Alberto Clò: "Il REPowerEu appare come un menu poco ponderato, con ingredienti un po’ raffazzonati, e scarsa contezza della sua effettiva digeribilità e delle conseguenze che ne potrebbero derivare".

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

Così il professor Alberto Clò sul blog della Rivista Energia nel post "FosburEu, ovvero se vuoi alzare l’asticella devi anche riuscire a saltarla"

 

"Fissare obiettivi sempre più ambiziosi – non smetteremo mai di ripeterlo – non costa nulla ma fa sempre fare una gran bella figura, specie se l’orizzonte temporale entro cui dovrebbero essere conseguiti è lontanissimo. Ne è maestra l’Unione Europea anche scorrendo l’ultima versione della proposta della Commissione denominata REPowerEu e licenziata il 18 maggio, che mira entro il 2027 a liberarci del gas russo. Tempi superiori di tre anni a quelli promessi dal Ministro Cingolani per l’Italia (seconda metà del 2024).

... più importante obiettivo: aumento delle rinnovabili innalzando la loro asticella al 2030 dal 40% al 45%, cominciando col raddoppio del solare entro il 2025 ricorrendo anche all’obbligo della loro installazione su edifici commerciali e pubblici e per i nuovi edifici residenziali entro il 2029. Una accelerazione della transizione energetica alle rinnovabili senza per altro vi sia da parte di Bruxelles e degli Stati membri alcuna contezza su quel che potrebbe significare il passaggio da una dipendenza (gas russo) ad un’altra (rinnovabili cinesi). Né dei possibili colli di bottiglia della supply chain rinnovabile, con i ritardi accumulati nella fase pandemica ancora non risolti (e anzi di recente nuovamente acuitisi in Cina) ed i conseguenti aumenti di prezzo in una fase di già elevata inflazione. Le conseguenze dell’esperienza italiana del Superbonus 110% dovrebbero aver insegnato qualcosa, o per lo meno far venire qualche sospetto.

Che dire in conclusione del REPowerEu?... che quest’ultima proposta appare come un menu poco ponderato, con ingredienti un po’ raffazzonati, e scarsa contezza della sua effettiva digeribilità e delle conseguenze che ne potrebbero derivare."

 

E' un articolo che merita di essere letto dall'inizio alla fine sul sito web della Rivista Energia. La RepowerEU non suscita invece grande interesse nei giornaloni ed a maggior ragione, come al solito, non suscita critiche. Le suscita invece nella Staffetta Quotidiana. Venerdì la Staffetta le ha meritatamente dedicato l'editoriale: "RepowerEU, troppo ottimismo nei numeri".

L'editorialista, come si desume da questi passaggi, appare in perfetta linea con Clò:

 

"Pianificare a ritroso, alzando meccanicamente target e spesa prevista in funzione del risultato, senza troppo riguardo alle condizioni di partenza. Il metodo, in questi anni visto spesso all'opera sull'energia in Italia, all'Aie e in UE, sembra purtroppo tornato in scena mercoledì con la presentazione del pacchetto RepowerEU, con cui la Commissione punta a eliminare in breve tempo la dipendenza europea dall'energia russa.

A questo scopo RepowerEU prevede un innalzamento dal 40 al 45% degli obiettivi sulla quota rinnovabili al 2030 (il che significa circa l'80% sul mix elettrico italiano), dal 9 al 13% di quelli per la riduzione dei consumi, più un set di passi che secondo Bruxelles permetteranno tra le altre cose di azzerare nei prossimi 5 anni i 155 miliardi di metri cubi di gas che l'Europa importa dall'ex Urss.

Leggendo queste cifre un lettore con un po' di familiarità con il settore avrà probabilmente già iniziato a sentirsi perplesso.

"Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi lo sta facendo", è un motto dall'incerta paternità che salta fuori spesso quando si parla di transizione. A volte con buone ragioni. Altre però con la tendenza a dimenticarsi che lì fuori, in realtà, spesso quasi nessuno ancora lo "sta facendo". Nei casi migliori siamo agli inizi e con ostacoli enormi dietro l'angolo, in altri non abbiamo neppur cominciato. Il punto di partenza di qualunque ragionamento dovrebbe essere riconoscerlo."

 

Un atteggiamento più accomodante arriva dal Quotidiano Energia nell'articolo di venerdì di Luca Trabasso "REpowerEU, upstream grande assente":

"Più carbone, petrolio e gas da fornitori non russi. Ma solo un vago accenno alle risorse europee.

L'Italia si incammina perciò verso un aumento della dipendenza energetica dall'estero e quindi del costo delle importazioni... Tutto questo non comporterà alcun vantaggio ambientale, ma anzi un aumento delle emissioni derivato dalle perdite di metano lungo le catene di trasporto.

Ma sarebbe utile rivitalizzare l'upstream italiano dopo decenni di inesorabile declino? La risposta è affermativa per la Ravenna offshore contractor association, convinta che con un adeguato quadro normativo si potrebbe arrivare a produrre in 3-5 anni 15 mld mc all'anno di gas. Alcuni avvertono tuttavia che l'emergenza della guerra in Ucraina non solo non farà perdere di vista ma anzi stimolerà la transizione, con il risultato che eventuali investimenti nell'upstream rischierebbero di non produrre un ritorno ma anzi di creare un problema di "stranded asset", cioè di infrastrutture che diventerebbero inutili nel giro di pochi anni."

 

A questa obiezione aveva già risposto, tra gli altri, lo stesso Clò nell'articolo del 22 aprile sul blog della Rivista Energia "Il miracolo della moltiplicazione dei gas":

 

"Dare a intendere – come pare dalle numerose recenti missioni diplomatiche – che di gas disponibile da acquistare in tempi brevi ve ne sia, e in abbondanza, non solo è illusorio, ma anche costoso.

È ben difficile in questi giorni dar ragione a Putin ma è nel vero quando sostiene che è difficile in breve tempo fare a meno del suo gas, mentre anche per il petrolio e suoi derivati la capacità produttiva disponibile altrove è molto ridotta.

Pensare di sostituire il tutto con pale&pannelli cinesi non porta da nessuna parte mentre crea nuove dipendenze. Con buona pace degli astigmatici ecologisti che sostengono sorridenti che la guerra è valsa almeno ad accelerare la transizione energetica e che il mitico obiettivo net-zero è sempre più vicino. Magari! I dati dicono altro: che il carbone è stata la fonte energetica che nel 2021 è aumentata di più e che a gennaio di quest’anno nell’intera area OCSE la produzione elettrica da fonti fossili (specie gas e carbone) è cresciuta del 10% rispetto a dicembre contro il 2,8% delle rinnovabili, la cui quota sull’intero mix elettrico si è ridotta di un punto al 30,7%. La guerra ha modificato le priorità politiche nell’agenda dei governi: passate da quella climatica a quelle della ‘convenienza economica’, che vede il carbone come fonte favorita, e della ‘sicurezza energetica’ che va supportando la affannosa ricerca del gas e il ritorno al nucleare in Francia e Gran Bretagna come auspicato dallo stesso vicepresidente Timmermans (con buona pace della dimenticata Tassonomia).

Che la guerra vada favorendo la transizione energetica è l’ennesima non-verità che, ahimè, inquina da sempre la sua narrazione."

 

Ma chi pagherà tutto, alla fine? La risposta è già nel titolo dell'articolo di ieri di Alessandra Servidori sul Sussidiario: "Così le mosse green dell’Ue aumentano il debito a carico dei nostri giovani", che sottotitola: "La Commissione europea ha varato il Piano REPower EU. L’Italia si trova davanti ancora al problema del debito che peserà sui giovani":

 

Il Piano propone anche di accelerare le procedure autorizzative per le rinnovabili.

Proprio in questi giorni, il nostro Paese sta tentando di legiferare per estendere le aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e per velocizzare le procedure. Ma abbiamo già segnali di scontri in sede parlamentare con chi ricorda che i pannelli sono di produzione cinese e non nostra... in generale le produzioni, le installazioni, la manutenzione di queste innovazioni hanno dei costi altissimi a carico dei cittadini... E con il RePowerEU andiamo a creare ulteriore debito e chi pagherà il prezzo saranno ancora una volta i nostri giovani."

 

Alberto Cuppini

 

 

 

Rimettere in discussione il trentennio del libero mercato europeo dell'energia che, è ormai evidente, ha fallito su tutti i fronti.

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

Proponiamo un altro articolo di Giuliano Garavini, di cui ci eravamo già occupati di recente, apparso sul Fatto Quotidiano di lunedì:

 

"La posta in gioco è niente di meno che rimettere in discussione il trentennio del libero mercato europeo dell'energia che, è ormai evidente, ha fallito su tutti i fronti: sul fronte della sicurezza energetica (siamo più insicuri che dopo l'embargo del 1973 e durante la Guerra fredda), sul fronte della decarbonizzazione (sostanzialmente il mix energetico è invariato dal 1990 e rimane incentrato sui fossili), sul fronte dei prezzi (costantemente più alti dell'inflazione e ora fuori controllo), e sul fronte della "democrazia" del sistema energetico (un numero ridotto di imprese oligopolistiche private controlla un mercato di mezzo miliardo di consumatori). Le frontiere della discussione sono due. La prima riguarda la necessità di un intervento diretto dello Stato nella produzione di energia. Il secondo... è la rimessa in discussione del meccanismo di formazione del prezzo. Il ritorno in auge del "prezzo politico" dell'energia riguarda a sua volta due fronti: un fronte interno, per garantire contro i rincari delle bollette, e uno esterno per ottenere prezzi migliori per il petrolio e gas importati."

 

Sottoscriviamo tutte le osservazioni qui sopra tranne che per una parola: "decarbonizzazione", ormai diventata un mantra capace di riunire anti-capitalisti (come Garavini stesso), anti-industrialisti, anti-occidentali, anti-illuministi, anti-homo sapiens e quant'altro, che andrebbe sostituita con "contrasto al cambiamento climatico". La (ri) nazionalizzazione del sistema dell'energia, che noi avevamo già suggerito, permetterebbe inoltre di disporre di quelle immense e imprescindibili risorse statali, senza bisogno di ricorrere ad ulteriore indebitamento pubblico a danno della "next generation", da investire nella ricerca e nello sviluppo di autentiche soluzioni al problema del cambiamento climatico in grado di archiviare la bischerata della "decarbonizzazione" attraverso pale eoliche e pannelli fotovoltaici iper-sussidiati, che, per usare le stesse parole di Garavini nel suo articolo, è ormai evidente, ha fallito su tutti i fronti.

 

Alberto Cuppini

 

Draghi: "Il Governo continuerà in ogni sforzo per distruggere le barriere burocratiche che impediscono gli investimenti in rinnovabili".

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

 

"Il Governo “continuerà in ogni sforzo” per rendere gli investimenti in rinnovabili “più rapidi, per smontare, per distruggere le barriere burocratiche che impediscono gli investimenti”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso dell'informativa al Senato."

 

Lo abbiamo appreso ieri pomeriggio leggendo sbalorditi, sul sito web della Staffetta Quotidiana, il titolo dell'articolo “Distruggere le barriere burocratiche” L'impegno di Draghi sulle rinnovabili".

Draghi si fa prendere un po' la mano dall'enfasi bellica. Speriamo, noi resistenti sui crinali, di non ricevere dal governo desideroso di distruzioni lo stesso trattamento riservato dai russi ai resistenti dell'Azovstal.

Eppure, in questa temperie, sarebbe accuratamente da evitare ogni riferimento ad azioni violente. Ma non per ipocrisia pacifista o buonista, quanto piuttosto perché qualcuno in Italia, di fronte a quei disastri (accuratamente ricercati da irrazionali politiche italiane ed europee da almeno una dozzina d'anni) che si stanno concretizzando in questi ultimi mesi, presto potrebbe essere tentato di procedere a spallate, sostenuto sulle piazze dal popolo ridotto in miseria.

E' opportuno ricordare che cinquant'anni fa, sulle piazze italiane (il "populismo", anche se allora lo si chiamava con un altro "ismo", non è nato con Beppe Grillo), l'atmosfera era, di fatto, pre-insurrezionale. Sappiamo (sappiamo?) come andò a finire. Ed allora si veniva da venticinque anni di miracolo economico...

Eppure l'informativa di Draghi ieri al Senato recitava:

"L'energia rinnovabile resta infatti l'unica strada per affrancarci dalle importazioni di combustibili fossili, e per raggiungere un modello di crescita davvero, davvero sostenibile”.

Continuare a far credere, confondendo le cause dei problemi con la loro soluzione, che tutti i guai del costo e della disponibilità di energia si risolveranno piantando da tutte le parti quantità senza fine di pale eoliche e di pannelli fotovoltaici, oltre a contribuire a diffondere ed accentuare il pensiero irrazionale, è un bluff che verrà presto scoperto. E' anche opportuno ricordare, sempre a proposito di violenza e di pensiero irrazionale, che nel 1932 in Germania, dopo "appena" due anni di "Grande Depressione", il popolo invocò democraticamente l'avvento al potere del Nazismo per avere di che mangiare e di che scaldarsi in inverno.

 

 

"Oggi, a una folla che rischia di non avere il pane domani per mancanza di diesel, si consigliano pale eoliche, pannelli solari e macchine elettriche che, forse, saranno una soluzione tra vent’anni."

 

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

In questi giorni sul Sussidiario c'è un Paolo Annoni scatenato. La realtà sta confermando le sue (e le nostre) fosche previsioni sugli esiti della politica di questi anni tesa ad incentivare acriticamente le "rinnovabili" non programmabili. Riportiamo senza commento alcuni brani (i grassetti sono nostri) dei suoi ultimi articoli, che forniscono importanti argomenti ai resistenti sui crinali contro l'assurda invasione delle pale eoliche, invitando a leggerli integralmente sul sito de Il Sussidiario.net.

Dall'articolo del 4 maggio "Tassa sugli extraprofitti/ Aumenta il consenso del Governo, ma non l’energia agli italiani”:

"Le società energetiche si confrontano già con Governi che decidono di spegnere o accendere quella o questa fonte tradizionale sulla base di presupposti politici e che oggi subiscono incrementi dei prezzi dei componenti e in alcuni casi difficoltà nel loro reperimento. L’incertezza regolamentare è forse il principale ostacolo, persino più di una tassazione elevata, agli investimenti privati.

Nei fatti l’economia “green” dell’Occidente mette a repentaglio la sicurezza alimentare dei Paesi in via di sviluppo. Tutto sotto l’insegna degli investimenti “socialmente responsabili”.

Le rinnovabili nell’orizzonte temporale di breve medio periodo, quello che assicura la sopravvivenza del sistema industriale, possono influire minimamente, se non in misura impercettibile, sull’equazione.

Siamo abituati a pensare a queste misure dando per scontato, com’è successo finora, che ci siano risorse abbondanti e a basso prezzo per tutti, ma questo non è lo scenario che si prospetta. I prezzi di mercato delle risorse energetiche in uno scenario di offerta strutturalmente più bassa della domanda sono destinati a salire se non si risolve la questione della produzione. Gli aiuti o la compressione dei prezzi a queste condizioni portano inevitabilmente a uno scenario da “tessera annonaria” magari marchiata con un’accattivante dicitura “green”.

Le società private sono incentivate a rimanere tra gli spettatori per non farsi mettere il mirino addosso. I paragoni con alcune esperienze politiche fallimentari si sprecano."

 

Dall'articolo dell'undici maggio "Biden vs inflazione/ La vittoria di Pirro che il Presidente Usa può ottenere":

"Gli incrementi del prezzo del gas, del petrolio, dei fertilizzanti e di tante altre materie prime sono cominciati all’inizio dell’estate del 2021 ben prima del conflitto in Ucraina.

“L’Occidente” paga almeno un decennio di bassi investimenti in materie prime e fabbriche.

Le rinnovabili costano molto di più delle fonti tradizionali. Nel settore energetico questo è un dato noto. Pensiamo, per esempio, ai costi enormi che si impongono sulla rete a causa della volatilità della produzione rinnovabile. Tralasciamo il lato ambientale oscuro di alcune rinnovabili. La Germania, che è forse il Paese al mondo che ha speso di più in rinnovabili facendo leva sul più grande surplus commerciale globale, non solo non si è svincolata dagli idrocarburi, ma oggi deve affrontare possibili blackout. Puntare l’indice contro le società energetiche invece è miope e controproducente. Le società energetiche non investono, nonostante prezzi degli idrocarburi record, perché i Governi da anni dicono chiaramente di non volere più gas e petrolio. Oggi con i prezzi delle componenti esplosi e i timori sulla crescita globale le società energetiche tutto vorrebbero fare tranne che investire in un settore che i Governi dicono in tutte le salse di voler chiudere nel medio periodo e che ostacolano in ogni modo. L’Unione europea, per esempio, ha approvato norme che pongono paletti stringenti agli investitori e alle banche che vogliono investire in energia tradizionale."

 

Dall'articolo del 12 maggio "Inflazione USA/ Perché per abbassarla si vuole provocare una recessione?":

"Il costo dell’energia, che non viene risolto con le rinnovabili, quello degli alimentari e quello importato con la rottura delle catene di fornitura sono, come ha notato anche Biden, esterni e fuori dal controllo americano.

La questione politica è come mai sia preferibile far scendere l’inflazione con una recessione in un contesto geopolitico esplosivo piuttosto che, per esempio, ricorrere a fonti energetiche meno costose e affidabili oppure perché si continui a spingere sul bioetanolo a discapito di produzioni per uso alimentare. Oppure, ancora, perché, è il caso europeo, si puniscano i consumatori imponendo certificati verdi su imprese che non possono far altro che passarli sui prezzi finali. È una domanda a cui non sembra esserci una risposta immediata."

 

Dall'articolo di sabato scorso "Se la transizione green fa ritornare le brioche di Maria Antonietta":

"Nella costa orientale degli Stati Uniti si teme un razionamento del diesel, che avrebbe effetto importanti su agricoltura e trasporti... Negli ultimi dieci anni il numero di raffinerie che producono il distillato sulla costa orientale si è dimezzato... la crisi del 2008 non ha aiutato, la transizione “green” e un approccio generalmente ostile della “politica” ha fatto pendere le decisioni delle società di raffinazione verso la chiusura; da ultimo il percorso per autorizzarne di nuove è particolarmente complicato... Il prezzo del diesel è già aumentato molto negli ultimi mesi e oggi si rischia lo spettro dei razionamenti. Se i camion non girano, non arrivano i prodotti nei supermercati e l’agricoltura soffre in una fase in cui le riserve di grano e di alimentari sono ai minimi; è persino inutile specificare cosa possa comportare questa situazione dal punto di vista economico e sociale.

In una situazione di questo tipo... la politica spinge – si veda il discorso sull'economia di Biden di martedì – sulla “transizione energetica”. Su questa transizione ci sono due certezze: la prima è che è costosissima, la seconda è che per i prossimi dieci anni almeno, nella migliore delle ipotesi, serviranno ancora gli idrocarburi. È costosissima come ci dicono tutti i giorni i principali organi di informazione globali, dal Financial Times e Bloomberg in giù, perché bisogna costruire ex-novo un’alternativa a quello che c’è già e perché nessuno ha ancora risolto la questione, anche questa irrisolvibile nei prossimi dieci anni, dell’immagazzinamento di fonti che nascono e muoiono, non programmabili e volatili. L’obiezione quindi è che costruire una nuova raffineria sarebbe una scusa per rimandare la transizione; nessuno si chiede quale sia l’investitore privato che costruisca in due anni un impianto che dovrebbe chiudere tra dieci. Nel frattempo, a brevissimo, si rischia, per mancanza di diesel, di non trovare pasta e prosciutto al supermercato. Tutto questo ricorda un’altra fase storica. Pare che la regina Maria Antonietta abbia consigliato di risolvere la mancanza di pane che affliggeva una folla in ebollizione consegnando brioches. Oggi, a una folla che rischia di non avere il pane domani per mancanza di diesel, si consigliano pale eoliche, pannelli solari e macchine elettriche che, forse, saranno una soluzione per 7 miliardi di persone, o anche solo per il “primo mondo”, tra vent’anni. Magari questa volta l’esito sarà diverso. Oppure no."

 

E infine, oggi stesso Annoni ha pubblicato "Inflazione e crisi alimentare mettono le Banche centrali all’angolo", che così si conclude:

"Oggi la discussione è tutta tesa a un aumento del ruolo dello Stato e all’imposizione di regole, in primis sulla transizione energetica, che vengono calate dall’alto al basso senza alcun riguardo per la realtà economica e produttiva e per il buon senso. Bisognerebbe invece creare le condizioni perché le imprese trovino la soluzione senza l’imposizione di ricette che un gruppo di autoproclamati ottimati ha deciso di imporre senza alcun riguardo per i costi subiti dalle famiglie. Sono ricette per un disastro economico e politico perché non c’è niente di peggio per la libertà di uno Stato o di organismi parastatali ipertrofici in una situazione di crisi strutturale."

 

Alberto Cuppini

 

 

 

Perentorio il responsabile energia della Lega: la transizione ecologica non deve essere condotta “con l'ideologismo ambientalista, con il ‘gretinismo', ma in modo graduale".

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

"La transizione ecologica non deve essere condotta “con l'ideologismo ambientalista, con il ‘gretinismo', ma in modo graduale secondo un approccio pragmatico, condiviso da tutti i paesi”. Lo ha affermato il senatore e responsabile energia della Lega Paolo Arrigoni – ricordando che “l'Europa produce solo il 9% della CO2” emessa a livello globale – nel suo intervento di sintesi delle posizioni leghiste in materia di energia."

 

Questo l'esordio dell'articolo della Staffetta Quotidiana "La ricetta della Lega per la transizione: biocarburanti e Fer programmabili", dove il modo in cui le cose sono dette (che manifesta tutta l'esasperazione accumulata da una parte crescente della popolazione verso politiche europee che "non hanno funzionato perchè viziate da un'impostazione ideologica che ha trascurato competitività e sicurezza energetica") appare persino più importante della sostanza. Così la Staffetta (i grassetti sono nostri) nella relazione dell'incontro organizzato dalla Lega a Roma dal titolo "E' l'Italia che vogliamo", a cui hanno partecipato - tra gli altri - i ministri Cingolani e Giorgetti e gli amministratori delegati di Eni, Enel e Terna:

 

"La transizione ecologica, ha proseguito Arrigoni, va implementata “perseguendo non solo la sostenibilità ambientale, ma anche quella economica e sociale e, soprattutto, assicurando il principio della neutralità tecnologica”. “Noi non condividiamo la proposta che viene dall'Europa che vorrebbe dal 2035 il bando all'auto a combustione interna”, ha continuato Arrigoni, ribadendo la necessità di usare la metodologia del ciclo di vita per misurare le emissioni dei veicoli e di sostenere la produzione di biocarburanti e carburanti sintetici. Sulle rinnovabili, il senatore ha affermato che “da sole non bastano”, specificando che “soprattutto non può bastare lo sviluppo, che fa la parte del leone, di fotovoltaico ed eolico, perché queste non sono programmabili”. A tal proposito, Arrigoni ha citato l'urgenza di sviluppare tecnologie di accumulo che non prevedano l'uso del litio, “altrimenti ci legheremo ancora di più, mani e piedi, alla Cina”. “E poi bisogna sviluppare fonti rinnovabili come bioenergie, geotermico, idroelettrico.”

 

Dalla relazione dello stesso evento realizzata dal Quotidiano Energia nell'articolo "Lega: “Transizione ecologica senza ideologismo  riportiamo le parole del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, anch'egli della Lega:

"Non si possono fare dibattiti solo ideologici come quelli alla base di Fit for 55, bisogna partire dalla realtà, Paesi manifatturieri come l'Italia non possono fare scelte basate solo sulla sostenibilità ambientale".

 

Per la prima volta in Italia un partito politico esprime idee così trancianti contro l'isteria collettiva che si è impadronita della politica energetica europea. Una vera e propria inversione ad U. E' probabile che la Lega esprima l'angoscia contingente per i livelli insostenibili raggiunti dai costi energetici accumulata dall'imprenditoria padana (padroni e operai), ed in particolare quella esportatrice sottoposta alla concorrenza globalizzata, che ha permesso all'Italia di sopravvivere negli ultimi anni nonostante le inefficienze statali e lo spaventoso debito pubblico accumulato a fini assistenzialistici.

Ci piace però pensare che, come già comincia ad accadere anche in Fratelli d'Italia, si sia diffusa la consapevolezza dei danni della subalternità culturale ai tic intellettuali della "Sinistra", fin qui accolti acriticamente per rendersi accettabili proprio a quelle stesse élite fellone che, invece, andrebbero sostituite. Se non ci si sottrae alle pastoie del Pensiero Unico globalista (del quale l'illusione di avere energia non inquinante a costo zero per tutti è presupposto fondamentale), che trova in Italia la sua più ortodossa espressione nel Partito Democratico, non sarà possibile formulare nessuna proposta politica alternativa.

Ci auguriamo che anche tra i partiti della Sinistra affiori il dubbio che, certo, i diritti dei transessuali, degli orsi bianchi e degli immigrati clandestini sono importanti, ma i lavoratori italiani, dopo 40 anni di impoverimento prima relativo e poi assoluto (ed in via di drammatica accelerazione negli ultimi due anni), andrebbero privilegiati, se non altro per evitare che si diffonda tra loro l'idea dell'uomo forte in grado di riparare i danni provocati dalla democrazia.

 

Alberto Cuppini

 

 

 

 

Tabarelli (Nomisma): "E' evidente che se RepowerEu darà la possibilità di investire i soldi del Pnrr in infrastrutture per il gas sarà un passo indietro rispetto al pacchetto "Fit for 55" e un passo avanti per risolvere questa crisi."

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

"Vedo molta confusione... Fino a qualche mese fa si parlava di escludere il gas dalla tassonomia europea per non incentivarlo, adesso ci accorgiamo che ne abbiamo ancora assolutamente bisogno."

 

Oggi proponiamo come articolo del giorno l'intervista a Davide Tabarelli pubblicata dal Messaggero a sigla A. Bas. Ecco il passaggio più interessante:

 

"Ci sono molte contraddizioni. Il Parlamento europeo è dominato dai Verdi. (Questo comporta) per esempio che non si può discutere di carbone e nemmeno di ritardare la chiusura delle centrali nucleari tedesche delle quali ci sarebbe assolutamente bisogno. Comunque sia è evidente che se RepowerEu darà la possibilità di investire i soldi del Pnrr in infrastrutture per il gas sarà un passo indietro rispetto al pacchetto "Fit for 55" e un passo avanti per risolvere questa crisi."

 

Aggiungiamo al suo ragionamento una cosa che Tabarelli pensa ma che non ha (ancora) osato dire:

"Comunque sia è evidente che se RepowerEu darà la possibilità di investire i soldi del Pnrr in infrastrutture per il gas sarà un passo indietro rispetto al pacchetto "Fit for 55" e un passo avanti per risolvere questa crisi, che è stata innescata proprio dal pacchetto "Fit for 55".

Finchè non si riconosce che la politica europea di "decarbonizzazione" accelerata è un'autentica follia, si rischia di menare il can per l'aia, passando da una crisi all'altra, fin quando le popolazioni europee impoverite insorgeranno esasperate, di fronte ai disastri provocati dalle scelte drammaticamente sbagliate ed autolesionistiche di politici e tecnocrati che ormai si sono spinti troppo avanti per ammettere i loro errori.

Allo stesso modo Tabarelli, esaminando nell'intervista gli altri "punti preoccupanti", non riconosce neppure che, come in tutti i casi di economia pianificata in modo radicale e pervasivo come quella imposta dalla Ue per la "decarbonizzazione integrale" già nel 2050 (e soprattutto adesso che ci si trova - di fatto - in un'economia di guerra), sarebbe assolutamente necessario nazionalizzare tutto il sistema energetico italiano. Qualcuno obietterà che non si può fare perchè sarebbe contrario ai principi fondanti dell'Unione. Esatto. Ma tutta la politica pretesa da Bruxelles di "decarbonizzare" attraverso l'incentivazione delle fonti "rinnovabili" è stata contraria ai principi fondanti dell'Unione. Ed anche ai principi fondanti del buon senso.

  

Alberto Cuppini

 

 

 

La logica emergenziale delle "semplificazioni", ormai diventata abituale e resa accettabile per la "salvezza del Pianeta dai cambiamenti climatici", si estende ora anche agli impianti necessari per sostituire il gas russo.

 

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

 

L'articolo di Celestina Dominelli sul Sole 24 Ore di oggi, annunciato da un occhiello in prima pagina "Rigassificatori, niente verifiche ambientali e deroghe sugli appalti", ha un titolo inequivocabile: "Rigassificatori: deroga al codice degli appalti e vincoli ambientali ko". Ripetiamo: vincoli ambientali ko (i grassetti sono nostri):

 

"Deroga al codice degli appalti, esenzione per la valutazione d'impatto ambientale e taglio significativo dei tempi per le autorizzazioni con l'obiettivo di velocizzare al massimo l'entrata in servizio degli impianti affidando l'intero iter a commissari ad hoc... Un modo per dire che la velocità con cui potranno entrare in servizio sarà un fattore dirimente nella scelta di quali impianti mandare avanti... potrà beneficiare anche dell'esenzione della Via (la valutazione di impatto ambientale): per i rigassificatori galleggianti e le infrastrutture connesse sarà infatti possibile far scattare, a valle della preventiva comunicazione a Bruxelles, l'esenzione prevista in casi eccezionali se l'applicazione di questo tipo di valutazione "incide negativamente sulle finalità del progetto".

 

Tutta l'enfasi posta in questi anni dagli "ambientalisti" (in realtà quelli che la stampa e i media chiamano "ambientalisti" sono solo Legambiente, WWF e Greenpeace) sulla necessità di "fare in fretta" a piantare da tutte le parti pale eoliche e pannelli fotovoltaici per "salvare il Pianeta" a cui rimangono - dicono loro - pochi anni di vita, semplificando per questo la normativa ambientale e paesaggistica, comincia a produrre i previsti effetti perversi.

L'unione, nel nome dell'ecologia catastrofista, del pensiero infantile con quello illiberale (recentissima, ad esempio, l'incredibile richiesta di Elettricità Futura avallata da Leu, Cinque Stelle e dal ministro Brunetta: "ai fini della celere conclusione dei processi autorizzativi, il commissario straordinario e i subcommissari operano in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale”) non poteva generare altro che frutti avvelenati. Adesso il governo, per costruire in fretta i rigassificatori, ha previsto proprio quel commissario straordinario che Elettricità Futura e compagnia bella invocavano per i progetti delle rinnovabili.

Questo dei rigassificatori senza verifiche ambientali (che sono costosissime bombe ecologiche rese necessarie, al sovvenire dell'emergenza bellica, da decenni di irresponsabili rinunce ad investimenti in trivellazioni e gasdotti) è l'aperitivo, che aprirà la strada a nuovi scempi, resi accettabili e presentati alla popolazione da sempre nuove logiche emergenziali, comprese le centrali nucleari prossime venture (che sono "pulite" perchè "non emettono CO2" e che adesso, oltre tutto, "ci renderanno indipendenti dal gas di Putin").

Alla fine si potrà sempre dare la colpa dell'improvvisa distruzione del sistema delle tutele ambientali, faticosamente creato dal lavoro di cesello di intere generazioni di legislatori dall'Unità nazionale in poi, ai comitati Nimby, agli amministratori locali e regionali, alle soprintendenze, al ministero della Cultura e magari anche agli omini verdi di Marte. Brava Legambiente!

 

Alberto Cuppini

 

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti