della Corte suprema, i parlamentari hanno avuto poco tempo per esaminare il contenuto del testo, arrivato al Bundestag solo venerdì scorso nella versione definitiva: oltre 100 pagine frutto dell’ennesima mediazione tra verdi e liberali."

Non si sa se è più clamorosa la notizia in sè o il fatto che i giornali italiani l'abbiano completamente ignorata. Se n'è accorto Mauro Bottarelli (uno che non le manda mai a dire), che a questo proposito ha scritto un articolo per il Sussidiario, pubblicato l'otto luglio, dal titolo "Il “risveglio” della Germania con un brutto spoiler per l’Italia", dove indica a chiare lettere la portata politica del provvedimento della Corte costituzionale tedesca:

"i togati teutonici hanno bloccato il voto previsto per la giornata di ieri e relativo alla messa al bando delle fonti fossili per i sistemi di riscaldamento. Di fatto, Karlsruhe ha tirato un sonoro schiaffo in faccia alla svolta green e all’intero impianto ideologico-ambientalista dell’esecutivo, da subito a forte componente Grunen. E lo fa con il Paese già in recessione, l’indice IFO della fiducia delle imprese a precipizio, il PMI manifatturiero a piombo e l’esiziale settore automotive messo in ginocchio proprio dalla svolta elettrica e dalla rivoluzione ESG. Tutto fermo. Per gli ermellini tedeschi, un argomento simile necessita di maggiore riflessione... Stranamente, i media del nostro Paese tacciono. Eppure, quando il 29 aprile 2021 la medesima Corte costituzionale tedesca bocciò parzialmente il Klimaschutzgesetz, la legge ambientale, del precedente Governo di coalizione ma a guida Cdu, dando parzialmente ragione alle istanze dei FridaysForFuture, la notizia finì dritta in prima pagina fra squilli di tromba. Oggi, silenzio. E invece, occorre parlarne. Tanto. E seriamente, appunto. Perché la Corte costituzionale tedesca ha letteralmente bypassato la politica, rendendosi conto dell’errore esiziale e seminale contenuto del Green New Deal della tedeschissima Ursula von der Leyen. Un peccato originale ideologico e tutto strumentale al greenwashing finanziario, ora potenzialmente in grado – stante i venti di recessione – di azzoppare del tutto la (fu) locomotiva industriale d’Europa. Un atto epocale. Sia politico, che economico. Perché Karlsruhe ha deciso che Berlino non era più in grado di capire la realtà, occupata com’era a tenere insieme con la colla una coalizione troppo eterogenea persino per la guida di un condominio. Oggi, 7 luglio 2023, la Germania ha aperto gli occhi. Chi non lo farà, è destinato a una fine decisamente ingloriosa. Deindustrializzazione."

Per combinazione (in realtà in tutta questa vicenda non c'è nessuna combinazione: si tratta solo di determinare, cercando di non sbagliare perchè ci sono in ballo le fondamenta stesse della civiltà europea, quali sono le cause e quali gli effetti del naufragio della politica) per combinazione, dicevamo, lo stesso giorno della notizia sull'HuffPost si poteva ritrovare un'altra notizia epocale su Italia Oggi nell'articolo di Roberto Giardina "Germania, AfD secondo partito":

"Sarà un'estate difficile per il governo a Berlino. L'AfD, partito dell'estrema destra, continua a salire, con regolarità verso la vetta, di un punto a settimana. In base all'ultimo sondaggio è al 21%, consolidando il secondo posto, a 4,5 punti dalla Cdu/Csu che scende dal 26% al 25,5%... Sui giornali si legge il monito: l'AfD è una minaccia per la democrazia. Ma non è il male, è il sintomo di un sistema che da tempo sembra paralizzato. I partiti democratici compiono scelte impopolari, quel che è peggio spesso sbagliate... Che fare? Marco Wanderwitz, cristianodemocratico, ex responsabile del Parlamento per le regioni dell'est, vorrebbe vietare l'AfD perché il partito non rispetta la Costituzione. Se questo è il consiglio di un esperto, la Germania rischia il disastro... all'est, i verdi sono odiati. Nel '21, il ministro all'economia, il verde Robert Habeck, è andato a Schwedt, all'est, dove veniva chiusa una raffineria dopo l'embargo contro la Russia, per convincere i lavoratori ad avere fiducia in lui. Lo hanno cacciato via. Nei giorni scorsi, a Eisenhuttenstadt, vecchio centro siderurgico della Ddr, hanno lanciato uova contro Annalena Baerbock (Copresidente dei verdi tedeschi assieme ad Habeck. NdR), ministra degli esteri."

Da tutto questo ricaviamo la conferma di una nostra impressione. Ecco come Sergio Giraldo aveva concluso il suo articolo sulla Verità del 30 giugno dal titolo "Germania e Polonia responsabili da sole di oltre la metà dell'inquinamento Ue":

"Il sentore è che questo cumulo di assurdità (il Green deal europeo. NdR) serva soprattutto al blocco industriale e finanziario tedesco per cambiare i propri modelli di business, a spese dei partner europei, e nel contempo stringere ancora di più le ganasce del vincolo esterno attorno agli Stati membri."

Possibile che a nessun altro, prima che Karlsruhe fosse sollecitata ad agire dalla crescita dell'AfD, fosse venuto il dubbio che andare a sindacare ogni santo giorno e senza chiedere niente ai cittadini interessati su come ci si scalda in casa propria, su dove e come si deve abitare, su come ci si sposta, su che cibo si mangia, su come lo si cucina, su come il paesaggio patrio si possa modificare a capriccio della speculazione eolica e fotovoltaica eccetera eccetera forse non è costituzionale? In realtà a qualcuno il dubbio era venuto. Per combinazione (...) appena due giorni prima della sentenza della Consulta, il 4 luglio, sul blog della Rivista Energia, il mite professor Alberto Clò, in modi e toni molto sobri, aveva preso a sprangate la "politica climatica" dell'Unione nel post "Verso le prossime elezioni europee: che aria tira?":

"Da un giorno all’altro le popolazioni europee sono venute a sapere delle decisioni del Consiglio e Parlamento che imponevano loro costosi obblighi da espletare in tempi relativamente rapidi – dal bando delle auto tradizionali in favore delle sole elettriche, all’efficientamento delle abitazioni, alla bando delle caldaie in favore delle pompe di calore – che si aggiungevano alle politiche di sostegno alle rinnovabili elettriche che continuano a comportare forti aggravi delle bollette. Provvedimenti decisi senza alcun preventivo dibattito, sia tra le forze politiche che sui media, nella totale assenza quindi di ogni minima partecipazione democratica... Sarà interessante vedere se gli elettori saranno favorevoli ad inseverire ulteriormente le politiche climatiche sin qua adottate o se cercheranno invece di contenere i sempre più alti costi della transizione energetica, a fronte peraltro di riduzioni delle emissioni globali del tutto marginali. A dar conto ai numerosi recenti episodi in diversi paesi europei, il vento a favore dei verdi sta cambiando drasticamente di direzione dopo che gli elettori hanno cominciato a fare i conti con i costi delle politiche ambientaliste."

Come al solito quando scrive il professore ex ministro dell'Industria, per noi resistenti sui crinali niente di sostanzialmente nuovo. Molto semplicemente Clò riconduce ad una sintesi tutte le incredibili mattane delle istituzioni europee, in fase di ubriacante accelerazione, avvenute "senza alcun preventivo dibattito, sia tra le forze politiche che sui media, nella totale assenza quindi di ogni minima partecipazione democratica", delineandone le possibili conseguenze politiche di breve termine. La sentenza di Karlsruhe rientra per l'appunto nell'ambito di tali conseguenze politiche. Eppure (anche se Clò si limita ad indicare il vero problema soltanto da lontano) della mancanza di "preventivo dibattito, sia tra le forze politiche che sui media" ben difficilmente possono essere incolpati solo l'Unione europea ed i suoi burocrati.

Le dissennatezze in materia "climatica" (con l'obiettivo della rinuncia, per parlarci chiaro, all'uso del fuoco in Europa entro il 2050) sono solo una parte delle follie epocali da addebitare alle nostre élite a cui abbiamo assistito in questi anni (soprattutto negli ultimi tre, dopo che ogni residuo di razionalità o di semplice senso del ridicolo era stato travolto dall'ondata di isterismo collettivo post operazione "Piccola Greta") in termini di distruzione della nostra cultura, dei nostri Stati e dei nostri popoli.

Proprio in questo contesto autodistruttivo si può collocare a pieno titolo il concetto, espresso in termini inequivoci in una sconcertante intervista a La Repubblica dalla neo presidente della Consulta Silvana Sciarra, della “supremazia del diritto Ue sugli Stati", che ci costringerebbe ad accettare l'inaccettabile quando "ce lo chiede l'Europa" e svuoterebbe di ogni significato le politiche nazionali e la nozione stessa de "La sovranità appartiene al popolo", con tutto ciò che segue (ovvero tutta la Costituzione italiana).

Ma anche ammesso che le cose stessero così come le interpreta la Sciarra, a maggior ragione non potremmo giustificare l'altolà alla "transizione ecologica" accelerata imposta dalla Corte costituzionale tedesca. A meno che non si voglia concludere, parafrasando la Fattoria degli Animali di Orwell, che:

"Tutti gli Stati dell'Unione Europea sono uguali, ma uno è più uguale degli altri."

 

Alberto Cuppini

 

 

 

 

 

 

Rassegna stampa sul crollo in Borsa delle azioni Siemens-Energy di venerdì scorso. La transizione energetica non è neutrale per i prezzi, nemmeno per quelli delle rinnovabili. Dopo le difficoltà dovute all’esplosione dei costi dell’acciaio e di altri componenti necessari alla costruzione delle turbine, l’ultima cattiva notizia riguarda i consumi delle componenti più rapidi delle attese e che impongono costose riparazioni. Nonostante la realtà cominci a mostrare tutti i limiti del Green deal, in Italia permane la mistica della transizione e si continuano a predisporre nuovi "stimoli" e nuove corsie preferenziali per installare pale eoliche persino nei posti più inverosimili. Tutti i grassetti nei testi sono nostri.

 

Venerdì sera il post di Giuliana Licini sul sito web del Sole 24 Ore "A Francoforte tonfo di Siemens Energy, ritira guidance a causa di Gamesa" è arrivato come un fulmine a ciel sereno

"Siemens Energy -36,9% crolla alla Borsa di Francoforte, dopo avere ritirato le sue previsioni di utile per l'esercizio 2023 a causa dei persistenti problemi di qualità della filiale spagnola Gamesa, che produce turbine eoliche... In seguito al “consistente aumento dei guasti dei componenti delle turbine eoliche, il cda di Siemens Gamesa ha avviato un’ampia revisione tecnica sulla flotta installata e sulla progettazione dei prodotti”. L’attuale situazione “suggerisce che per raggiungere il livello di qualità desiderato su alcune piattaforme onshore, sono necessari costi significativamente più alti del previsto. Le misure di miglioramento della qualità e i costi associati sono sotto esame e probabilmente supereranno 1 miliardo di euro”... Siemens Energy precisa che sono in revisione anche alcuni dei presupposti dell’attuale business plan in quanto non si stanno materializzando gli aumenti di produttività previsti... i maggiori costi di riparazione avranno probabilmente “un impatto sulla liquidità per diversi anni"... Secondo gli analisti di Citi, il warning giunto dal gruppo “suggerisce il persistere di importanti sfide operative fondamentali a breve e medio termine, che non riguardano solo una manciata di contratti” e non è chiaro quale sarà il costo totale per risollevare Siemens Gamesa".

Il post del Sole seguiva una raffica di lanci della Reuters nel pomeriggio di venerdì:

"Siemens Energy elimina le prospettive di profitto mentre i problemi delle turbine eoliche si approfondiscono".

"La crisi di fiducia degli investitori attanaglia Siemens Energy dopo la svendita record".

"Siemens affronta la svalutazione della quota di Siemens Energy dopo la svendita di venerdì".

"Le azioni di Siemens Energy crollano mentre i problemi delle turbine eoliche si aggravano".

Riportiamo qualche passaggio da quest'ultimo lancio della Reuters:

"L'ultimo problema delle turbine Siemens ha danneggiato ulteriormente la fiducia in un'industria che ha affrontato sfide di grandi dimensioni negli anni recenti, coni produttori di turbine impegnati ad affrontare costi crescenti delle materie prime, come l'acciaio, e una feroce concorrenza. Venerdì le azioni dei produttori europei di turbine eoliche Nordex e Vestas sono cadute accompagnando quelle della Siemens Energy, non appena i suoi guai hanno sollevato preoccupazioni sui problemi comuni a tutto il settore. I governi di tutto il mondo stanno stabilendo obiettivi climatici sempre più ambiziosi che richiedono il rapido sviluppo delle rinnovabili, inclusa l'energia eolica, che potrebbero essere difficili da conseguire entro i tempi previsti... Un analista della JPMorgan ha detto: "Il profit warning non è stata una completa sorpresa, ma quello che ci ha davvero sorpreso è stata la sua magnitudine"... I problemi "erano stati spazzati sotto il tappeto"."

Sabato mattina il solito Paolo Annoni de Il Sussidiario è stato il primo sui quotidiani italiani ad essere sul pezzo con l'articolo "Scenario inflazione/ Dalla rivoluzione green alla denatalità, le scelte che ci regalano nuovi rialzi":

 

"La rivoluzione energetica, tanto più se imposta a tappe forzate, è inflattiva perché comporta la ricostruzione da zero dell’intero settore energetico. Le “nuove” tecnologie hanno bisogno di investimenti colossali in nuove miniere che producono i metalli necessari alla rivoluzione. Uno dei principali produttori europei di turbine eoliche, Siemens energy, ieri è crollata in borsa di oltre il 30%. Dopo le difficoltà dovute all’esplosione dei costi dell’acciaio e di altri componenti necessari alla costruzione delle turbine, l’ultima cattiva notizia riguarda i consumi delle componenti più rapidi delle attese e che impongono costose riparazioni. La transizione non è neutrale per i prezzi, né nel breve periodo, mentre ci si scontra con i problemi di un settore relativamente giovane, né nel lungo perché si deve ricostruire da capo quello che ci sarebbe già con le “vecchie” tecnologie... Il comune denominatore è la superficialità con cui si sono presentante le sfide al grande pubblico confuso tra quello che succede nel breve periodo e i costi di lungo termine. Pensiamo agli abbattimenti dei capi di bestiame in Olanda per “ridurre le emissioni” o ai divieti della pesca a strascico al largo delle coste italiane che non possono non avere un effetto sul costo del cibo. I costi energetici imposti dalla transizione con l’entrata in scena di fonti non programmabili è un altro esempio. Il grande assente, in ogni caso, è il buon senso."

Domenica mattina abbiamo potuto leggere su La Verità la splendida analisi (non dico niente di nuovo) delle implicazioni del disastro della Siemens Energy fatta da Sergio Giraldo nell'articolo, che meritava da solo il costo del quotidiano, "Nemmeno il pasticcio eolico frena Gentiloni, che insiste: solo il green fa bene all'Italia":

"la compagnia sta registrando un tasso di guasto molto superiore al previsto... Siemens Energy ha anche comunicato di avere avviato una revisione del business plan poiché l'atteso aumento della produttività non si è visto. Il settore eolico è uno di quelli più colpiti dall'aumento dei costi delle materie prime e allo stesso tempo soffre per la complessità delle catene di fornitura allungate... Inoltre, fare competizione sui prezzi è molto difficile, perché costi bassi significano bassa qualità. Quando si parla di investimenti così importanti è necessario che il costruttore fornisca garanzie sull'affidabilità di impianti che, al netto delle manutenzioni programmate, devono funzionare senza seri problemi per almeno vent'anni... Nonostante la realtà cominci a mostrare tutti i limiti del Green deal, come ha rilevato persino la Corte dei Conti europea, in Italia permane la mistica della transizione... "Fare una battaglia per fermarla e rallentarla va contro gli interessi del Paese", ha sottolineato Gentiloni riguardo alla transizione green. A quanto pare, per rallentarla non serve alcuna battaglia, poiché vi sta provvedendo la realtà. Questa infatti, al contrario dell'inesistente bolla verde immaginata dai commissari europei, è fatta di leggi fisiche,vincoli concreti, costi, tempi, atomi di materia. Continuare a ripetere che questa trasformazione non si può fermare senza dire mai quanto costerà davvero significa mentire ai cittadini."

I quotidiani italiani specializzati nell'energia hanno aspettato lunedì, ma alla fine non hanno potuto fingere di ignorare la catastrofe che ha irrimediabilmente svelato il colossale bluff eolico. Così la Staffetta Quotidiana, che nella home page del suo sito web reca costantemente il logo dell'Anev, nell'articolo "Eolico, Siemens Energy verso svalutazione da 1 mld":

"Siemens Energy giovedì sera aveva comunicato al mercato di aver azzerato le sue previsioni di profitto per il 2023 dopo che una revisione della sua divisione di turbine eoliche Siemens Gamesa ha rilevato problemi più profondi del previsto che interessano fino al 15-30% degli oltre 132 GW di turbine installate in tutto il mondo. Affrontare tali problemi potrebbe costare più di 1 miliardo di euro, ha affermato, spiegando che si tratta di riparare difetti nelle pale del rotore e nei cuscinetti che potrebbero causare danni che vanno da piccole crepe a guasti dei componenti con necessità di sostituzione."

Da notare, come al solito, che nessuno dei giornaloni italiani (anche questa volta vorrei essere smentito) ha dedicato un titolo ad una notizia così importante, tale da compromettere - essa sola - la percorribilità della politica energetica della "decarbonizzazione integrale" imposta dall'Unione Europea negli ultimi tre anni, ovvero dalla proclamazione del "Green new Deal" (che scimmiottava nel nome una proposta dell'estremismo "liberal" americano) fatta dalla presidente Von der Leyen sull'onda emotiva dell'apparizione epifanica della "Piccola Greta".

Al contrario della stampa mainstream italiana, i quotidiani internazionali ne hanno dato grande risalto.

Ieri sulla prima pagina dell'Handelsblatt campeggiava il titolo "Gamesa-choc per Siemens Energy".

Sabato sul Financial Times si poteva leggere, nell'articolo "Siemens Energy prospetta l'arrivo di un conto da un miliardo di euro a causa della battuta d'arresto nelle turbine eoliche" che

 "Gli analisti della JPMorgan hanno detto che l'avvertimento è arrivato proprio quando ci raccontavano che "stando alle attese il peggio per l'industria eolica è ora dietro di noi", ma hanno aggiunto che i problemi tecnici sono un guaio anche per altri".

Sempre sabato su Le Figaro si leggeva nell'articolo "Turbine eoliche difettose: la Siemens Energy precipita":

"Un'accurata revisione tecnica interna dei parchi eolici ha rivelato risultati "molto peggiori di quanto avrei ritenuto possibile", ha riconosciuto Jochen Eickholt, capo di Siemens Gamesa. I problemi del gruppo riguardano componenti difettosi, principalmente relativi ai cuscinetti e alle pale del rotore delle turbine su impianti a terra."

Peggio ancora, lo stesso giorno, il resoconto del Wall Street Journal nell'articolo di Carol Ryan "Le turbine eoliche difettose mettono a repentaglio l'energia pulita":

"Il ventaccio che soffia contro le pale eoliche è diventato più forte... I componenti delle turbine eoliche della Siemens Gamesa si deteriorano più rapidamente del previsto. La notizia non è un colpo solo per gli azionisti dell'azienda, ma per tutti gli investitori che scommettono su un rapido passaggio alle energie rinnovabili... Ma ci sono anche problemi con le sue turbine offshore, che non stanno raggiungendo gli obiettivi di produttività a causa di costi in ascesa per i materiali e ritardi di costruzione... Un rischio per gli investitori è che gli stessi difetti possano saltar fuori per altri produttori di turbine eoliche come risultato di catene di fornitura condivise. Un difetto fondamentale di design è una possibilità persino più preoccupante. I produttori sono stati sotto pressione per realizzare turbine eoliche più grandi e più potenti e potrebbero avere spinto la tecnologia oltre i suoi limiti... Il rischio per i maggiori produttori mondiali, che già prima stavano lottando per garantirsi un profitto, è che la promettente parte del loro business eolico relativa alla manutenzione si possa trasformare in un vento contrario. Per tutti gli altri, rappresenta un ulteriore ritardo nell'arrivo dell'energia pulita."

Il tracollo in Borsa della Siemens-Gamesa ha spiegato meglio di mille articoli perchè mai gli speculatori dell'eolico, nonostante l'esplosione dei prezzi dell'energia elettrica, stessero di nuovo spudoratamente bussando a denari per nuovi sussidi  ed ha confermato altresì la correttezza dell'analisi del professor Alberto Clò sugli insormontabili ostacoli delle "rinnovabili" non programmabili che si andavano concretizzando, sebbene a Bruxelles si preferisse chiudere gli occhi per non vederli.

Usque tandem Ursula?

 

Alberto Cuppini

 

Le "rinnovabili" elettriche bussano (ancora) a denari. Si conferma una volta di più che tutto l'interesse dei rinnovabilisti non è nella "Salvezza del Pianeta" ma nei sussidi pubblici. Di riflesso si conferma che la causa del disastro sono gli "obiettivi climatici" assurdamente alti, tali da giustificare tutto, sia in termini di costi per la collettività che in termini di "semplificazioni" delle normative di tutela ambientale e paesaggistica. Di riflesso al riflesso si conferma che l'esplosione della bolla speculativa degli "investimenti" in rinnovabili sarà determinata dalla insostenibilità della Greenflazione, che ha appena appena cominciato ad appalesarsi a danno dei portafogli degli europei.

 

 

Le "rinnovabili" elettriche bussano (ancora) a denari.

Sia in Italia (dove si conferma che il PD è il capofila nell'assalto alla diligenza) che in Europa, dove la parola magica per aumentare i sussidi pubblici (ma senza chiamarli così, per carità) adesso è "Cfd".

Per un assaggio delle (miserabili) brighe italiane consigliamo l'articolo comparso martedì su Il Secolo XIX a firma Francesco Margiocco sotto l'esplicito titolo "Italia avara di incentivi per le rinnovabili".

Ne raccomandiamo la lettura integrale sul sito web del quotidiano genovese del gruppo GEDI (come La Stampa e La Repubblica), dove troviamo scritto:

"Il senatore del Pd Lorenzo Basso, a proposito dell’ultima gara Gse poi andata semi-deserta, aveva chiesto, il 4 aprile, con un’interrogazione al ministro Pichetto Fratin, di rivedere al rialzo la tariffa. Non ha avuto risposta."

E ci mancherebbe solo che, dopo l'esplosione apocalittica dei costi energetici, l'avesse avuta! Il PD vorrebbe che l'attuale governo continuasse a finanziare le sue clientele, a cui ha contribuito ad assicurare ben oltre 200 miliardi di euro di "incentivi", una parte dei quali dovrà continuare ad essere elargita ancora nel prossimo decennio. Pichetto Fratin sa benissimo che l'anno prossimo, con il nuovo Parlamento europeo e dopo la punizione elettorale che attende i fiancheggiatori dell'estremismo "green", le regole del gioco cambieranno: si tratta solo di far buon viso a cattivo gioco per altri dodici mesi e soprattutto, nel frattempo, tenere il portafoglio ben chiuso. 

In Europa i lobbysti operano a un livello un po' più raffinato, tramite l'ultimo Abracadabra: i Cfd, appunto. Leggiamo dall'articolo "Europa divisa su nucleare e carbone" di Sergio Giraldo su La Verità di martedì che cosa prevede il nuovo, ennesimo regolamento UE (il grassetto è nostro):

"I Cfd sono contratti di lungo termine per grossi quantitativi tra i produttori di energia e le compagnie di vendita oppure grandi clienti consumatori. Viene fissato un prezzo che si confronta con il mercato spot giornaliero e ci si scambiano le differenze monetarie tra prezzo fisso contrattuale e prezzo spot. Nel regolamento proposto, i produttori interessati dal meccanismo saranno i nuovi impianti a fonte rinnovabile, mentre l'acquirente è lo Stato membro, che comprando l'energia a prezzo fisso riconosce un sostegno diretto al produttore (di fatto si tratta di un incentivo)."

Stiamo parlando di qualcosa che richiama sinistramente alla mente dei veterani della lotta alla speculazione eolica il disastroso sistema dei certificati verdi, che infiniti addusse lutti alle bollette degli italiani, ma questa volta imposto per il tramite del solito onnipotente "regolamento" UE.

La necessità di nuovi "incentivi" pubblici è l'implicita ammissione degli insormontabili ostacoli delle "rinnovabili" in termini di costi (in tendenziale aumento) e ricavi (in tendenziale diminuzione). Consigliamo a questo proposito l'attenta lettura dell'articolo del 7 giugno del professor Alberto Clò sul sito web della rivista Energia dal titolo "3 ostacoli delle rinnovabili":

"Staticità della penetrazione elettrica nei consumi finali di energia, prezzi negativi sempre più frequenti, bassa redditività sono tre ostacoli che si frappongono al pieno dispiegamento delle fonti che si vorrebbero in grado si sostituire le fossili in tempi sostanzialmente brevi: solare ed eolico."

Niente di nuovo per i resistenti sui crinali, ma adesso Clò presenta dei dati aggiornati che confermano le sue (facili) previsioni sul flop delle attese miracolistiche su pale e pannelli: la retorica ambientalista propalata dagli speculatori dell'eolico e del fotovoltaico non regge al confronto con la realtà, come peraltro appariva già facilmente prevedibile a tutti noi.

Con l'iper-attivismo delle lobby in questi ultimi mesi, si conferma una volta di più che tutto l'interesse dei rinnovabilisti non è nella "Salvezza del Pianeta" ma nei sussidi pubblici. Di riflesso si conferma che la causa del disastro sono gli "obiettivi climatici" assurdamente alti, tali da giustificare tutto, sia in termini di costi per la collettività che in termini di "semplificazioni" delle normative di tutela ambientale e paesaggistica. Di riflesso al riflesso si conferma che l'esplosione della bolla speculativa degli "investimenti" in rinnovabili (ed il conseguente abbandono dei suddetti "obiettivi climatici" assurdamente alti) sarà determinata dalla insostenibilità della Greenflazione, che ha appena appena cominciato ad appalesarsi a danno dei portafogli degli europei.

Europei che, nel giugno del prossimo anno, avranno la possibilità di esprimere la propria insoddisfazione, che i sondaggi già lasciano intuire, alle urne in occasione del rinnovo del Parlamento europeo. E un altro anno di diktat imposti dagli invasati di Bruxelles (ben consapevoli dell'incombente crepuscolo degli Dei), con il corollario di obblighi, sanzioni, divieti, ispezioni, costi, recessione, decrescita infelice e quant'altro (compresi gli sfregi paesaggistici), non passerà invano.

 

Alberto Cuppini

Il Corriere della Sera: "Il declino del Paese non visto. Uno scheletro fragile. Fermare questo declino, o almeno rallentarlo, è vitale anche per l'amministrazione del territorio nazionale." Ma prima di chiedersi che cosa si può fare sarebbe propedeutico affermare a chiare lettere che cosa NON si può fare per evitare di trasformare la montagna romagnola (e di tutt'Italia) in un deserto: piantare pale eoliche a casaccio su quei fragilissimi crinali, su cui da anni incombe la speculazione eolica, finora contrastata solo dai comitati a cui il governo Draghi ha tolto le (poche) armi a disposizione per difendersi.

 

In prima pagina del Corriere della Sera del 31 maggio è comparso l'articolo di Antonio Polito "Il declino del Paese non visto", che sottotitola: "Uno scheletro fragile. Fermare questo declino, o almeno rallentarlo, è vitale anche per l'amministrazione del territorio nazionale" e ancora:  "Una catena ininterrotta di quattromila comuni, circa la metà del totale, i cui nomi ci diventano spesso familiari solo in occasione di un terremoto o di un’alluvione, coprono quasi il 60% della superficie nazionale ma ospitano solo il 23% della popolazione".

Il declino della montagna porta spopolamento, spiega l'articolo; lo spopolamento ulteriore declino. Non è certo una novità. Polito aggiunge però una osservazione non banale:

"Ma c’è un pregiudiziale aspetto di governance che spesso sfugge. Meno popolazione vuol dire infatti meno elettori, e meno voti significano meno attenzione della politica, dunque anche meno finanziamenti. Di questo passo nessuno farà mai ciò che serve perché non è abbastanza remunerativo in termini di consenso. C’è un serio problema di rappresentanza di questi territori, dove anche i parlamentari sono scelti altrove... Senza voce in capitolo, queste popolazioni sono state private di potere democratico e di forza di pressione."

Tutto molto giusto e tutto molto bello. Però c'è un però.

I fiumi romagnoli che hanno provocato l'alluvione di maggio sono stati molti. I principali (da ovest a est) sono stati: Savena, Idice, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone, Montone e Savio. Nessuno finora lo ha fatto notare, ma tutti questi fiumi hanno un particolare in comune: su tutti (TUTTI) i crinali appenninici da cui questi fiumi discendono erano stati proposti impianti eolici di dimensioni colossali per... salvare il Pianeta! Spesso e volentieri i progetti riguardavano il crinale spartiacque con la Toscana. Tutti questi progetti finora sono stati bloccati dalla vigorosa azione dei comitati anti-eolici, che hanno affrontato a mani nude e spesso senza il becco d'un quattrino le possenti forze della speculazione eolica, in grado di "condizionare" gli amministratori locali disperatamente in bolletta: ne siano testimonianza i post sul vecchio e glorioso sito della Rete della Resistenza sui Crinali e l'elenco dei comitati della Rete.

Finora la resistenza delle popolazioni tosco-romagnole aveva premiato. La scellerata opera di "semplificazioni" voluta in particolare dal governo Draghi" ha privato queste popolazioni, per dirla con le stesse parole di Polito, del residuo "potere democratico" e della già misera "forza di pressione".

Proprio così è stato approvato a spallate dal governo uscente il progetto al Giogo di Villore, situato in provincia di Arezzo ma collocato sulla linea del crinale tosco-romagnolo, che dalla parte della provincia di Forlì incombe, guarda un po', proprio sulle martoriate vallate del Lamone e del Montone. L'impianto del Giogo di Villore, sia detto per inciso, è stato voluto fortissimamente voluto dal PD contro ogni evidenza e contro il parere della Sovrintendenza, ignorato dal governo Draghi.

Più in generale il PD, del cui gruppo parlamentare Antonio Polito ha fatto parte nella sua parentesi da uomo politico, ha fatto della "giustizia climatica" e delle ricette delle Cop Onu e del IPCC, del gretismo e delle politiche ambientali suicide dell'Unione europea un articolo di fede ben prima dell'avvento alla segreteria del partito della pasionaria "emiliana-romagnola" Schlein. Le popolazioni romagnole ne pagano oggi le conseguenze.

I fatti stanno dunque dando ragione ai comitati della Rete della Resistenza sui Crinali. Con i 200 miliardi ( ! ) già graziosamente elargiti, in pochi anni, in incentivi alle "rinnovabili" elettriche, si sarebbe potuto mettere in sicurezza, in quegli stessi anni, non solo la Romagna ma tutto il territorio nazionale.

Adesso Polito scrive:

Ha piuttosto senso chiedersi che cosa si può fare affinché le aree interne, della Romagna e di tutta l’Italia, non diventino un deserto, come sta accadendo ormai da tempo.

Prima di chiedersi che cosa si può fare sarebbe propedeutico affermare a chiare lettere, senza se e senza ma, che cosa NON si può fare per evitare di trasformare la montagna romagnola (e di tutt'Italia) in un deserto: piantare pale eoliche a casaccio su quei fragilissimi crinali.

 

Alberto Cuppini

 

 

Il Sole: "Dai Consorzi di bonifica è stato presentato un piano decennale per costruire 10mila invasi in tutta Italia". La proposta ricalca quella di Italia Nostra del 2017, prima richiesta e poi ignorata dal ministero dello Sviluppo. Sei anni trascorsi nell'inerzia tranne la semina di pale eoliche e pannelli fotovoltaici a casaccio da tutte le parti. Intanto la proverbiale "buona amministrazione" emiliana (e bolognese in particolare) ha subito uno sfregio, peraltro ben meritato, difficilmente cancellabile. Mentre la nuova leader del loro partito vince le primarie sproloquiando di "giustizia climatica" per tutto l'Universo Mondo, il governatore Bonaccini e il sindaco Lepore non riescono neppure a scavare gli invasi e ad allargare gli argini dei fiumi di loro competenza per evitare una catastrofe biblica di fronte ad un paio di giorni consecutivi di pioggia nemmeno troppo intensa.

 

Dall'articolo di Micaela Cappellini sul Sole 24 Ore di oggi "Cinque invasi insufficienti per fronteggiare l'emergenza scattata in Emilia-Romagna":

"gran parte dell'acqua caduta tra lunedì e martedì è andata persa: dopo l'alluvione, rischiamo di dover fare lo stesso i conti con la siccità; per questo è necessario procedere con il piano Laghetti. Proposto l'anno scorso dalla Coldiretti insieme con l'Anbi (l'associazione nazionale dei consorzi di bonifica), il piano prevede la realizzazione entro il 2030 di 10mila invasi medio-piccoli, con l'obiettivo di incrementare del 60% l'attuale capacità complessiva dei 114 serbatoi esistenti. Oltre 223 invasi sarebbero anche immediatamente cantierabili: di questi, il numero più alto, cioè 40, sarebbe proprio in Emilia-Romagna. "Il piano Laghetti che proponiamo al Paese parte da due esigenze: non lasciare nessuno senza acqua e tutelare il territorio dalle calamità alluvionali - spiega il presidente dell'Anbi, Francesco Vincenzi - questo progetto ha un fabbisogno di circa 900 milioni all'anno per dieci anni, e consentirebbe di aumentare dall'11 al 35% la capacità di trattenimento dell'acqua piovana".

 

Per capire meglio: 900 milioni all'anno per 10 anni fa 9 miliardi in totale. 9 miliardi di euro, negli scorsi anni, non sarebbero bastati neppure a coprire per nove mesi i costi degli incentivi alla produzione erratica di energia elettrica da eolico e fotovoltaico, che tanti danni al sistema elettrico italiano e tanti aggravi nella bolletta degli italiani ha provocato.

Il piano decennale proposto dai consorzi di bonifica ricalca la proposta presentata da Italia Nostra a suo tempo (nel 2017: si parla ormai di sei anni trascorsi nell'inerzia tranne la semina di pale eoliche e pannelli fotovoltaici a casaccio da tutte le parti) al ministero dello Sviluppo Economico.

Appare significativo che nell'articolo del Sole tutto l'interesse sia concentrato sulla laminazione delle piene e venga trascurato il ritorno economico a vantaggio della collettività della messa a disposizione di nuove ingenti masse idriche. In particolare manca qualsiasi accenno alla possibilità che si aprirebbe di riservare in modo esclusivo i grandi invasi montani già esistenti alla produzione di energia idroelettrica.

Questa volta il collasso del sistema regionale emiliano-romagnolo della gestione delle acque è stato enorme ed altrettanto enorme l'ondata emotiva che ne è seguita in tutt'Italia. Mentre vastissimi territori dell'Emilia Romagna - e del bolognese in particolare - venivano sommersi dal fango, l'amministrazione del presidente della Regione Stefano Bonaccini, recentemente trombato alle primarie PD dalla sua stessa vice in Regione Elly Schlein, e quella del sindaco e presidente della Città Metropolitana di Bologna ("La città più progressista d'Italia") Matteo Lepore venivano ricoperte da una sostanza di consistenza analoga ma assai più maleodorante. La proverbiale "buona amministrazione" emiliana (e bolognese in particolare), che sta diventando ogni giorno che passa sempre più un proverbio e sempre meno una realtà fattuale, ha subito uno sfregio, peraltro ben meritato, difficilmente cancellabile. Mentre la nuova leader del loro partito vince le primarie sproloquiando di "giustizia climatica" per tutto l'Universo Mondo, Bonaccini e Lepore non riescono neppure a scavare gli invasi e ad allargare gli argini dei fiumi di loro competenza per evitare una catastrofe biblica di fronte ad un paio di giorni consecutivi di pioggia nemmeno troppo intensa.

Ma non tutti i mali vengono per nuocere. L'università di Bologna dovrebbe essere in prima fila a battere il ferro finchè è caldo per ridefinire in termini razionali le priorità ecologiche (ed economiche) del Paese nei prossimi anni e, soprattutto, per riscattare una pessima fama di conformismo verso tutte le più strampalate mode intellettuali provenienti dalle università "liberal" americane.

L'università di Bologna, infatti, ha fin qui rappresentato la roccaforte italiana della vulgata mainstream, dell'infallibilità delle Cop Onu e del IPCC, del gretismo e delle politiche ambientali suicide dell'Unione europea. Appartengono proprio all'Università di Bologna la maggior parte dei firmatari degli appelli, il cui capofila è Vincenzo Balzani, che garantiscono nel nostro Paese ormai da più di un decennio autorevolezza scientifica, culturale e intellettuale alle peggiori corbellerie "verdi" e, di conseguenza, ai peggiori disastri che nel frattempo sono stati realizzati dalla politica energetica nazionale ed europea.

Il governatore Bonaccini dovrebbe ormai avere capito che chi di sardina ferisce, di sardina perisce.

 

Alberto Cuppini

 

Un atto di accusa contro le facilonerie "green": per la totale decarbonizzazione del sistema energetico italiano occorrerà una drastica riduzione della domanda.

 

 

Questa mattina abbiamo letto, con attonito stupore, l'articolo, annunciato già in prima pagina del Quotidiano Energia, “Transizione impossibile senza una drastica riduzione dei consumi”:

"Studio Cnr-Aspo sul sistema elettrico italiano: “Necessari aumento del 150% delle Fer, accumuli di breve periodo per 480 GWh e stagionali per 30 TWh e azioni lato domanda”... Per la totale decarbonizzazione del sistema energetico italiano occorrerà una drastica riduzione della domanda. E’ la conclusione cui giunge uno studio redatto dall’Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr in collaborazione con Aspo Italia".

 

Un atto di accusa contro le facilonerie "green" e una contorsione degna di un fachiro indiano per il QE, che senza vergogna ammette di essere "media partner" nelle iniziative "rinnovabiliste" e che fino all'altro ieri titolava: “Transizione impossibile senza semplificazioni”, onde permettere la distruzione delle tutele ambientali e paesaggistiche per favorire (soprattutto) la speculazione eolica, come gli amici mugellani - tanto per fare un esempio - hanno ben capito.

Un articolo che, tradotto in soldoni (e scusandomi per la volgarità, che pure è talvolta necessaria per trattare di idee talmente grossolane), suona così: "Finora sulla transizione vi abbiamo raccontato un fracco di balle".

“Transizione impossibile senza una drastica riduzione dei consumi” significa: “Transizione impossibile senza decrescita” ovvero: “Transizione impossibile senza ripiombare nella miseria atavica”, da cui gli italiani sono usciti grazie alla libera disponibilità di fonti di energia a buon mercato garantite dall'ordine mondiale scaturito dalla seconda guerra mondiale e dalle felici decisioni dei padri fondatori dell'UE, progressivamente dimenticate dai loro indegni successori.

Raccomandiamo di leggere tutto l'articolo del QE e consigliamo la lettura del report Cnr-Aspo Italia sugli scenari "tutto rinnovabile" per la transizione energetica, disponibile on line, che così conclude, nelle edulcorate parole dell'articolo del QE:

 

"La transizione comporterà insomma nei prossimi decenni la realizzazione, gestione, manutenzione e periodica sostituzione di una grande infrastruttura energetica, la cui sostenibilità in termini economici e finanziari "deve essere approfondita".

 

Sì. Lo ammettiamo anche noi: qualche approfondimento appare necessario. Gli apprendisti stregoni si sono improvvisamente resi conto di averla combinata grossa, e ora cercano di correre ai ripari.

Ha gioco facile Maurizio Belpietro nel fare dell'ironia in prima pagina de La Verità di oggi: "Scoprono i disastri del green quando è troppo tardi":

"Il Sole non fa presto e scopre ora le follie green. All'improvviso anche i giornaloni hanno scoperto l'acqua calda, ovvero che la svolta green costa".

E costa, aggiungiamo noi, in modi del tutto intollerabili. Belpietro fa riferimento al Sole 24 Ore di ieri, sulla cui prima pagina campeggiava il titolo "Svolta green, costi fuori controllo":

 

"Politiche europee. Dopo le mosse su case e auto, riforma emissioni e dazio su importazioni inquinanti. In arrivo nuovi oneri su immobili, carburanti, industria e agricoltura. A passo spedito verso l'adozione "della più grande legge sulla protezione del clima di tutti i tempi". La Ue ha dato l'ok a nuove misure per la transizione... con il rischio che i costi (economici e sociali) della transizione vadano fuori controllo."

 

Le conseguenze politiche sarebbero ovvie. Ce le spiega molto bene su Il Foglio di oggi Chicco Testa, alla fine dell'articolo (tutto da leggere), "Tasse ambientali", che sottotitola: "L'Ue riforma il mercato delle emissioni e il dazio sul carbonio. Nuovi pesi per i più deboli":

 

"Diversi esponenti politici cominciano a pensare che queste misure avranno un peso decisivo nelle prossime elezioni europee. E rischiano di penalizzare fortemente proprio i principali sostenitori di queste misure: sinistra e popolari. E cominciano i mal di pancia. In effetti la sottovalutazione da parte della sinistra degli effetti economici sui ceti sociali che dovrebbero essere (ma non sono, ormai da molti anni. NdR) il suo riferimento elettorale appare alquanto stravagante. A meno che non sia vero che essa si è ormai rinchiusa all'interno delle Ztl."

 

Ancora più esplicito, tra i tanti servizi che ieri il Sole ha dedicato all'argomento, il corrispondente da Bruxelles Beda Romano nella conclusione del suo articolo "Dazi ambientali, case, auto, certificati: svolta green Ue con costi alti":

 

"Il PPE non vuole che il tema ambientale diventi una nuova arma politica nelle mani dei partiti più radicali, da aggiungersi alla questione migratoria. In questo senso, oltre a sottolineare i suoi sforzi per allentare la stretta ambientale, il Ppe non nasconde di volere siglare un qualche accordo politico con l'Ecr, prima o dopo il voto della prossima primavera."

 

A buon intenditor poche parole. Si tratta ora di stabilire se è solo il quotidiano confindustriale ad essere pronto a buttare in mare la Sinistra alle prossime elezioni europee oppure se il Sole è l'apripista dei giornaloni italiani che cercano di riposizionarsi per evitare di andare a fondo, travolti dallo tsunami della "Greenflazione" imposta dall'UE.

 

Alberto Cuppini  

 

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti