E’ di pochi giorni fa la notizia che i soci del circolo di Legambiente di San Bartolomeo in Galdo (Benevento) sono stati costretti a uscire dall’associazione alla quale erano affiliati da molti anni perché hanno osato opporsi all’istallazione nel loro territorio di un ennesimo impianto di aerogeneratori industriali, alti quasi 200 metri. La società Edelweiss Power alla quale si deve il progetto, nella lettera in cui chiede ai dirigenti di Legambiente la testa dei responsabili, parla con sdegno dell’accanimento anti eolico del piccolo circolo ambientalista campano, definendolo “ tipico della posizione nimby che tutti noi combattiamo strenuamente”. Immagino, tra parentesi, che questa strenua battaglia sia portata avanti dai non meglio definiti “tutti noi”… senza secondi fini e interessi personali. 

Da dove viene il latte? Non è infrequente sentirsi rispondere: "Dal supermercato, ovviamente!". Sembra che il ruolo della mucca nella catena di approvvigionamento sia spesso trascurato. Analogamente se qualcosa viene prodotto in Italia o in Europa da dove provengono le materie prime, i minerali e i metalli? Troppo spesso la risposta é "da un paese straniero" e, di solito, uno con un’etica ambientale qualitativamente inferiore alla nostra.

Siamo stati abituati a sentirci spiegare l'importanza dell'indipendenza energetica, ma oggi questo significa indipendenza dalle materie prime. Ma qualcosa sta per cambiare: la Commissione Europea ha recentemente affermato che abbiamo l'obbligo morale di aprire nuove miniere.

Pare quindi che la Commissione intenda dare il giusto merito alle mucche che producono il nostro latte riconoscendo che l'industria mineraria rende possibile la nostra vita quotidiana. Dopotutto, se non può essere coltivato, deve essere estratto e, come dettano le leggi delle catene di approvvigionamento, possiamo farcela qui solo se le estraiamo qui.
 

 

Nel recente vertice dell'Alleanza europea delle materie prime la Commissione ha nuovamente ribadito la propria consapevolezza sulla vulnerabilità delle nostre catene di approvvigionamento e la necessità di intraprendere misure efficaci per evitare che tali dipendenze possano rappresentare un rischio per le ambizioni europee di raggiungere i traguardi del Green Deal.

Viene ribadito, per l’ennesima volta, come “Gli elementi delle terre rare sono essenziali per produrre magneti permanenti utilizzati in ecosistemi industriali chiave come le energie rinnovabili, la mobilità elettrica, lo spazio e la difesa. Il 95% dei veicoli elettrici utilizza magneti permanenti e la vendita di veicoli elettrici è alle stelle. Le turbine eoliche contengono in media 600 kg di magneti permanenti per megawatt. L'UE si affida per il 98 per cento a un unico paese per la fornitura di elementi di terre rare, la raffinazione delle terre rare e il riciclaggio dei magneti: la Cina.”

Ma la dipendenza dalla Cina coniugata alla pressoché inesistente catena del valore comunitaria dei metalli critici sono ormai cose note.

La vera novità è costituita da quanto segue: “la nostra crescente domanda di materie prime critiche non può essere soddisfatta senza considerare l'approvvigionamento interno.

Che tradotto significa aprire nuove miniere in Europa.

Ma la Commissione si spinge oltre dichiarando che l’UE ha l’obbligo morale di affrontare l’estrazione mineraria sostenibile e che non è più possibile “importare materie prime da miniere lontane dalle nostre case e chiudere comodamente gli occhi su come sono state prodotte.”

E' giunto il momento di essere onesti e di assumerci noi stessi maggiori responsabilità.”

Quindi per sostenere la svolta verde l’Europa ha bisogno di aprire nuove miniere. Pertanto l'Europa torna su sui passi e, dopo aver trascorso l'ultimo trentennio a smantellare il suo passato minerario, scopre che per risolvere l’annoso problema delle materie prime critiche, i metalli indispensabili per la sua transizione energetica e per le tecnologie del futuro, il cui impiego crescerà in modo esponenziale, per i quali siamo troppo dipendenti dall’estero (e spesso da veri e propri Paesi “canaglia”), è necessario un "ritorno al passato".

 

Associazioni ambientaliste o colonialiste?

 

L’Unione Europea promuoverà progetti estrattivi sul territorio, ma le miniere avranno “i più alti livelli di standard ambientali. E quando dico i più alti, intendo i migliori del mondo”, assicura Šefčovič, “Sappiamo quanto questo è importante per avere l’appoggio delle comunità locali, che spesso si oppongono all’avvio dell’attività estrattiva”.

Un'inedita concordia contro le peggiori follie della decarbonizzazione in Europa già nel 2050. La Cgil: Le fonti rinnovabili da eolico e solare oggi coprono solo il 16% della nostra produzione elettrica e la loro discontinuità, non avendo ancora risolto il problema dello stoccaggio con le batterie, è fonte di problemi di stabilità per le reti di distribuzione. Come affrontiamo la transizione energetica, se vogliamo elettrificare tutti i consumi del Paese in queste condizioni? il Governo su questo versante non decide o fa scelte sbagliate, spesso condizionate da astratta ideologia con poca attenzione alla pragmaticità che servirebbe per garantire almeno gli assetti attuali del tessuto industriale del Paese. I costi sociali di una transizione energetica ‘non giusta' rischiano di essere drammatici, non solo per le centinaia di migliaia di lavoratori dei settori interessati, ma per tutti i cittadini del Paese su cui si scaricherebbero i costi altissimi di scelte sbagliate. Le aziende energivore della Confindustria: Il percorso di decarbonizzazione sia concreto ed eviti di disperdersi in un inutile esercizio di comunicazione ideologica, che spinge i titoli delle aziende energetiche quotate, ma rischia di compromettere l'economia reale della manifattura. Speriamo che la presenza lobbystica di Enel non guidi uno sviluppo infrastrutturale privo di attenzione a fatti reali. Gli insostenibili aumenti dei prezzi del gas dimostrano infatti come un percorso mal calibrato delle politiche energetiche europee e nazionali comporti danni al sistema manifatturiero irreversibili, e al contempo non produca effetti positivi per la salute della terra, su cui l'Europa pesa solo per il 9%.

 

 

Sembra quasi uno scherzo. Benito Mussolini ne sarebbe entusiasta. Il suo sogno, mai realizzato nei fatti, di creare un regime corporativo, in cui aziende e lavoratori avrebbero superato in modo armonioso sia il brutale sfruttamento capitalistico che i conflitti di classe in nome del superiore interesse della Nazione, si sta concretizzando. Cgil e Confindustria, per la prima volta nella storia d'Italia, sono del tutto concordi contro un nemico comune. Chi è stato capace di realizzare cotanta impresa? Facile: la presidente della Commissione Ue Von der Leyen, prima con lo sciamannato "European Green New Deal" e poi con la sua decisione, finalizzata a cavalcare l'isteria di massa generata dall'operazione mediatica globale "Piccola Greta", di fare dell'Europa il primo continente "climaticamente neutro" entro il 2050.

L'innesco della crisi esplosiva dell'energia, che ha esasperato le vittime di una gravissima degenerazione già in atto, è stata la nuova legge UE sul clima, che ha trasformato l'impegno politico del Green Deal europeo per la neutralità climatica entro il 2050 in obbligo vincolante. La normativa aumenta l'obiettivo di riduzione delle emissioni dell'UE per il 2030 dal già velleitario ed autolesionista 40% al 55%. L'ufficio stampa di Strasburgo ha così commentato la decisione del 24 giugno scorso:

"Il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge sul clima, concordata informalmente con gli Stati membri in aprile. Questa decisione darà ai cittadini e alle imprese europee la certezza giuridica e la prevedibilità di cui hanno bisogno per pianificare per la transizione decisa con il Green Deal europeo".

L'ufficio stampa ha però evitato di aggiungere, chissà perchè, che questa stessa decisione ha dato la certezza giuridica e la prevedibilità di cui hanno bisogno anche gli speculatori sull'energia elettrica e le materie prime ed i nostri concorrenti, per meglio pianificare immensi guadagni sui mercati (in particolare quello degli ETS) e la distruzione dell'economia europea. I giornali americani, divertiti da tanta insipienza, parlano di One-Way Bet. Gli effetti sono stati consequenziali e immediati: disastri economici continentali, fin da ora difficilmente riassorbibili.

In Italia i primi a rendersene conto, nel colpevole silenzio degli organi di informazione, sono stati, assieme, i sindacati operai e gli industriali energivori. Le loro reazioni sono state decise - anche se forse non abbastanza - ed i toni ed i concetti da loro usati - e financo il lessico - curiosamente simili.

Cominciamo ad esaminare la reazione a queste follie "verdi" del sindacato Filctem-Cgil. Già avevamo imparato a conoscerlo ed apprezzarlo qualche mese fa, in occasione di un primo, durissimo scontro sulla transizione energetica tra la Sinistra dei salottini e la Sinistra delle fabbriche.

Allora il sindacato dei lavoratori della chimica, del tessile, dell'energia e delle manifatture aveva fatto abbassare le orecchie alla Castellina ed alla Muroni, convinta, forse, di avere a che fare col solito comitato di innocui cittadini contro l'eolico, da bullizzare senza rischi di replica, in quanto regolarmente tacitati dagli organi di informazione. 

Riportiamo perciò, senza alcun commento, questo recente comunicato stampa (i grassetti sono nostri) della Filctem:

 

Se la stampa, ed in primis il Sole, rinuncia a fare il proprio dovere di fornire alla cittadinanza una corretta informazione sull'esplosione dei prezzi delle materie prime, ed in particolare quello del gas naturale, provocata dalle deliberate e scelleratissime scelte politiche dell'Unione Europea, il disastro è destinato ad accentuarsi. Ma per cambiare, e per condurre con efficacia la lotta ai cambiamenti climatici, sono necessari uomini nuovi. Uomini non compromessi con l'ideologia delle rinnovabili salvifiche. Nella politica, nelle istituzioni, nell'economia, nell'università, nelle organizzazioni ambientaliste e nella stampa.

 

 

Nel recentissimo post sul sito della Rete della Resistenza sui Crinali, avevamo ironizzato sul fatto che in Italia, trattando di politiche energetiche, i quotidiani mainstream per mesi avevano ignorato il disastro dell'esplosione dei prezzi all'ingrosso delle materie prime, ed in particolare quello del gas naturale, provocata dalle deliberate e scelleratissime scelte politiche dell'Unione Europea. I giornaloni italiani, tutti sostenitori della nuova religione delle rinnovabili salvifiche (che sono tali solo per chi gode delle enormi rendite parassitarie che esse generano), avevano preferito dedicarsi alle disquisizioni della piccola Greta e dei vari ecologisti nostrani. Ma attenzione: solo quelli "radical chic", come li ha definiti il ministro Cingolani, ignorando chi si preoccupava dell'ambiente e del paesaggio italiano messo in pericolo dalla prevista invasione di impianti eolici e fotovoltaici.

Per pura combinazione, da giovedì scorso, i giornaloni si sono improvvisamente accorti che quest'autunno accadrà una catastrofe: il primo ottobre l'Autorità dell'Energia dovrà aggiornare le tariffe di elettricità e gas e proprio quel giorno, per convenzione, verranno avviati i contratti annuali di fornitura ai grandi consumatori e alle imprese. A meno di un miracolo, molti finiranno rovinati.   

Il  battistrada, in questa agnizione della Nemesi, è stato l'articolo di Jacopo Giliberto di giovedì "Stangata sulle imprese. Quadruplicati i costi dell'energia elettrica", in prima pagina sul Sole 24 Ore, che ha usato espressioni come "botta rintronante", rinnovi dei listini "da cavar la pelle", "telefonate tra clienti e fornitori con toni luttuosi" eccetera. Nell'articolo, Giliberto ha avuto la spudoratezza di riportare la testimonianza di un operatore che sostiene: "Ci ha colpito la scarsa attenzione data al fenomeno". Un altro operatore ha ammesso che "le aziende non si sono ancora rese conto... siamo assediati da fideiussioni pazzesche".

La pazzesca decisione della Von der Leyen di fare dell'Europa il primo continente "climaticamente neutro" nel 2050 ha paralizzato tutti gli investimenti non giudicati "green", destinando ogni risorsa disponibile ad incentivare le rinnovabili, che però non hanno carattere alternativo alle fonti energetiche tradizionali. Le drammatiche conseguenze cominciano a manifestarsi e rischiano di comportare, oltre alla miseria diffusa, il totale discredito del movimento ambientalista. Già ha cominciato il ministro della Transizione energetica Cingolani: "Gli ambientalisti radical chic sono peggio della catastrofe climatica". 

 

 

Ieri ci è stato segnalato da un amico del fronte anti-eolico calabrese un articolo scritto dal presidente di Nomisma Energia prof. Davide Tabarelli, che campeggiava sulla prima pagina del Quotidiano del Sud, dal titolo "Il Paese delle energie effimere".

Ne riportiamo qui qualche passaggio:

"Lo sfilacciamento fra politica e realtà è sempre stato molto evidente nell’ambientalismo, perché gli obiettivi perseguiti sono sempre rivoluzionari, mentre i risultati sono, al contrario, molto deludenti. Ultimamente, tuttavia, il distacco s’è allargato, in particolare con le ambizioni europee accentuatesi lo scorso giugno 2021, quando la Commissione ha reso noto il suo pacchetto di misure per arrivare all’obiettivo del meno 55% delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990. Così, mentre una delle più gravi crisi energetiche degli ultimi decenni ha investito il sistema elettrico e del gas dell’Europa, i nostri politici discutono di effimere questioni come l’idrogeno verde, blu o grigio, a volte viola... Quest’inverno non avremo gas a sufficienza... Pirandello ne avrebbe tratto ispirazione... È un fallimento della politica sull’energia del nostro paese... Basterà poco per rendersi conto che non è sufficiente cambiare nome (Tabarelli si riferisce al nuovo miracoloso ministero della "Transizione ecologica". Ndr) per risolvere il problema della dipendenza da petrolio e da gas".

E poi qualcuno dice che NOI siamo eccessivi quando scriviamo i nostri articoli per il sito RRC! Peccato che questi (giustificatissimi) toni alti e striduli gli economisti dell'energia li avrebbero dovuti usare, come abbiamo fatto noi, (almeno) dieci anni fa. Adesso è tardi: la frittata è fatta, e l'ha fatta la Von der Leyen, nell'acquiescenza generalizzata delle élite europee.

L'uscita di scena degli Stati Uniti in Afganistan lascia aperti molti interrogativi sia sulle sorti delle risorse minerarie afgane sia sulle ragioni dell'Amministrazione Biden di lasciare libero il campo al vorace appetito del Dragone cinese per le materie prime. Inoltre il ritiro militare americano favorisce la crescita del peso della Cina nella regione dove sta estendendo sempre più la sua influenza negli stati dell'Asia centrale che confinano con l'Afghanistan a nord. Consapevoli della sensibilità di Pechino, tutti questi paesi hanno a lungo evitato di condannare l'incarcerazione di massa e le violazioni dei diritti umani nei confronti degli altri musulmani nello Xinjiang.

 

Il Presidente Ashraf Ghani con Xi Jinping in Kyrgyzstan nel giugno del 2019

 

L'Afghanistan ha vaste riserve di oro, platino, argento, rame, ferro, litio ed uranio, ma anche pietre preziose come smeraldi, rubini, zaffiri, turchesi e lapislazzuli. Lo United States Geological Survey (USGS), con una ricerca tra il 2009 ed il 2011, concluse che l'Afghanistan potrebbe contenere 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro, 1,4 milioni di tonnellate di elementi di terre rare (REE) come lantanio, cerio, ma soprattutto neodimio, oltre a oro, argento, zinco, uranio, mercurio e litio. Secondo i funzionari del Pentagono, la loro analisi iniziale in una località della provincia di Ghazni ha mostrato il potenziale di depositi di litio grandi come quelli della Bolivia, che ha le più grandi riserve di litio conosciute al mondo. L'USGS ha stimato che i depositi nella provincia di Helmand potrebbero produrre 1,1 - 1,4 milioni di tonnellate metriche di REE. Alcuni rapporti stimano che le risorse di terre rare dell'Afghanistan siano tra le più grandi al mondo. L’USGS ha valutato le risorse minerarie dell'Afghanistan in circa 1 trilione di dollari, valore che andrebbe rivisto alla luce delle attuali quotazioni di mercato dove risorse come rame, terre rare, litio ma anche lo stesso ferro, qualora si trattasse di depositi di elevata qualità, hanno prezzi vicini ai massimi storici.

Anche in materia di contrasto al cambiamento climatico, il vero problema dell'Italia è la pavidità ed il conformismo della sua classe dirigente.

 

 

Durante la sua lunga collaborazione con il Corriere della Sera, il grande Ennio Flaiano insegnava che, in Italia, la linea più breve per unire due punti è l'arzigogolo. Nonostante i tanti decenni trascorsi, il suo ammaestramento pare non essere andato smarrito presso gli attuali giornalisti del Corrierone. Ne reca indubitabile testimonianza il difficile rapporto tra essi e le energie rinnovabili, indicate per anni e anni, dal quotidiano di via Solferino, come la panacea di tutti i mali (climatici e non) del mondo. 

Il 10 maggio scorso ecco il primo fulmine a ciel sereno (a proposito di fenomeni metereologici estremi). Sulla prima pagina del Corriere compariva il traumatico articolo di Federico Fubini (non certo il primo che passa) dal titolo "La svolta ecologica (e i silenzi)":

"il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sul Corriere ha detto: il costo per ottenere tutto questo è "elevatissimo". Elevatissimo e senza alternative. Non solo perché presto gli obiettivi ambientali dell'Unione europea potrebbero assumere un valore vincolante di legge... la scelta di affidarsi solo alle rinnovabili, rinunciando al sequestro del carbonio o all'idrogeno prodotto anche da gas naturale, per non parlare di una dose di nucleare nel mix, si spiega politicamente: per ora la principale forza di maggioranza - il Movimento 5 Stelle - non vuole nessun'altra possibile soluzione. Cingolani sul Corriere ha avvertito: "Non sarà bellissimo". Sviluppare entro nove anni tutta quell'energia dal solare per esempio significa tappezzare di pannelli oltre 200 mila ettari, quasi il 2% della superficie coltivata in Italia. Significa piantare pale eoliche letteralmente ovunque, compromettendo un paesaggio secolare e la risorsa del turismo... Evitiamo di risvegliarci tra qualche anno pieni di rancore verso il resto d'Europa, solo perché non avevamo capito dove avevamo scelto di andare."

E' evidente come questi improvvisi dubbi, espressi da un primario redattore sulla prima pagina del più diffuso quotidiano italiano (finora indiscriminatamente favorevole all'eolico e al fotovoltaico), non siano stati un caso. Proviamo a indovinare. Qualcuno si è attaccato al telefono (venendo ascoltato, e questa è la novità: chi sarà mai questo qualcuno così autorevole?) ed ha fatto presente che, con il decreto semplificazioni proposto da Cingolani e finalizzato alla realizzazione in tempi rapidissimi del PNRR, entro un mese si sarebbero piantati i chiodi sulla bara del disastro economico-energetico, oltre che ambientale-paesaggistico, italiano.

Finalmente il Corriere deprecava (come la Rete della Resistenza sui Crinali fa da una dozzina d'anni ed alcuni preveggenti, come Oreste Rutigliano, da una ventina) la pazzesca scelta di affidare tutta la lotta al cambiamento climatico all'installazione di colossali impianti rinnovabili elettrici in Italia. Cingolani stesso ammetteva che il relativo costo è "elevatissimo" e che "non sarà bellissimo". Meglio tardi che mai, ma, con le attuali regole del gioco, era troppo tardi. Ora si può sperare solo di limitare i (mostruosi) danni. Ma attenzione: con le attuali regole del gioco. Il Pianeta Terra sopravvivrebbe, ne siamo certi, anche se le cose in Italia venissero fatte dopo una pausa di riflessione superiore alla scadenze fissate dall'onnipotente ed onnisciente ministro della "Transizione ecologica", in conformità con i più inverosimili diktat di Bruxelles, graditi a troppi italiani felloni.

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti